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CARITAS DIOCESANA DI FRASCATI: COL NUOVO CORSO, L’ACCOGLIENZA È A OSTACOLI

Tratto da: Adista Notizie n° 47 del 29/12/2012

36983. FRASCATI-ADISTA. Un mese fa, la notte tra il 29 ed il 30 novembre, moriva Costantinu Seicaru, un senzatetto rumeno di 55enne, trovato cadavere in viale Vittorio Veneto, davanti alla centralissima ‘Passeggiata’ di Frascati, piccola cittadina di 20mila abitanti dell’area dei castelli romani. La sua è l’ennesima tragedia della solitudine e dell’emarginazione sociale, ma in diocesi ha suscitato più di qualche polemica anche per altre ragioni.

Perché, certo, a stroncare la vita dell’uomo – molto conosciuto a Frascati (da diversi anni stazionava  regolarmente nel centro cittadino) – sono state le sue precarie condizioni di salute. Costantinu era stato spesso ospite anche del dormitorio Caritas. E in molti si sono chiesti come mai quella notte non avesse trovato riparo lì. Costantinu, come del resto molti altri senzatetto, d’estate preferiva dormire all’aperto. Con i primi freddi però i volontari della Caritas lo andavano a cercare, e lo incoraggiavano a spostarsi nel dormitorio; a volte lo trovavano in cattive condizioni, a causa degli stenti e del vizio di bere che accomuna tanti senza fissa dimora. E allora lo convincevano a farsi ricoverare qualche giorno – o settimana, a seconda dei casi – e Costantinu, quando tornava in buona salute, veniva riaccolto nell’ostello. Ospitalità da qualche tempo negata a Costantinu, nonostante il freddo già da novembre piuttosto pungente. E anche la notte del 29, pur trovandosi nella stessa strada dove si trova l’ostello, nessuno lo aveva fatto entrare. Eppure dei 34 posti letto disponibili solo 22 erano occupati. La ragione ha provato a spiegarla alla stampa locale il neo direttore della Caritas, il laico Luigi Raparelli. «Per entrare nel dormitorio – ha detto – ci sono regole necessarie anche alla tutela dei volontari: gli ospiti devono sottoporsi a visita medica, essere inseriti nella lista, non essere ubriachi. Costantinu non era in lista d’attesa, e non veniva da noi perché aveva terrore di un altro ospite». Per alcuni però la vera discriminante sarebbe stata un’altra: il vizio di Costantinu ad alzare il gomito. Così quell’ultima notte il rumeno l’aveva dovuta passata all’addiaccio. Poi il tentativo di ripararsi presso lo sportello bancomat e la morte, che forse lo ha colto nel sonno. A trovarlo, la mattina del 30, la direttrice del locale ufficio postale, che si stava recando al lavoro.

Ma perché un tale cambiamento di atteggiamento da parte della Caritas nei confronti di una persona che era stata spesso ospite della struttura, oltre che frequentatore abituale della mensa del convento dei frati francescani di S. Bonaventura, una realtà attiva da 15 anni nella cittadina, che aggrega molti giovani volontari, credenti e non credenti?

La Caritas diocesana, a Frascati, ha costituito per diversi anni il fulcro di un progetto molto originale, di sinergia e dialogo tra Chiesa e territorio, servizi sociali e volontariato. A dirigerla, fino all’estate del 2012, don Baldassare Pernice, prete dalla forte dimensione “sociale”, dal grande carisma e dall’indubbia capacità di aggregare attorno ai suoi progetti ed alle sue iniziative singoli, associazioni, cooperative sociali, strutture assistenziali laiche e confessionali. Don Pernice, assai noto a Frascati, ha fama di prete di “frontiera”: a metà degli anni ’80 svolgeva il suo ministero nel quartiere popolare di Morena. Lì, insieme ad altri preti e soprattutto insieme ai cittadini, iniziò a gettare le basi di una comunità parrocchiale al servizio degli ultimi. Allestì in parrocchia un poliambulatorio, con medici e volontari per dare assistenza anche sanitaria ai migranti. Un’esperienza di solidarietà umana e cristiana, che coinvolgeva credenti e non credenti. Nel 1997 il vescovo, mons. Giuseppe Matarrese, tolse però a don Baldassarre la parrocchia. Gli assegnò una chiesetta in località Borghetto di Grottaferrata, dove il prete poteva dire messa, ma dove non aveva più cura d’anime. Vista la notorietà di Pernice (ma forse anche in virtù dell’amicizia personale del prete con Giulio Andreotti, più volte ospite nelle parrocchie dove don Baldassare aveva prestato il suo ministero), Matarrese non se la sentì di lasciarlo a lungo senza un incarico adeguato alla sua esperienza. Lo nominò quindi direttore della Caritas Diocesana. Il patto, non scritto, era che Pernice gestisse in piena autonomia la struttura, sollevando la diocesi da qualsiasi onere e responsabilità. Matarrese si garantiva in cambio l’allontanemento dal contatto troppo stretto con i fedeli di un prete scomodo, che lo aveva spesso messo in difficoltà, con il suo carisma e la sua testimonianza, di fronte alla comunità diocesana.

