DON GIORGIO DE CAPITANI, TRA MINACCE DI MORTE E ATTACCHI MEDIATICI: “MA TETTAMANZI NON MI HA CONDANNATO”
Tratto da: Adista Notizie n° 102 del 17/10/2009
35230. ROVAGNATE (LC)-ADISTA. Per una rapida rassegna degli insulti che gli sono piovuti addosso non serve andare a leggere le lettere e i messaggi arrivati in canonica o spediti via posta elettronica (e prontamente resi pubblici sul suo blog). Basta sfogliare i giornali che dopo l’attentato di Kabul si sono occupati di lui: don Giorgio De Capitani – “residente con incarichi pastorali” a Sant’Ambrogio in Monte, piccola frazione di Rovagnate, in provincia di Lecco – è da giorni nell’occhio del ciclone per le sue parole sui militari italiani morti in Afghanistan (v. Adista n. 96/09). “Mercenari”, li ha definiti don Giorgio, “pagati profumatamente dal governo, cioè da noi, per svolgere un mestiere (perché parlare di ‘missione’, parola nobile da lasciare solo ai testimoni della carità?) che consiste nello sparare su bersagli umani, senza distinguere troppo se si tratta di bambini o di nemici armati”.
Il Giornale della famiglia Berlusconi ha dedicato una serie di articoli a don Giorgio, ribattezzato “il prete rosso senza pietà”; ancor più violento è stato l’attacco di un settimanale della sua provincia, il Giornale di Merate: il “Mullah De Capitani”, ha scritto un editorialista del giornale brianzolo, “è solo un ‘pazzo’ che gioca con l'ostia consacrata come i terroristi talebani giocano con il tritolo. Abbiamo capito una cosa: i ‘farabutti’ esistono davvero. Qualcuno travestito da giornalista, qualcuno da politico. Altri ancora da prete”.
Ma c’è chi non la pensa allo stesso modo: il prossimo 28 ottobre, don Giorgio sarà insignito del Premio nazionale "Paolo Borsellino" per il suo impegno sociale e civile. Giunto alla 14.ma edizione e patrocinato dal Consiglio regionale abruzzese, il premio è stato assegnato negli anni scorsi a personalità quali Rita Borsellino, Gian Carlo Caselli, don Luigi Ciotti, Pietro Grasso, Giuseppe Lumia. Intanto, nel piccolo paesino a 20 km da Lecco, nella diocesi di Milano, qualcuno non si è limitato all’invettiva e sono arrivate anche minacce più esplicite. E così la prefettura ha dovuto predisporre per il prete un programma di protezione. Adista ha parlato dell’intera vicenda con lo stesso don Giorgio, che nei giorni scorsi ha incontrato il suo arcivescovo, il card Dionigi Tettamanzi.
Don Giorgio, può parlarci delle minacce che ha ricevuto in seguito al suo intervento sulla morte dei sei militari italiani a Kabul?
Le minacce che ho ricevuto sono di due tipi: minacce indirette, cioè offese e insulti, conditi dall’augurio di vedermi morto o cose del genere; e minacce dirette. Queste ultime sono giunte da un sedicente gruppo “patriottico”, che in una lettera inviata via posta mi ha suggerito di stare attento ad uscire di casa la sera perché potrebbero uccidermi. Questa è la prima volta che un gruppo organizzato mi minaccia e infatti anche la polizia e i carabinieri si sono un po’ allarmati.
È per questo che è stato predisposto un programma di protezione?
No, quello era già scattato precedentemente. Per la precisione da quando il Giornale di Feltri ha cominciato la sua campagna contro di me e, indirettamente, anche contro il cardinal Tettamanzi, a cui veniva rimproverato di non prendere provvedimenti contro il sottoscritto. È da quel momento che le minacce si sono intensificate.
Il 20 settembre scorso la Curia di Milano ha diffuso un comunicato in cui si legge che l’arcivescovo “prende le distanze dalle prese di posizione personali del prete ambrosiano don Giorgio De Capitani, le cui dichiarazioni, giorni fa, sono già state oggetto di richiamo (solo parzialmente recepito)”. Nel corso del suo recente colloquio quale è stato l’atteggiamento del card. Tettamanzi nei suoi confronti?
Ho incontrato il cardinale sabato 26 settembre. Mi hanno raccomandato di non parlare pubblicamente del nostro colloquio, ma con il personale della Curia eravamo rimasti d’accordo che avrebbero fatto un comunicato in cui si diceva che ci eravamo incontrati e ci eravamo chiariti. Invece quel comunicato non è stato fatto, e allora io mi sento legittimato a rendere noti i contenuti della nostra conversazione.
