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UN INARRESTABILE PROCESSO DI TRASFORMAZIONE

Tratto da: Adista Documenti n° 100 del 10/10/2009

Onorevole sindaco della città di Leganés, autorità municipali, autorità del governo spagnolo, cara ambasciatrice della Bolivia in Spagna, fratelli boliviani, vi ringrazio molto per avermi ricevuto in questa terra di Spagna. Sono sorpreso dalla presenza di tanti fratelli boliviani, ecuadoriani,  uruguayani, venezuelani, colombiani, peruviani, cubani, tanta famiglia latinoamericana riunita qui questa sera. Vorrei ringraziarvi per questa grande mobilitazione, per l’in-tegrazione di tutti i latinoamericani in Europa. Ma anche esprimere il mio rispetto per il popolo spagnolo. Grazie per aver organizzato questo grande incontro di popoli del mondo.

Storia di una ribellione

(...). Sicuramente molti dei presenti sanno come ci siamo organizzati a livello sindacale, sociale, comunitario, per cambiare la Bolivia e, naturalmente, per trasformare l’A-merica Latina. Una delle questioni in gioco era proprio la liberazione dei popoli latinoamericani.

In Bolivia, i diversi movimenti sociali, insieme alla Central Obrera Boliviana, hanno condotto una lotta permanente contro modelli economici che tanto danno hanno arrecato alla popolazione. Prima della Repubblica, i popoli indigeni, quechua, aymara, guaraní, hanno lottato permanentemente contro il saccheggio delle nostre risorse naturali, per l’uguaglianza tra indigeni e meticci e creoli, per un nuovo stile di vita, per l’uguaglianza nella dignità, ma anche per il rispetto dei nostri diritti, soprattutto quelli dei popoli indigeni, il settore più vilipeso della storia boliviana e della storia dell’America Latina.

Si è trattato di una dura resistenza, di una ribellione dei popoli contro il saccheggio delle nostre risorse naturali, di una ribellione permanente contro ogni forma di sottomissione. E queste lotte, sorelle e fratelli boliviani, non sono state invano, perché dalla lotta sindacale, sociale, comunitaria siamo passati a una lotta elettorale.

Ricordo perfettamente i negoziati di un tempo con i governi, quando i dirigenti sindacali, che presentavano le loro richieste di cambiamenti strutturali, si sentivano dire dai governanti neoliberisti che contadini e indigeni non avevano diritto a fare politica. La politica del movimento contadino indigeno nella zona del Tropico di Cochabamba, ci veniva detto, era ascia e machete, cioè lavoro. E nell’altipiano era pala e piccone, cioè lavoro. Quando negli anni ’60, ’70 e ’80 c’era qualche operaio, qualche minatore, che faceva politica, subito veniva tacciato di comunista, perseguitato ed eliminato. Era la dottrina dell’imperialismo nordamericano. E sono tanti i dirigenti dei minatori che sono fuggiti in Europa per sopravvivere ai massacri.

È seguita quindi un’altra dottrina, quella della lotta contro il narcotraffico. Ed ecco come, negli anni ’80 e ’90, i dirigenti sindacali sono diventati dei narcotrafficanti, addirittura, dopo l’11 settembre 2001, dei terroristi. E così, forse alcuni di voi lo ricorderanno, Evo Morales era il Bin Laden andino, i cocaleros erano come i talebani. È con questo pretesto, quello della dottrina politica “Coca zero”, che sono stati cacciati i contadini. Quello che voglio dire è che abbiamo dovuto permanentemente subire interventi, anche di carattere militare, finalizzati a schiacciare la ribellione dei nostri popoli latinoamericani.

 

Un popolo al governo

Queste lotte di operai, di indigeni, di meticci, queste lotte di intellettuali come Marcelo Quiroga Santa Cruz, di preti rivoluzionari come Luis Espinal, uno spagnolo che ha dato la vita per i poveri della Bolivia, di militari patrioti come Germán Busch, come il tenente colonnello Gualberto Villarroel, queste lotte, sorelle e fratelli, non sono state invano. Hanno condotto alla lotta, pacifica, democratica, per la conquista del governo e, da lì, per il cambiamento delle politiche economiche e sociali. Voglio riferirvi qualche risultato. Era dal 1940 che la Bolivia non aveva un attivo di bilancio. Ebbene, dopo la nazionalizzazione degli idrocarburi, il nostro Paese, nel 2006, il primo anno del nostro governo, ha finalmente potuto contare su un attivo di bilancio. Nel 2005 le riserve internazionali della Bolivia ammontavano a 1.700 milioni di dollari. Giorni fa il presidente della Banca Centrale di Bolivia mi ha informato che oggi sono arrivate a 8.500 milioni. Immaginatevi, sorelle e fratelli, quanti soldi ha dilapidato la Bolivia in 20 anni di governi neoliberisti. (...). 

