TANTI SUCCESSI, ALCUNI LIMITI: IL BILANCIO DI 12 ANNI DI GOVERNO CHÁVEZ
Tratto da: Adista Notizie n° 75 del 09/10/2010
35801. CARACAS-ADISTA. Se l’amara vittoria di Hugo Chávez alle elezioni del 26 settembre scorso (v. notizia precedente) impone una rapida e profonda revisione dell’azione di governo, ciò non toglie che, al di là dei limiti e delle lacune esistenti, il bilancio della rivoluzione sia largamente e indiscutibilmente in attivo. E ciò malgrado la pessima pubblicità di cui gode il presidente, considerato da gran parte dell’informazione “ufficiale” un caudillo e un populista, quando non esplicitamente un tiranno, non essendo evidentemente bastati a dimostrare il contrario i 15 processi elettorali per cui è passato il governo, tutti vinti tranne uno (quello del referendum sulla riforma della Costituzione venezuelana nel 2007, perso di strettissima misura, 50,7% contro 49,3%: percentuali che, se fossero risultate invertite, avrebbero di sicuro fatto gridare la destra alle frodi e al colpo di Stato). Così come, a rivelare l’infondatezza della tesi delle violazioni alla libertà di espressione, non basta evidentemente il fatto che, come sottolinea ad esempio Ignacio Ramonet, direttore di Le Monde Diplomatique, l’80% delle emittenti radiofoniche e dei canali televisivi appartenga al settore provato e solo il 9% sia in mani pubbliche.
Un lungo elenco di successi
Lunga sarebbe la lista dei risultati ottenuti nei 12 anni di governo Chávez. I proventi derivati dalla nazionalizzazione dei grandi depositi di idrocarburi hanno consentito di migliorare le condizioni di vita di milioni di poveri delle favelas, attraverso, per esempio, l'accesso gratuito alla sanità, sulla base del sistema cubano del medico di famiglia (grazie a cui oltre ventimila lavoratori della salute abitano e convivono con il popolo nei luoghi più poveri); l'accesso all'educazione tramite progetti che vanno dall’alfabetizzazione di adulti e adolescenti fino a programmi diretti ai giovani che vogliono andare all’università (il Venezuela è considerato dall’Unesco un Paese libero dall'analfabetismo; un caso raro, tra i Paesi dell'emisfero Sud) o l'accesso ai beni alimentari al prezzo di costo, attraverso una rete locale di negozi non appartenenti allo Stato. Ed è così che, secondi i dati dell’Istituto nazionale di Statistica, rispetto al decennio che ha preceduto l’avvento di Chávez, l’investimento in campo sociale è quintuplicato, permettendo al Venezuela di raggiungere quasi tutti gli Obiettivi del Millennio fissati dall’Onu per il 2015.
Ma la grande sfida del governo Chávez è stata anche quella di riuscire a elaborare un progetto di sviluppo duraturo per il Paese, formulando due linee distinte e complementari di riflessione: quella dello “sviluppo endogeno”, per far sì che in ciascuna regione venga organizzata la produzione sia agricola che industriale dei beni necessari alla popolazione (in modo da innescare un processo di produzione di ricchezza locale, di distribuzione di reddito a livello locale, di creazione di posti di lavoro a livello locale) e quella, ancora tutta da definire, del socialismo del XXI secolo. Un dibattito, questo, che, se non ha ancora prodotto risultati decisivi, ha avuto almeno il merito di avviare una discussione tra i lavoratori orientata alla creazione di forme autogestite e cooperative di fabbriche e stabilimenti industriali, come è accaduto nei casi in cui i proprietari capitalisti sono fuggiti dal Paese o hanno dichiarato fallimento e nei casi in cui lo Stato ha costruito una nuova fabbrica stabilendo una sorta di collaborazione con i lavoratori. Né si possono tacere i risultati positivi ottenuti nel perseguire la democratizzazione della società, l'ampliamento dei poteri delle fasce popolari e della popolazione indigena, il consolidamento dello Stato nel suo carattere pubblico, la fine dell’autonomia della Banca Centrale, la riduzione della giornata di lavoro, il divieto del latifondo. E, a livello latinoamericano, la creazione dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per l’America, il progetto di integrazione più avanzato e innovativo del continente, a cui Chávez ha offerto un contributo determinante.
