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40 anni di cammino per la difesa nonviolenta

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 45 del 15/12/2012

Quaranta anni fa, nel 1972, esattamente il 15 dicembre, in prossimità del Natale, fu approvata la prima legge che anche in Italia consentiva l’obiezione di coscienza al servizio militare. Una legge ottenuta grazie alle dure lotte condotte dal movimento degli obiettori di coscienza che, per affermare il principio costituzionale di ripudio della guerra, applicò come primo passo la non collaborazione con la struttura militare, rifiutando di svolgere il servizio militare di leva obbligatorio. In conseguenza di tale rifiuto, gli obiettori venivano incarcerati, spesso anche più volte, senza che la condanna li esonerasse dall’obbligo di chiamata alle armi.

Dai primi gesti di testimonianza di singoli giovani, nell’immediato dopoguerra, si è arrivati ad un vero e proprio movimento, al punto che nel 1972 il numero dei giovani finiti in carcere per il rifiuto di svolgere il servizio militare era salito a 150. Con la motivazione di considerare un caso umanitario la detenzione in carcere di oltre un centinaio di giovani, l’iter di approvazione del provvedimento in Parlamento venne accelerato per licenziare la legge prima di Natale, in un testo che presentava però forti criticità.

La legge n. 772/72 configurava innanzitutto l’obiezione di coscienza come un beneficio concesso dallo Stato a determinate condizioni e non come un diritto soggettivo; di conseguenza ne derivava la possibilità da parte del ministro della Difesa di respingere la domanda di obiezione sulla base di un parere espresso da una commissione, ribattezzata “tribunale delle coscienze”, chiamata ad indagare sulle motivazioni espresse dal giovane. A ciò si aggiungeva la totale incertezza dei tempi di attesa per la risposta alle domande. Inoltre rispetto al servizio militare il servizio civile «sostituivo» – poi diventerà «alternativo» – aveva una durata superiore di otto mesi e la sua gestione era affidata al ministero della Difesa che ha sempre fatto di tutto per ostacolare il servizio civile degli obiettori, con precettazioni forzate, ritardi nei pagamenti, ecc.

Nel 1973 nacque la Lega obiettori di coscienza, per molti anni la principale associazione degli obiettori. In 40 anni molte cose sono cambiate, anche se un minimo comune denominatore ha caratterizzato questo periodo: l’instancabile lotta per affermare il diritto a svolgere un servizio civile dignitoso ed alternativo al servizio militare. Mentre, infatti, nell’opinione pubblica i temi ed i valori dell’obiezione di coscienza si affermavano sempre di più, a livello militare e politico, coscientemente o inconsciamente, persisteva una forte ignoranza se non addirittura un boicottaggio.

Più sensibile in questi anni si è invece dimostrata la Corte Costituzionale, che nei fatti ha riscritto con otto sentenze la legge n. 772/72. Tra gli elementi più significativi introdotti dalla Corte, quello stabilito dalla sentenza n. 164 del 1985, che ha previsto che il «sacro dovere di difendere la Patria», sancito dalla Costituzione, costituisca un obbligo per tutti i cittadini, ma che ad esso si possa adempiere sia con il servizio militare che con quello civile. Inoltre spesso la Corte Costituzionale si è espressa su richiesta di giudici che dovevano giudicare giovani che mettevano in discussione le incongruenze della legge con atti di disobbedienza civile, come nel caso della durata maggiore del servizio civile. È bene ricordare, tanto per far capire l’avversità agli obiettori di coscienza al servizio militare da parte di alcuni apparati dello Stato, che nel 1992 persino il presidente della Repubblica di allora, Francesco Cossiga, rinviò alle Camere la riforma della legge n. 772/72, appena approvata dal Parlamento. Pochi giorni dopo lo stesso presidente Cossiga sciolse le Camere, ponendo fine alla legislatura, e così l’approazione della riforma venne rimandata sine die.

Solo nel 1998 la legge n. 772/72 è andata in soffitta per far posto alla nuova legge, n. 230, che riconosceva l’obiezione come diritto soggettivo, creava un ufficio ad hoc presso la Presidenza del Consiglio per gestire gli obiettori e offriva l’opportunità di sperimentare forme di difesa popolare nonviolenta. La legge n. 230/98 ha però avuto vita breve, visto che nel 1999 venne approvata la legge n. 331 che congela la leva obbligatoria ed istituisce Forze armate completamente volontarie, l’esercito dei professionisti che c’è tutt’oggi. Con la fine dell’obbligo di leva viene meno la possibilità di obiettare, ma resta la possibilità di svolgere un servizio civile volontario nazionale grazie alla legge n. 64/2001. In quegli anni il fenomeno dell’obiezione di coscienza era in continua crescita, fino al 1999, quando ci furono ben 120mila obiettori. Per alcuni anni hanno svolto servizio civile sia gli obiettori al servizio militare che i volontari, fino al primo gennaio 2005, quando il servizio civile diventò solo volontario.

Nel 1994 nasce l’Associazione obiettori nonviolenti che elabora un documento per un “modello alternativo di difesa” che chiama il cittadino a decidere sulle modalità di difesa del Paese, mentre nel 2004 viene istituito il Comitato di consulenza per la difesa civile non armata e nonviolenta, soppresso adesso con la spending review! (v. Adista Notizie n. 31/12).

Il tema della difesa nonviolenta resta quindi centrale sia nel servizio civile degli obiettori che in quello volontario, ed è proprio questo aspetto, insieme ad un complessivo disinteresse, che porta questo tema ad essere spesso boicottato. Finché si parla di “bravi ragazzi” che aiutano il prossimo con il servizio civile non c’è alcun problema; ma quando si afferma che il servizio civile vuole costruire una difesa nonviolenta alternativa a quella in armi nascono le difficoltà. Vale più di mille discorsi la disparità di trattamento economico delle due forme di difesa: per la difesa in armi ogni anno nel nostro Paese si spendono oltre 23 miliardi di euro, per il servizio civile si fatica a trovare 71 milioni di euro. È inutile dire che con un finanziamento così esiguo prosegue inesorabilmente lo smantellamento del Servizio civile nazionale, che viene reso di fatto sempre più elitario. Basti pensare che nel 2011 ci sono state 75.794 domande per 16.325 posti. Se non si riesce a gestire e trovare fondi per l’attuale servizio civile, diventa un esercizio di stile lanciare proposte per un servizio civile obbligatorio nazionale o magari europeo. Si cerchi piuttosto di non acquistare i 90 cacciabombardieri F-35 e di finanziare adeguatamente il servizio civile, permettendo ad almeno 50mila giovani ogni anno di svolgere un servizio che dia risposte concrete alle vere emergenze che ogni giorno investono il Paese, favorendo tra i giovani la crescita di una cittadinanza attiva propedeutica alla costruzione della pace e della solidarietà.

* Presidente Associazione obiettori nonviolenti (Aon)

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