Pensavo che la crisi economica capitalista ci avrebbe fortemente colpito. Invece, il 30 luglio di quest’anno, la bilancia commerciale registrava un saldo positivo per 300 milioni di dollari. Non era mai avvenuto prima.

Sono convinto, sorelle e fratelli, che, quando c’è un settore che si oppone ai cambiamenti strutturali, la cosa migliore sia far decidere al popolo, tramite referendum. I boliviani e le boliviane non hanno diritto solo a scegliere le proprie autorità nazionali, dipartimentali e municipali, ma anche a decidere le politiche economiche, attraverso referendum che prima non si erano mai tenuti. Grazie alla nuova Costituzione politica, il popolo ha anche il diritto a revocare con il suo voto il mandato di qualunque presidente, vicepresidente, parlamentare e sindaco che non lo soddisfi. Questa non è solo democrazia rappresentativa, è democrazia partecipativa.

Per la prima volta in 183 anni di vita repubblicana, il popolo boliviano ha potuto approvare una nuova Carta costituzionale. Prima solo la classe politica, i partiti che avevano una rappresentanza parlamentare, avevano il diritto di procedere alla riforma della Costituzione.

Abbiamo però un grande punto debole, che è quello della mentalità dei funzionari pubblici. Alcuni non hanno ancora compreso cosa significhi essere un pubblico funzionario. Non ho bisogno, ho sempre detto, di semplici funzionari pubblici, ho bisogno di rivoluzionari al servizio del popolo boliviano. E trovare persone che siano al servizio del popolo non è ancora facile. Questa mentalità, una mentalità direi coloniale, l’eredità del padrino, del padrone, del saccheggiatore, dello sfruttatore, non è semplice da superare. Ed è una delle debolezze che presenta ancora la Bolivia.

Abbiamo cominciato a cambiare, ma ancora non basta: sicuramente continuerà ad essere determinante la partecipazione dei movimenti sociali a queste profonde trasformazioni.

 

Un processo di cambiamento inarrestabile

Prima il ministro degli Esteri spagnoli mi diceva: in Bolivia c’è molta mobilitazione, un’elezione dopo l’altra, un referendum dopo l’altro, quello revocatorio, quello per approvare la nuova Costituzione. Io gli ho risposto: prima si passava da golpe a golpe, oggi da elezione a elezione. Posso essere soddisfatto: ogni anno ci sono elezioni e referendum, ma non colpi di Stato.

La nostra nuova Costituzione, approvata dal popolo boliviano, non permette l’installazione di alcuna base militare straniera, tanto meno degli Stati Uniti. Voglio che i fratelli europei e spagnoli mi intendano: dove ci sono basi militari degli Stati Uniti ci sono colpi di Stato, la pace è in pericolo, la democrazia scricchiola. La presenza di militari stranieri durante gli anni ’90 e in parte del decennio precedente e di quello successivo l’ha ampiamente dimostrato. Fortunatamente, grazie alla coscienza del popolo boliviano, tutto questo è finito. Vorrei chiedere ai movimenti sociali dell’Europa e del mondo: aiutateci a eliminare le basi militari dall’America Latina. Per la vita, per la democrazia e per la pace e la giustizia sociale.

Sono sicuro, sorelle e fratelli, che il processo di liberazione, il processo di profonda trasformazione in corso non solo in Bolivia ma in America Latina, sia un cammino senza ritorno. In Bolivia il processo di trasformazione democratica è inarrestabile. Perché dico questo? Perché voi, fratelli che vivete qui, è bene che sappiate che varie volte gruppi neoliberisti della destra fascista e razzista hanno tentato di rovesciare il mio governo. Il primo anno dicevano: povero indio, resisterà tre, quattro, cinque, sei mesi al massimo, non sarà in grado di governare e se ne andrà, lo manderanno via. Era il 2006. Poi è arrivato il 2007. Cosa hanno cominciato a pensare questi gruppi? Questo indio rimarrà per molto tempo, bisogna fare qualcosa. È venuto il 2008. E nel 2008 hanno fatto qualcosa. E cosa? Prima hanno tentato di mandarmi via con il voto del popolo boliviano, attraverso il referendum di revoca. E io ho accettato di sottopormi al referendum. Voi saprete che le elezioni presidenziali le abbiamo vinte con il 54% dei voti. Ebbene, nel referendum revocatorio il popolo ha ratificato il nostro mandato con il 67 % delle preferenze.