Le difficoltà del governo di fronte alla crisi economica
Se il bilancio dei 12 anni di governo Chávez è estremamente positivo, le difficoltà non sono certo mancate, aggravandosi con la recente crisi economica globale. Nel 2009, infatti, l’inflazione è arrivata al 25% e potrebbe salire nel 2010 fino al 40%. Il tasso di crescita è stato negativo (meno 3,3%) e si prevede che lo sarà anche quest’anno: essendo il Venezuela fortemente dipendente dagli idrocarburi (il 90% del totale delle esportazioni), il crollo del prezzo del petrolio da 120 a 40 dollari al barile doveva necessariamente colpire in maniera grave l’economia del Paese. Ma, di fronte alla crisi, il governo, anziché stimolare gli investimenti, ha preferito tagliare le spese, provocando una recessione. A cui si è aggiunta poi una siccità senza precedenti, con conseguenti problemi nella somministrazione di energia e gravi paralisi nell’attività industriale. Infine, un’errata politica di supervalutazione del bolivar, la moneta locale, ha determinato una riduzione delle esportazioni, che a sua volta ha aumentato il tasso di inflazione.
Tuttavia, come sottolinea Luiz Eça sul Correio da Cidadania (12/8), la situazione è ben lungi dall’assomigliare, per esempio, a quella della Grecia. Il debito pubblico venezuelano è pari ad appena il 19,9% del Pil, a fronte di un debito pubblico medio dell’Unione Europea del 79%. E, mentre il prezzo del petrolio sta risalendo, il governo è tornato ad investire, avviando un grande progetto di aumento della produzione di energia elettrica. Al di là del problema dell’eccessiva dipendenza dal petrolio, a cui il governo non ha finora dato adeguata risposta, è poi sicuramente un merito di Chavez il fatto che i tagli alle spese non abbiano interessato l’area sociale, a cui si è continuato a destinare il 40% del bilancio. Così la disoccupazione è stata mantenuta sotto controllo, a un indice dell’8,2% che si rivela decisamente migliore di quello di altri Paesi della regione; il livello di povertà è caduto al 23% (era del 54% nel 1999, con una riduzione dell’indigenza dal 25% al 5%); il salario minimo è rimasto il più alto dell’America Latina; i fondi destinati all’educazione sono ancora pari al 6% del bilancio (nei Paesi ricchi la media è del 3,9%); il tasso di disuguaglianza sociale è il più basso del continente.
Il tallone d’Achille della criminalità
Più grave ancora del problema della recessione e dell’aumento dell’inflazione è quello della criminalità: solo a Caracas, tra gennaio e settembre del 2009, si sono registrati 1.976 omicidi. In realtà, come mostra sull’edizione colombiana di Le Monde Diplomatique (17/8) Maurice Lemoine, la violenza non è una creazione del governo Chávez: secondo Miguel Ángel Pérez, vicepresidente dell’Instituto de Estudios Avanzados (Idea), gli anni ’90 “sono stati terribili: non si poteva uscire per strada!”. È un fatto però che, investendo tante risorse ed energie nei programmi sociali, il governo abbia finito per trascurare del tutto il problema dell’insicurezza. Una delle difficoltà principali, spiega Lemoine, è che ogni governatore dispone di un proprio corpo di polizia, ciascuno con regole proprie (a Caracas, addirittura, esistono cinque polizie municipali e la polizia metropolitana, a volte di segno politico opposto). “Repressiva, sprovvista di sensibilità sociale, a volte implicata nella delinquenza e nei diversi traffici, la polizia - sottolinea Lemoine - è vissuta come una piaga dai venezuelani”. Secondo il ministro dell’Interno Tareck El Aissami, i poliziotti sarebbero responsabili addirittura del 20% dei crimini commessi nel Paese. Ed è con la loro complicità che il narcotraffico proveniente dalla Colombia non solo è penetrato in Venezuela – area di transito verso Stati Uniti e Africa –, ma ha anche ampliato la sua influenza a Caracas, con il conseguente aumento del numero di adolescenti tossicodipendenti e dunque facile preda della criminalità. In questo quadro, il 13 maggio scorso Chávez ha inaugurato il Centro de Formación Policial (Cefopol) nell’Universidad Nacional Experimental de la Seguridad (Unes), destinata a dar vita a una Polizia Nazionale Bolivariana, sulla base di nuovi metodi, di una nuova filosofia e di una rinnovata attenzione ai diritti umani.
Ma, come evidenzia Lemoine, c’è anche un altro fattore, più preoccupante ancora: quello legato alla presenza di paramilitari negli Stati di frontiera di Táchira, Apure e Zulia, una sorta di quinta colonna impegnata a creare un clima di insicurezza allo scopo di favorire la nascita di un para-Stato. La conclusione non è incoraggiante: se il 13 aprile del 2002, due giorni dopo il colpo di Stato, fu la massiccia mobilitazione popolare a riportare Chávez al potere, oggi, in caso di nuovo golpe, con paramilitari armati e ben organizzati nei quartieri popolari, un altro 13 aprile, secondo l’intellettuale Luis Britto García, sarebbe difficilmente possibile. Di certo, come sostiene Miguel Ángel Pérez, “il caos creato da questi gruppi criminali risponde agli interessi della destra. Quanti più morti vi siano, tanti più voti avrà l’opposizione”. (claudia fanti)
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