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SUI POPOLI INDIGENI GLI OCCHI DEL MONDO. MA I LORO DIRITTI RESTANO SULLA CARTA

Tratto da: Adista Documenti n° 100 del 10/10/2009

DOC-2197. MADRID-ADISTA. Era stata salutata come un’importante vittoria politica dei popoli originari, dopo oltre 20 anni di faticosi negoziati, la Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 settembre del 2007. A due anni da quella storica Dichiarazione, tuttavia, il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni non ha subito alcuno scatto in avanti: secondo il Coordinamento Andino di Organizzazioni Indigene (Caoi), al contrario, l’offensiva dei governi è persino cresciuta di intensità. Così è avvenuto, in maniera eclatante, in Perù (v. Adista nn. 65, 67 e 73/09), in Colombia (v. Adista n. 75/08) e in Cile (v. Adista n. 89/09), mentre in Ecuador, malgrado la nuova Costituzione riconosca il carattere plurinazionale dello Stato, introduca la “natura o Pachamama” come soggetto di diritto e ponga l’accento sul modello del “buen vivir” (sumak kaway), concetto chiave della cosmogonia indigena andina, l’attuale distanza tra il dire e il fare governativi espone alle critiche dei popoli indigeni anche il progressista Rafael Correa, accusato di non tutelare adeguatamente la cultura e la cosmologia originarie (v. Adista n. 49/09). Tant’è che il 27 settembre la Conaie, la Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador, ha dato avvio ad una serie di mobilitazioni contro le leggi sull’acqua, sull’attività mineraria e sull’educazione attualmente in discussione al Congresso. Unica luminosa eccezione in questo “oscuro panorama” è il governo di Evo Morales, insignito non a caso dall’Assemblea Generale dell’Onu, il 30 agosto scorso, del riconoscimento di “Eroe mondiale della Madre Terra” (in compagnia di Fidel Castro, “Eroe mondiale della solidarietà”, e dello scomparso presidente della Tanzania Julius Nyerere, “Eroe mondiale della giustizia sociale”) come massimo esponente del “paradigma dell’amore per la Pacha Mama”.

Un paradigma su cui Morales ha voluto porre l’accento anche durante il discorso pronunciato a Leganés, municipio della Comunidad de Madrid, in un atto organizzato da oltre 60 organizzazioni politiche, sociali e sindacali con l’appoggio dell’ambasciata boliviana, nel corso della sua visita in Spagna, la prima da lui tenuta come presidente della Bolivia. Un discorso anticolonialista, pronunciato di fronte a una moltitudine di persone, in maggioranza immigrati boliviani - 100mila i boliviani residenti legalmente in Spagna - e di altri Paesi latinoamericani, durante il quale ha ricostruito il processo di cambiamento realizzato in Bolivia, a due mesi dalle elezioni presidenziali, previste per il prossimo 6 dicembre; si è impegnato a dare battaglia affinché nessun essere umano sia più considerato clandestino (“quando erano gli spagnoli ed altri europei ad andare in Bolivia, nessuno dei nostri antenati li dichiarava illegali”); ha criticato le ingerenze degli Stati Uniti (“dove ci sono basi militari degli Stati Uniti ci sono colpi di Stato”); ha ricordato l’emergenza ambientale (“in questo momento è più importante difendere il diritto della madre terra che il diritto degli esseri umani”). 

Questo profilo anticolonialista ha segnato, peraltro, tutta la visita ufficiale in Spagna, dove Morales ha avuto modo di evidenziare come la Bolivia abbia bisogno “di soci, non di padroni delle risorse naturali”, ricordando che solo le imprese che rispettino le norme del Paese saranno considerate le “benvenute”.

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, il comunicato del Caoi, a due anni dall’approvazione della Dichiarazione Onu sui Diritti dei Popoli indigeni, firmato dal coordinatore generale Miguel Palacín Quispe, leader peruviano di etnia quechua, e ampi stralci del discorso di Evo Morales a Leganés. (claudia fanti)

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