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Maggioritario. Gianni Ferrara: un sistema a «naufragio universale»

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 19/02/2011

La proposta di Raniero La Valle di costituire una grande “alleanza per la Costituzione” da Fini a Diliberto, per neutralizzare la legge elettorale “porcata” di Calderoli, vanificando (nel caso tale coalizione superasse il 55% dei consensi) l’enorme premio di maggioranza che la legge garantisce al partito o alla coalizione che vince le elezioni (v. Adista nn. 3 e 9/11), è stata ripresa da diversi leader e formazioni politiche. Ciascuno l’ha declinata a suo modo: da D’Alema che ne vuole fare uno strumento per aprire una fase “Costituente”, a chi invece pensa semplicemente ad una union sacrée contro Berlusconi. In ogni caso, la proposta pare oggi guadagnare consensi. E, con essi, anche maggiori possibilità di vedere la luce.
Trascurandone i risvolti “tatticisti”, la proposta di La Valle mira ad affrontare direttamente il problema della involuzione della democrazia parlamentare nel nostro Paese e il sistema maggioritario che ne è stato causa scatenante, poiché ha stravolto il modello di democrazia voluto dai Costituenti. È proprio su questo aspetto che Adista ha chiesto l’opinione di Gianni Ferrara, professore emerito di Diritto Costituzionale all’Università la Sapienza di Roma.

Cosa pensa della proposta di Raniero La Valle?
La ritengo meritevole della massima attenzione, perché è tecnicamente l’unico strumento che si può adottare per rovesciare la maggioranza parlamentare, che è peraltro il frutto di una artificiosa ingegneria elettorale.
Sono convinto però che anche dopo quello che è successo nelle ultime settimane – che mortifica il Paese e lo precipita nel baratro dell’ignominia politica, giuridica e costituzionale – le elezioni politiche non sarebbero facilmente vinte dalle opposizioni.
Certo, le opposizioni aggregate potrebbero far saltare questa legge elettorale truffaldina ma è difficile che l’accordo tra tante forze politiche diverse si possa realizzare. La sortita di D’Alema infatti – francamente preoccupante, visto che parla di una legislatura “costituente” – non ha trovato unanimi consensi. Insomma, se la proposta di La Valle tecnicamente è ineccepibile ed è di alto profilo, politicamente la trovo difficilmente realizzabile.

Una proposta che individua, nel sistema maggioritario, il “grimaldello” che ha scardinato la democrazia rappresentativa voluta dalla Costituzione.
Sono sempre stato un fiero avversario del maggioritario, sin dagli anni ’80, ai tempi della “grande riforma”. Oggi ritengo che, di fronte ai disastri prodotti da questo sistema, la lotta non è solo giusta, ma sacrosanta. Non tutti però in questi anni hanno compreso che la strada delle riforme e dell’ingegneria costituzionale è truffaldina, perché il problema italiano è un problema esclusivamente politico, che si affronta con azioni politiche, la prima delle quali dovrebbe essere di restituire dignità e rappresentanza al Parlamento. Le due Camere sono oggi composte dagli “impiegati” dei pochi signori che hanno stilato le liste elettorali nelle due ultime elezioni politiche. Ed è del tutto evidente che i nominati si comportano come “dipendenti” dei capi partito. E quando il capo partito è anche presidente del Consiglio, è ovvio che i nominati siano dipendenti del presidente del Consiglio. Ma il Parlamento ha il compito di controllare l’azione del presidente del Consiglio, mentre con l’attuale perverso sistema il Parlamento finisce per essere controllato, anzi dominato dal presidente del Consiglio. Tanto più che il maggioritario premia in maniera esorbitante il partito (o la coalizione) che prevale nella competizione elettorale. E quindi concede al presidente del Consiglio un numero enorme di “dipendenti”.

Molti si lamentano che il Paese è “spaccato in due”. Ma non è proprio di ogni sistema maggioritario lo stato di perenne conflitto tra due schieramenti quasi equivalenti?
Certo. Per questo la forza del Parlamento disegnato dalla nostra Costituzione stava nella possibilità di una mediazione tra gli schieramenti, e poi nel principio che chi vince non prende tutto. L’attuale visione assolutistica della maggioranza è invece quanto di più contrario ci possa essere all’idea della democrazia parlamentare, e quindi alla Costituzione. In Parlamento è necessario il confronto per arrivare, se non al compromesso, almeno alla ricezione delle istanze delle minoranze. Oggi abbiamo la dittatura della maggioranza, che è per di più maggioranza posticcia, poiché tale solo formalmente, in quanto costituitasi grazie ad un premio che fa diventare maggioranza la minoranza più forte.

E che inficia anche gli organi di garanzia e di bilanciamento dei poteri previsti dalla nostra Carta...
E infatti oggi i presidenti di Camera e Senato e i giudici costituzionali vengono eletti da maggioranze che non sono realmente tali. Ma siccome lo sono numericamente, queste maggioranze evitano ormai qualsiasi sforzo di trovare un punto di sintesi con le altre forze parlamentari.

Ma tante contraddizioni non dovrebbero portare, prima o poi, all’implosione del sistema o per lo meno ad un suo ripensamento, specie da parte della sinistra?
Sì, se ci fosse consapevolezza di quello che sta accadendo da venti anni a questa parte. Ma sono molto scettico sul fatto che si stia diffondendo una coscienza critica su questi temi. Il mio pessimismo è motivato da una serie incredibile di errori commessi dalle forze politiche “progressiste” e mai ammessi o discussi. Errori culminati nel referendum del 1993, quello che abolì il sistema proporzionale nel nostro Paese. La raccolta di firme, promossa da Segni e Barbara, fu sostenuta con vigore dall’allora segretario del Pds Occhetto, che ritengo il maggiore responsabile del disastro che ne seguì.

Del resto, il maggioritario non garantisce nemmeno la governabilità, suo vessillo ideologico.
Ma quale governabilità! Il sistema precedente quello sì era stabile! Era talmente stabile che in 40 anni nel nostro Paese si sono alternati sono due indirizzi politici; quello centrista e quello di centrosinistra, con l’eccezione di un paio di anni di “unità nazionale”, falliti miseramente dopo l’assassinio di Aldo Moro.

Con l’attuale sistema, anche il governo perde di collegialità. Il prmier, che dovrebbe promuovere e coordinare l’azione dei ministri, esercita una funzione direttiva come nel modello anglosassone.
Con poteri ancora maggiori, per la verità, perché il premier, in Inghilterra, è sempre il capo del partito di maggioranza. E se il partito di maggioranza mette in discussione il suo leader, ciò si riflette automaticamente anche a livello dell’esecutivo. In Italia, invece, il presidente del Consiglio è di fatto fuori da ogni tipo di controllo sul suo operato.

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