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CON IL POPOLO E PER IL POPOLO. LA VOCE DELLA CHIESA HONDUREGNA CHE “NON SI ADEGUA A ERODE E A PILATO”

Tratto da: Adista Documenti n° 100 del 10/10/2009

DOC-2195. TEGUCIGALPA-ADISTA. “Proibito pensare, parlare, ascoltare, vivere”: questa è la situazione in Honduras secondo Fausto Milla, prete 82enne della diocesi di Santa Rosa de Copán, uno dei principali referenti dei movimenti sociali e delle organizzazioni popolari del Paese. Dopo il sorprendente e avventuroso rientro del presidente legittimo Manuel Zelaya, dal 21 settembre scorso ospitato dall’ambasciata brasiliana (v. Adista n. 96/09), il governo golpista di Roberto Micheletti ha gettato ogni maschera, rendendo così sempre più scomoda la posizione di chi, come il card. Oscar Andrés Maradiaga, ha, ormai tre mesi fa, legittimato il colpo di Stato.

Drammatico il susseguirsi degli eventi, con l’assedio all’ambasciata brasiliana, circondata dai militari e attaccata con gas tossici (un’azione condannata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite); la feroce repressione dei manifestanti; l’ultimatum di 10 giorni al governo brasiliano perché definisca lo status di Zelaya, scaduto il quale la sede diplomatica si vedrebbe privata dell’immunità - ultimatum sdegnosamente respinto dal governo Lula -; e infine il decreto di sospensione delle garanzie costituzionali per 45 giorni, con la conseguente chiusura dei mezzi di informazione ostili al regime, Radio Globo e Canal 36, da cui fino a quel momento il presidente costituzionale aveva potuto parlare al popolo in resistenza e a cui si erano rivolti i cittadini per denunciare persecuzioni, arresti, torture, assassinii (resiste, ma non si sa fino a quando, Radio Progreso dei gesuiti, il cui direttore, p. Ismael Moreno ha comunque ricevuto minacce di morte).

Di fronte a questa escalation, anche l’amministrazione statunitense sembra aver gettato la maschera, almeno stando alle parole dell’ambasciatore Usa presso l’Oea (Organizzazione degli Stati Americani), Lewis Amselem, il quale, definendo le azioni del governo golpista “deplorevoli e stupide” in quanto contrarie agli interessi dell’Honduras e dello stesso regime, ha al tempo stesso rivolto dure critiche a Manuel Zelaya, accusandolo di comportarsi “come una stella del cinema” per i suoi appelli all’“offensiva finale” e definendo “irresponsabile” il suo rientro nel Paese. Lasciando dunque intendere che, a 90 giorni dal colpo di Stato, durante i quali gli Stati Uniti non hanno neppure riconosciuto che quanto avvenuto in Honduras il 28 giugno è stato un colpo di Stato, limitandosi a misure di pressione che non hanno certo gettato nel panico i golpisti, Zelaya dovrebbe restarsene tranquillo e accettare il corso degli eventi.

“La cosa peggiore – ha dichiarato ancora Fausto Milla proprio a proposito delle misure adottate dalla comunità internazionale – è che si chiede ripetutamente aiuto al mondo e non succede nulla: ci si limita solo a parlare e a parlare” e “la gente deve soffrire e morire in silenzio”. Perché, ad esempio, si chiede, non imporre un embargo totale? “Se lo hanno fatto per 50 anni contro Cuba, cosa costerebbe farlo per cinque o dieci giorni contro Micheletti? È così che  si risolverebbe il problema”. E ha aggiunto: “Se le nazioni del mondo non agiscono in nome del popolo honduregno, si scateneranno colpi di Stato per tutta l’America Latina secondo la convenienza dei golpisti degli Stati Uniti e del continente”. Durissime anche le parole pronunciate da Milla nei confronti dei vertici ecclesiastici: “Quando un cardinale si comporta come Giuda – ha detto – la gente si confonde”. E proprio al card. Rodríguez Maradiaga – che, ad oggi, ha mantenuto il silenzio sugli ultimi avvenimenti  – Milla contrappone il vescovo della sua diocesi, mons. Luis Alfonso Santos, l’unico apertamente ostile ai golpisti. Dalla sua diocesi, quella di Santa Rosa de Copán, è giunto non a caso, il 24 settembre scorso, un nuovo comunicato, firmato dallo stesso Santos, di forte ed esplicita condanna del governo golpista e, indirettamente, anche di chi, all’interno della Chiesa, lo ha sostenuto.

Nel comunicato, infatti, il clero diocesano, in nome del quale parla il vescovo, non dimentica di esprimere la sua solidarietà nei confronti di p. Andrés Tamayo, il prete di origine salvadoregna, e leader del Movimento Ambientalista di Olancho, a cui il governo de facto ha ritirato la nazionalità, a 25 anni dal suo arrivo nel Paese, per la sua partecipazione alle attività di resistenza contro il golpe, e a cui, al tempo stesso, il vescovo di Olancho, mons. Mauro Muldoon, ha tolto la parrocchia di Salamá, dove Tamayo lavorava da 12 anni, ricevendo anche minacce di morte da parte dei gruppi di potere per il suo impegno contro la deforestazione. “Amico, fratello, figlio di Dio, le mie congratulazioni! - gli ha scritto Fausto Milla – perché in te si stanno compiendo le parole di Gesù. Se ti adegui a Pilato, a Erode, ai farisei e ai sommi sacerdoti, nulla ti può accadere. Se ti fai compagno di galilei, pescatori, contadini, mendicanti, sfruttati da Roma o Gerusalemme, succede quello che sta succedendo! Sono passi nel processo del Regno di Dio che, con questo popolo e per il popolo, stiamo costruendo”.

E “difensore dei nostri boschi e profeta di questi tempi”, definiscono Andrés Tamayo (a cui mons. Santos ha offerto il 12 settembre una parrocchia della sua diocesi) i presbiteri della diocesi di Santa Rosa de Copán, esigendo dalla Chiesa cattolica “un sostegno ai poveri e non al gruppo economicamente ricco”. Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, il comunicato della diocesi contro il golpe e un breve commento sul card. Maradiaga scritto da Roberto Malvezzi, operatore di pastorale brasiliano ed ex coordinatore della Commissione Pastorale della Terra (Correio da Cidadania, 26/9). (claudia fanti)

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