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Il Concilio, un segno profetico per una Chiesa prigioniera del passato. Una riflessione postuma di José Comblin

Tratto da: Adista Documenti n° 68 del 24/09/2011

DOC-2380. MANAGUA-ADISTA. A oltre cinque mesi dalla scomparsa di José Comblin (v. Adista n. 28/11), è davvero un dono prezioso il testo postumo del grande teologo inviato il 25 luglio scorso da suor Mónica Muggler al Movimento cileno Teologie per la Liberazione e pubblicato nel n. 41 della rivista di analisi e riflessione Alternativas di Managua, dedicato a un tema oggi al centro dell’attenzione teologica: “A cinquant’anni dal Concilio Vaticano II: autentiche luci e urgenti sfide”. Un tema affrontato da Comblin con la lucidità, l’onestà e il vigore profetico che ne hanno sempre caratterizzato l’opera, come non ha mancato di ricordare Jon Sobrino in un articolo in memoria del teologo apparso sul n. 82 della Rivista Latinoamericana di Teologia della Uca di San Salvador, parlando di lui come di un «teologo eccezionale, di un «cristiano onesto, radicale e devoto», di un seguace del Vangelo «in sintonia con Gesù di Nazareth e con il suo Dio».

Sobrino ne ricorda le parole pronunciate durante una celebrazione eucaristica in Messico, con l’ostia in mano: «Che il corpo di Cristo ci accompagni fino all’ultima lotta». E quelle dette in occasione del suo ottantesimo compleanno: «Avere fede è molto facile. Non bisogna far altro che guardare i poveri». Quei poveri presso cui, racconta Sobrino, si recava per prima cosa nei suoi numerosi viaggi in El Salvador, l’ultimo dei quali nel 2010, per partecipare al secondo Congresso Internazionale di Teologia celebrato alla Uca in occasione del 30.mo anniversario del martirio di mons. Oscar Romero («Chiaro che accetto l’invito - scrisse allora -. Ma tutto dipende da una circostanza. Avrò 87 anni e non so se li celebrerò su questa terra o in purgatorio. Il Signore non me lo ha ancora comunicato»). «Dopo il Congresso – racconta Sobrino – potemmo concelebrare l’eucaristia per l’anniversario di Monsignore. Stavamo all’interno della cattedrale e potei osservarlo attentamente. Un vescovo del Guatemala lesse un’omelia e, al termine, Comblin fece solo un commento. Gli uscì spontaneo, senza ostilità e con un senso di tristezza: “Convenzionale”. Le migliaia di persone nella piazza meritavano altro. Quello era il Comblin onesto, libero ed evangelico. Ma quel che mi sorprese ancor di più fu la sua devozione».

«Aveva il dono meraviglioso – ha affermato Mônica Muggler, «fedele accompagnatrice per molti anni», come la definisce Sobrino – di riunire in una grande famiglia tutti coloro che sognano una Chiesa più umana, più presente, più amorevole e fedele a Gesù, fedele al suo Vangelo». Un sogno che è possibile ritrovare anche nel testo postumo scritto da Comblin in occasione del cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II, che resterà, secondo  il teologo, come «un segno profetico» in mezzo «a una Chiesa prigioniera di un passato che non sa superare»: il Concilio – si legge - «non riuscì a riformare la Chiesa come avrebbe voluto, ma fu un invito a guardare avanti. Vi sono ancora potenti movimenti che predicano il ritorno al passato. Dobbiamo protestare. Quando persone che non intendono nulla dell’evoluzione del mondo contemporaneo vogliono rifugiarsi in un passato senza apertura al futuro, dobbiamo denunciare. Per noi, il Vaticano II è Medellín. Hanno voluto uccidere anche Medellín. Ma Medellín resta come la luce che ci mostra il cammino».

Di seguito ampi stralci del documento di Comblin, in una nostra traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)

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