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MINACCE DI MORTE A PEDRO CASALDÁLIGA, PROFETA DELLA CHIESA DELLA LIBERAZIONE

Tratto da: Adista Notizie n° 47 del 29/12/2012

36978. SÃO FELIX DO ARAGUAIA-ADISTA. Se l’arcivescovo martire Oscar Romero si “rallegrava” della persecuzione dei sacerdoti, ritenendola il segno di una Chiesa schierata a fianco del popolo povero e pronta a prenderne le difese, dom Pedro Casaldáliga, vescovo emerito di São Félix do Araguaia, incarna alla perfezione tale modello di Chiesa. Ripetutamente minacciato di morte durante il regime militare brasiliano (nel 1976 gli uccisero il vicario, João Bosco, confondendolo con lui), il vescovo, all’età di 84 anni e in condizioni critiche di salute, essendo da tempo malato di Parkinson, ha dovuto, il 6 dicembre scorso, lasciare la sua casa e la sua comunità a São Félix do Araguaia, dove vive dal 1968, in seguito a nuove minacce, ricevute dopo l’ordinanza della Corte Suprema che ha stabilito l’allontanamento di possidenti, fazendeiros e imprese dal territorio indigeno di Maräiwatséde, un’area di oltre 165mila ettari appartenente al popolo xavante (un ettaro corrisponde circa a un campo di calcio).

Al vescovo – ora trasferito in località sconosciuta e sotto la protezione della polizia federale – viene imputata la responsabilità della demarcazione della terra xavante (omologata già nel 1998 dal governo Cardoso), situata tra i municipi di São Félix do Araguaia e Alto da Boa Vista, nel nord del Mato Grosso. Un’accusa definita «irresponsabile» dal Consiglio indigenista missionario e dalla Commissione Pastorale della Terra, che sottolineano come il vescovo abbia «sempre agito in difesa degli interessi dei più poveri, dei popoli indigeni, dei senza terra e dei braccianti».

È stato a partire dagli anni ’60, con l’arrivo di imprese legate all’agrobusiness, e in particolare della compagnia Suiá-Missú, che gli indigeni xavante sono stati cacciati dal loro territorio, invaso da latifondisti, politici e commercianti, i quali hanno anche spinto molti piccoli produttori ad occupare alcune piccole aree, per occultare dietro di essi i propri interessi. Con il risultato di opporre così poveri ad altri poveri: gli indigeni xavante, a cui l’area appartiene di diritto, ai contadini ingannati e manipolati, rispetto ai quali il vescovo ha sempre sollecitato la sistemazione in terre della riforma agraria. «Deploriamo che persone umili siano state imbrogliate dalle promesse di politici e di chi ha solo l’interesse di trarre profitto da questa terra storicamente appartenente al popolo xavante», ha dichiarato l’attuale vescovo della prelatura di São Félix do Araguaia dom Adriano Ciocca, avvertendo che «nessuna violenza potrà cambiare la decisione della giustizia» – arrivata al termine di due decenni di battaglie legali – e che «qualsiasi atto criminoso avrà come effetto solo quello di far soffrire un maggior numero di persone». E proprio perché si tratta di «una situazione paradigmatica, aggravata dal ritardo con cui si è cercata una soluzione – scrive il vescovo di Jales dom Demétrio Valentini (Adital, 13/12) –, il governo deve assumere l’impegno di re-insediare immediatamente gli agricoltori, a mano a mano che verranno allontanati da questo territorio, così da rispettare il diritto degli indios senza pregiudicare quello dei piccoli produttori, anch’essi incolpevoli della situazione esistente».

«Un uomo che riempie di orgoglio il Brasile»

Solidarietà al vescovo – catalano di nascita, brasiliano di adozione e, soprattutto, patrimonio dell’umanità intera –, è stata espressa da ogni parte del mondo (tra gli innumerevoli messaggi inviati, colpisce quello dell’ex presidente del Congresso dei deputati spagnolo, José Bono, il quale così scrive al vescovo: «Anche se non posso neppure allacciarti i sandali, illumina la mia fede con il tuo operato e con il tuo lavoro»; Religión Digital, 14/12). E se la presidente brasiliana Dilma Rousseff ha condecorato dom Casaldáliga, insieme al vescovo emerito di Goiás dom Tomás Balduino e ad altre 15 persone, per il suo impegno a favore dei diritti umani (con «l’ipocrisia» di chi esalta con una mano i difensori dei diritti umani e massacra con l’altra i diritti di popoli interi, come ha denunciato, a proposito dei devastanti progetti realizzati in aree indigene, Edilberto Sena della Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Santarém), un «fermo sostegno» a dom Pedro è giunto dalla Commissione brasiliana dei diritti umani della Camera dei Deputati, che lo ha definito un uomo «che riempie di orgoglio il Brasile», elogiandone la presenza solidale a fianco degli xavante nella loro lotta per il recupero del proprio territorio. Del resto, come ricorda il teologo Benjamín Forcano (Redes Cristianas, 10/12), i popoli indigeni hanno sempre rappresentato per il vescovo una priorità pastorale, «in primo luogo – come Casaldáliga spiegava in un’intervista – perché sono i più poveri, come persone e come popolo», quelli su cui pesa «la sentenza di morte più immediata»; «e in secondo luogo perché sono gli esseri più evangelici, in quanto, essendo i più poveri e i più indifesi, sono anche i più liberi di spirito, i più comunitari e quelli che vivono di più in armonia con la natura». Di certo, prosegue Forcano, «nessuno che conosca un minimo il percorso di questo vescovo poeta e profeta può sorprendersi di questa minaccia di morte. Pesava sul suo capo da quando, nel Natale del 1973, Pedro, con altri vescovi, lanciò il documento Y-Juca Pirama. El indio que debe morir in cui si descriveva la drammatica situazione vissuta dai popoli indigeni».

Intanto, secondo quanto ha riferito, in una conversazione telefonica con la rivista Alandar (9/12), Mari Pepa, moglie di José María Concepción, il segretario personale di dom Casaldáliga che ha lasciato la casa insieme a lui, «Pedro sta bene», «tranquillo e ben protetto», per quanto turbato «da tutto ciò che sta avvenendo». Le minacce erano cominciate già da venti giorni, ha spiegato Mari Pepa, ma è solo quando, durante una riunione di imprenditori e latifondisti, qualcuno ha affermato (secondo la denuncia presentata alla polizia federale da un partecipante all’incontro) che il vescovo non avrebbe superato la settimana, che è scattato l’allarme. Ed è così che, con il consenso di dom Adriano Ciocca e dell’équipe pastorale di São Félix do Araguaia, dom Pedro ha accettato di lasciare «per alcuni giorni» la casa (partendo su un elicottero preso in affitto, non volendo salire su un aereo offerto dall’esercito o dalla polizia).

Procede intanto il processo di sgombero degli invasori del territorio indigeno, a cui essi si sono opposti con forza, bloccando strade e ponti, minacciando gli operatori di pastorale della Prelatura di São Félix do Araguaia, seminando terrore in tutta la regione. «Il peggio sarà quando se ne andranno la polizia e l’esercito», ha affermato ancora Mari Pepa, auspicando che ciò avvenga solo quando la situazione sarà completamente risolta». «Quando la terra verrà restituita al nostro popolo – ha dichiarato il leader indigeno Damião Paridzane (www.ihu.unisinos.br, 14/12) – la foresta potrà di nuovo vivere. Faranno ritorno animali e piante. Nostra madre tornerà ad essere forte e bella come è sempre stata. È così che accadrà» . (claudia fanti)

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