Il nostro cardinale è di una umanità veramente eccezionale. È uno che sa ascoltare e per questo mi ritengo molto fortunato ad avere lui come arcivescovo. Purtroppo è da tempo sotto il tiro incrociato di Comunione e Liberazione e della Lega. Pensi che l’ex ministro Castelli ha scritto per ben due volte al cardinale per sollecitarlo a prendere provvedimenti contro di me. Ma lui non ha risposto, perché dice che questi non sono affari di cui si deve occupare la politica.
Per tutto il nostro colloquio il cardinale ha battuto su un solo punto: “Il nostro punto di riferimento è il Vangelo, solo il Vangelo”, mi ha detto. “E se arrivano delle critiche non bisogna preoccuparsi se si è stati fedeli al Vangelo”.
Io mi sono permesso di fargli anche qualche domanda un po’ audace, e gli ho chiesto perché il Vaticano non dice niente su Berlusconi. E lui mi ha risposto: “Siamo esseri umani anche noi”. Più chiaro di così!
Può dirci se il cardinale ha fatto cenno anche all’ap-pello “Per la libertà sul fine vita” promosso da MicroMega e che lei ha firmato insieme ad altri 40 preti? Alcuni dei firmatari hanno già ricevuto un’ammonizione da parte del proprio vescovo su indicazione della Congregazione per la Dottrina della Fede…
A dire il vero sono io che ho sollevato la questione. Se fosse stato per lui avrebbe sorvolato senza dirmi nulla. Gli ho chiesto: “Eminenza, ma è vero che è arrivata una lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede…?”. E lui mi ha risposto: “Sì, ma come vedi io non te l’ho data”. Come per dire: il discorso finisce qui. Se io non avessi fatto quella domanda lui non avrebbe neppure posto il problema.
Il 23 ottobre ci sarà a Roma un’iniziativa di solidarietà per i 41 preti…
Credo sia un’iniziativa importante alla quale, ovviamente, aderisco. Noi 41 firmatari abbiamo ricevuto attacchi davvero feroci per aver espresso un’opinione del tutto legittima e del tutto all’interno degli insegnamenti del Catechismo della Chiesa cattolica. È importante che ci sia un appuntamento pubblico dove possiamo manifestare quella solidarietà che talvolta, anche tra di noi, manca.
Qualcuno, pur solidarizzando con lei per le minacce ricevute e dichiarandosi d’accordo nel merito delle questioni, ha rilevato che il linguaggio che lei utilizza è talvolta “sopra le righe” e nuoce alle stesse giuste battaglie che lei porta avanti. Cosa replica a tali critiche?
Questo è l’unico aspetto sul quale anche il cardinale mi ha mosso un appunto. “Moderazione”, mi ha raccomandato il cardinale, “moderazione”. E allora io ho chiesto esplicitamente: “Eminenza, moderazione nel contenuto o nella forma, nelle espressioni verbali?”. E lui mi ha fatto capire che si riferiva alle espressioni verbali.
Mi ha fatto anche promettere di non dire più parolacce. Ora: io terrò senz’altro fede a questa promessa, ma ci tengo a precisare una cosa. Se in passato non avessi usato un certo metodo, un certo modo di comunicare che per molti è un “pugno nello stomaco”, nessuno avrebbe ascoltato il mio messaggio. Il mio è un linguaggio forte, colorito, talvolta esagerato, però è anche un modo per farsi sentire. La Lega si impone con un linguaggio, senza contenuto; io ho usato un linguaggio con un contenuto. Questa è la differenza tra me e la Lega.
Quindi nessun pentimento sulle parole usate per i soldati italiani morti a Kabul?
Io ho usato una sola parola che ha creato tanto scandalo: la parola “mercenario”. Quattro anni fa quella parola l’ho usata anche in chiesa, ma senza internet (non avevo ancora il mio blog) ovviamente la cosa non è circolata e non ha scatenato il putiferio che ha scatenato nei giorni scorsi.
Comunque quella parola non la ritiro. Non so francamente perché provochi questa reazione esagerata nelle persone. Ma è ciò che descrive la professione di questi uomini che vengono pagati per fare la guerra. E una guerra, per giunta, profondamente sbagliata. Che c’è di male a dire queste cose? (emilio carnevali)
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