Avendo fallito con il referendum, hanno tentato allora con un colpo di Stato: civile, non militare. Ma anche questo è fallito. E qui voglio esprimere gratitudine nei confronti dei Paesi europei, dell’Unasur, delle Nazioni Unite, per la loro difesa della democrazia. È venuto poi il grande trionfo del popolo boliviano, alla forza e coscienza del quale dobbiamo l’approvazione della nuova Costituzione. Abbiamo ora l’obbligo di mettere in pratica questa nuova Costituzione politica che, a livello di diritti sociali, alcuni in Europa mi dicono sia più avanzata che nei loro Paesi. E di che diritti parliamo? Non solamente dei diritti individuali, dei diritti politici, ma anche di quelli collettivi. Tutti i servizi essenziali appartengono alla sfera dei diritti umani e quindi non possono essere affidati ai privati: deve essere salvaguardato il loro carattere pubblico.

Però vi sono alcune questioni che non abbiamo ancora potuto risolvere (...), come quelle relative al tema dell’im-migrazione e della documentazione corrispondente. (...).

 

Nessun essere umano è illegale

Un tema che è stato motivo di permanente preoccupazione è quello del voto dei boliviani residenti all’estero. Nel 2006 abbiamo presentato un progetto di legge al Congresso nazionale. La Camera dei deputati l’ha approvato senza alcuna limitazione. Ma dal 2006 al 2009 è rimasto bloccato al Senato, avendo evidentemente i senatori neoliberisti paura dei fratelli che hanno lasciato la Bolivia in cerca di migliori condizioni di vita. Alla fine la pressione ha fatto sì che venisse approvata una legge sul voto dei boliviani all’estero, ma con dei limiti, e non secondo il progetto originario. Non sono d’accordo nel limitare il diritto dei cittadini boliviani che vivono all’estero: è un attentato ai diritti umani. Ma intanto abbiamo mosso un primo passo, per quanto limitato.

Quanto al tema dell’immigrazione, vorrei ricordare ai governi dell’Europa e del mondo, specialmente ai primi, come un tempo, quando erano gli europei e gli spagnoli ad andare in Bolivia, nessuno dei nostri antenati li considerasse illegali. Ora che sono i latinoamericani a venire in Europa non dovrebbe essere diverso, perché tutti, tutti quanti, abbiamo il diritto di abitare in qualunque parte del mondo, rispettando le norme di ciascun Paese. Dichiarare illegali gli immigrati è un grande errore.

Fortunatamente, molti Paesi vanno sommandosi alle nostre proposte e speriamo che le Nazioni Unite emanino presto delle norme che riconoscano gli immigrati come cittadini legali - ripeto, nel rispetto delle norme di ogni Paese -, siano essi investitori o persone in cerca di migliori condizioni di vita. E questa sarà un’altra battaglia.

 

Il debito ambientale

Un altro tema centrale, sorelle e fratelli, è quello del-l’ambiente. Sicuramente vi saranno qui molte persone originarie di La Paz. Beh, immaginate il nostro Chacaltaya senza più ghiacciai. In Potosí, neanche il Chorolque ha più ghiacciai. Queste montagne dell’altipiano boliviano ogni giorno che passa vanno perdendo il loro poncho bianco. Domandiamoci di chi sia la responsabilità: dei modelli di sviluppo capitalista, della esagerata e illimitata industrializzazione di alcuni Paesi dell’Occidente. Questo problema, tuttavia, riguarda l’umanità intera. E così sono arrivato alla seguente conclusione: in questo momento, in questo nuovo millennio, è più importante difendere il diritto della Madre Terra che il diritto dell’essere umano. Se non difendiamo i diritti della madre terra, a nulla servirà difendere i diritti dell’umanità.

Ai fratelli che hanno a cuore l’essere umano, ai tanti movimenti sociali, agli intellettuali, alle personalità impegnate nella difesa dell’ambiente e dunque della Madre Terra, voglio dire: uniamoci, mettiamoci insieme, aiutiamo i presidenti, i governi a difendere il diritto della Madre Terra, a difendere il pianeta per salvare l’umanità. Se non ci uniamo, se non iniziamo a lavorare insieme, da qui a venti, trenta o cinquanta anni, quale sarà la situazione di ognuno? Che sia un indigeno, un operaio, un imprenditore o un dirigente di una transnazionale, la sua vita sarà in pericolo. L’unico modo di garantire la vita degli esseri umani che abitano questo pianeta è difendere la Madre Terra.

Abbiamo un’enorme responsabilità: il nobile e sacro compito di difendere l’ambiente. Invito i Paesi industrializzati a pensare seriamente di estinguere il loro debito climatico, il debito storico contratto per i danni inferti all’am-biente. (...). Moltissime grazie a tutti, fratelli e sorelle. Continueremo a lavorare per l’uguaglianza, per la dignità, per il bene dei boliviani e di tutti i latinoamericani, per la loro liberazione.

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