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AMICI COME PRIMA. MONTI CONFERMA L’ACCORDO CON LA LIBIA VOLUTO DA BERLUSCONI

Tratto da: Adista Notizie n° 97 del 31/12/2011

36465. ROMA-ADISTA. «Il lupo perde il pelo ma non il vizio», verrebbe da osservare di fronte alla riattivazione – annunciata il 15 dicembre scorso dal premier Mario Monti, durante un incontro istituzionale con il leader del Consiglio Nazionale di Transizione libico (Cnt), Mustafa Abdel Jalil – del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la grande Giamariria libica popolare socialista”, siglato da Berlusconi e Gheddafi il 30 agosto 2008, ratificato dal Parlamento italiano il 4 gennaio 2009 (v. Adista nn. 67/08 e 16/09) e “congelato” durante la repressione della “primavera” libica.

Tra le altre cose, il Trattato prevede, in un lasso di 20 anni, investimenti italiani per oltre 5 miliardi di euro in settori strategici (energia, infrastrutture, ricerca e sviluppo, università, sicurezza) che fanno gola principalmente ai colossi Eni e Finmeccanica. In cambio l’Italia si vedrebbe garantito il “perdono” per le nefandezze coloniali e – cosa più rilevante in termini di realismo politico – il controllo delle coste e la repressione dell’immigrazione clandestina prima che approdi sulle coste italiane.

Nonostante il consenso parlamentare sostanzialmente bipartisan, su quel Trattato – seguito peraltro dalle pirotecniche visite di Gheddafi in Italia (v. Adista n. 66/10) – molti avevano espresso un’irrevocabile condanna. Le associazioni umanitarie (Amnesty International, Human Rights Watch, Asinitas-ZaLab e Fortress Europe) e diverse realtà della Chiesa cattolica (come la rivista dei gesuiti Popoli, quella dei comboniani Nigrizia, l’Associazione Giovanni XXIII), avevano denunciato che l’accordo rappresentava il frutto dell’amicizia personale tra il cavaliere e il colonnello, un regalo immotivato e sproporzionato al regime di Gheddafi, il diabolico precipitato del razzismo di Stato di stampo leghista, l’appalto al regime libico della violazione dei diritti dei migranti, la svendita di questi ultimi di fronte all’esigenza dell’approvvigionamento futuro di petrolio e gas.

Oggi, con non pochi mal di pancia all’interno dello stesso Cnt, quel patto – difficilmente conciliabile con le incontenibili istanze di democrazia della primavera araba – è di nuovo realtà. Cambia certo la modalità dell’accordo tra i leader dei due Paesi, meno folkloristica e più istituzionale. Cambiano i protagonisti del patto, Monti e Jalil, credibili agli occhi dell’opinione pubblica e soprattutto depositari delle speranze di due popoli che cercano di venir fuori dalle loro diverse “crisi”. Questo, forse, il motivo per cui il rilancio del Trattato è passato sotto silenzio e non ha destato lo scandalo atteso, tanto nei media nazionali quanto nell’associazionismo della società civile e religiosa.

Ancora una volta è il webmagazine internazionale dei gesuiti Popoli a prendere la parola: «Il Cnt – è il commento di Andrea Varvelli (dell’Istituto per gli studi di politica internazionale) raccolto dalla rivista il 20 dicembre – ha una scarsa legittimazione politica interna. È un Comitato formato da tecnocrati non eletti ed è sostenuto dall’appoggio che gli arriva dall’estero: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia. È quindi ovvio che, almeno finché non ci sarà un governo legittimato dalle elezioni politiche, il Cnt cercherà di non inimicarsi gli alleati stranieri». Poi, il 21 dicembre, Popoli condanna il «trattato senz’anima» citando, tra le altre, le dichiarazioni del gesuita p. Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli: «L’Italia continua solo a pensare ai problemi economici. Degli immigrati ci si disinteressa completamente, è una materia di cui non ci si occupa. I politici temono di perdere voti alle elezioni perché l’immigrazione non è un tema popolare, ma quello attuale è un governo composto da tecnici che non dovrebbe avere preoccupazioni elettorali». Per questo «mi sarei aspettato che Roma rinunciasse a dare soldi per far costruire a Tripoli centri di detenzione in cui vengono imprigionati gli immigrati. Prigioni nelle quali gli uomini vengono malmenati, le donne violentate e i bambini maltrattati». (giampaolo petrucci)

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