“CRISTIANI IN RICERCA” DI SENSO. E DI CHIESA. UN INCONTRO A CAMALDOLI
Tratto da: Adista Notizie n° 37 del 14/05/2011
36131. CAMALDOLI (AR)-ADISTA. (dall’inviato) «Pensarsi cristiani senza erigere barriere difensive, ma anche senza perdere la propria specificità», divisi tra «il desiderio di coltivare la propria fede da soli, andando oltre le comunità di riferimento tradizionali», evitando così «forme di religiosità in cui la proposta di fede risulta sempre più sbiadita, quasi evanescente» e il desiderio di appartenere ad una comunità radicata e strutturata. Insomma, «credere senza un’appartenenza ecclesiale»; oppure cercarne una diversa. Sono solo alcuni degli spunti della lettera di “convocazione” al III incontro (29 aprile-1.mo maggio) dei “Cristiani in ricerca”. Il gruppo si ritrova dal 2009 a Camaldoli, nel Casentino, per mettere a confronto desideri e dubbi di una generazione, quella nata negli anni ‘70- ‘80, che se da un lato sente tutta l’estraneità e il distacco da una serie di dinamiche ecclesiali “istituzionali”, dall’altra proviene però da una esperienza di fede formatasi e maturata all’interno delle parrocchie e dell’associazionismo: coglie quindi tutta la criticità di una domanda di senso che si fa sempre più radicale, ma stenta a trovare luoghi e forme in cui dare concretezza a questa ricerca spirituale.
Tra identità e fede
E infatti, il tema dell’incontro di quest’anno “Credere senza appartenere? Dilemmi dell’identità cristiana oggi”, era particolarmente fecondo di spunti e temi di ricerca. Emanuele Bordello, già presidente della Fuci, nel presentare i lavori, ha sottolineato la dicotomia tra un’appartenenza pubblica, visibile ed a volte ostentata ai “valori” ed agli insegnamenti della Chiesa che oggi molti rivendicano come possibile anche al di fuori di un percorso di fede; e l’atteggiamento di chi crede, ma non avverte come necessaria la mediazione organizzata e strutturata dell’istituzione ecclesiastica. Questi ultimi sono sempre più invisibili, perché stentano ad incidere nella dimensione collettiva, mentre gli “atei devoti” egemonizzano il dibattito pubblico, perché si appropriano degli elementi esteriori e dei simboli della fede, al di là di ogni adesione reale ad essa, in funzione esclusivamente “identitaria”: come accade con il crocifisso «usato strumentalmente come baluardo contro gli elementi di secolarizzazione e disgregazione culturale della società occidentale».
Tra fede e appartenenza
Il tema dell’appartenenza senza fede è stato al centro della riflessione del primo dei due relatori invitati a Camaldoli, Roberto Repole, docente della sezione torinese della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Per Repole, che pure ha ammesso la crisi della dimensione pubblica della fede, a causa anche dei fenomeni di secolarizzazione avanzata, non è possibile vivere la fede cristiana senza una dimensione “istituzionale” (Chiesa, scrittura, sacramenti, professione di fede) all’interno della quale lo Spirito si manifesta.
Più problematica Stella Morra, docente al Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma, che ha contestato i termini stessi di “identità” (che mal si concilia, ha sottolineato, con un Dio trinitario) ed “appartenenza”, preferendo ad essi quelli di “fede” e “forma”. Una forma, quella in cui si concretizza la nostra vita cristiana che, ha sottolineato la Morra, è nata con la riforma gregoriana ormai mille anni fa, e che da tempo è in crisi. Noi facciamo ancora i conti con il Vaticano, i preti, la Curia, il celibato ecclesiastico, le Congregazioni. Ma tutto questo, necessariamente, è destinato a cambiare. Oggi però, ha sostenuto la teologa, ci troviamo nel mezzo di una lunga stagione di «transizione culturale», all’interno della quale non è ancora possibile scorgere quali “forme” la Chiesa assumerà in futuro. E l’attesa crea spesso incertezza e sgomento. Per questo, secondo la Morra, negli ultimi 20 anni molti gruppi e comunità hanno auspicato un ritorno alle origini, alla Chiesa degli Atti degli Apostoli. Ma la dimensione della vita cristiana esclude l’idea ciclica della storia, con un’età dell’oro che deve ripresentarsi. L’età dell’oro, per i cristiani, è sempre quella che deve ancora venire. In ogni caso, anche la Morra, come Repole, ha ribadito l’importanza per i cristiani di sapersi “conformare” ad una vita comunitaria condivisa: «Anche se non sempre in un matrimonio c’è lo stesso entusiasmo – è stata la metafora utilizzata dalla Morra – difficilmente i due coniugi potrebbero pensare se stessi in un altro luogo, con un’altra persona».
In politica niente “appartenenza”
Piuttosto intenso il dibattito seguito alle relazioni, proseguito anche all’interno dei laboratori. Moltissimi i temi affrontati, alcuni scottanti. Ad esempio Domenico, da Bari, ha posto il problema di quelle che ha definito le «appartenenze delinquenziali», molto diffuse al Sud: ad esempio quella dei mafiosi, che si mettono in mostra nelle processioni religiose, che ostentano la propria “appartenenza”, con la connivenza del clero o mediante pressioni che l’istituzione ecclesiastica non è in grado di respingere. Simona ha invece rilevato come i cristiani diano spesso per scontato l’annuncio del Vangelo, affannandosi a parlare di temi “dottrinali” o “morali”, trascurando la testimonianza. Con il risultato di creare cortocircuiti: come è possibile, ha proseguito, che l’eucarestia possa essere escludente in relazione a certe categorie di persone; «se il peccato è una realtà che riguarda tutti gli esseri umani, con che autorità escludiamo dall’eucarestia alcuni specifici “peccatori”?».
Sul fronte del rapporto tra Chiesa e società, all’interno del laboratorio sulla politica è emersa in maniera particolarmente forte la convinzione che la gerarchia non dovrebbe intervenire così direttamente nelle questioni politiche, soprattutto quando ciò è fatto per difendere i propri interessi economici o comunque di parte. È stata condivisa la perplessità intorno alla stessa idea che esistano “valori non negoziabili”, in quanto la politica è di sua natura il luogo della mediazione tra proposte diverse. In particolare si è posta la domanda se esista uno specifico del “cattolico” impegnato in politica e la risposta è stata generalmente negativa: tutti hanno rifiutato logiche dirette alla riaggregazione dei cattolici in politica ed anche l’idea che, pur presenti nei diversi schieramenti, i cattolici debbano unirsi nella battaglia intorno a determinati valori individuati dalla gerarchia. Ciò che deve invece caratterizzare il cattolico impegnato in politica è piuttosto l’amore per il prossimo e l’impegno per il bene comune, che ciascuno individuerà in coscienza secondo le proprie sensibilità e realizzerà in compagnia di uomini e donne non credenti o diversamente credenti.
«Un dibattito alto, di fronte ad un pubblico molto consapevole di ciò che nella Chiesa è per molti fonte di disagio, ma desideroso allo stesso tempo di non soffermarsi troppo ad evidenziare unicamente gli aspetti problematici, convinto piuttosto della necessità di aprire percorsi radicalmente nuovi», ha commentato a margine dei lavori Gherardo Pecchioni, del gruppo della Lettera alla Chiesa fiorentina, e tra gli animatori dell’incontro. (valerio gigante)
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