Pernice rese la Caritas una struttura molto ben inserita nel territorio, in grado di dialogare con le istituzioni e le realtà presenti sul territorio, di interagire con loro dando accoglienza e sostegno alla famiglie più indigenti ed ai senzatetto (a Frascati un’ottantina in tutto: un numero piuttosto elevato se rapportato alla popolazione totale del comune tuscolano). Inoltre, don Baldassare creò iniziative in cui la Caritas lavorava, fianco a fianco ed in modo “orizzontale”, con altre strutture di assistenza presenti nel territorio. In particolare, con il centro “Il girasole” e la cooperativa “Arcobaleno”, don Baldassare promosse un dormitorio per i senzatetto, aggregando attorno al progetto un gruppo di volontari coeso e motivato, seppure eterogeneo per cultura, esperienze, appartenenza religiosa. L’aspetto confessionale passava in secondo piano: l’importante per il direttore della Caritas era la comune volontà di farsi “prossimo”. Pernice lasciò così a questo gruppo di persone ampia autonomia. Fornì loro i mezzi ed i locali per allestire il dormitorio, prima a Grottaferrata dai padri somaschi, poi presso i padri rogazionisti. Strutture vecchie e in parte fatiscenti, ma che furono presto adattate alle nuove esigenze. Anche allora c’erano delle regole da rispettare per essere accolti nell’ostello. L’ubriachezza era certamente una discriminante. Ma poiché quasi tutti i clochard avevano qualche problema di alcolismo, si decise che, specie d’inverno, tutti potessero comunque accedere al dormitorio, a condizione che non disturbassero gli altri ospiti e che non fossero violenti. Costantinu violento non lo era mai stato e spesso, a causa delle sue precarie condizioni di salute, godeva del piccolo privilegio di essere ospitato in una delle due o tre camere attigue ai locali Caritas, un po’ più confortevoli delle camerate.

Il cambio della guardia ai vertici della diocesi di Frascati ha modificato però radicalmente questa situazione.

Nel 2009 il vescovo Matarrese lasciò il ministero per raggiunti limiti di età e per il peso delle molte polemiche e gaffe che avevano accompagnato la sua opera (v. Adista n. 23/08). Al suo posto, uno stretto collaboratore di Benedetto XVI alla Congregazione per la Dottrina della Fede, mons. Raffaello Martinelli. Il nuovo vescovo, piglio dirigista, pastorale e liturgia di stretta osservanza ratzingeriana (messa cantata in latino in cattedrale a Natale, v. Adista Notizie n. 1/12, spese faraoniche per l’accoglienza del papa, in visita lampo a Frascati il 15 luglio scorso, v. Adista Notizie n. 28/12; da ultimo, indulgenze plenarie concesse per l’imminente Anno della Fede a chi compia pellegrinaggi in diocesi, sosti «per almeno un’ora davanti al SS.mo Sacramento» in una delle chiese diocesane, partecipi ad almeno tre pii incontri sul catechismo o il Concilio) ha spostato diversi preti, provvedendo anche alla nomina di un nuovo direttore della Caritas. Al posto di Pernice, che sotto Matarrese si era ritagliato un’autonomia considerata eccessiva, che aveva reso la Caritas una struttura troppo “secolarizzata” e “contaminata” con le altre realtà sociali ed assistenziali del territorio, un direttore “laico”, Luigi Raparelli, al quale il vescovo ha imposto di cambiare molte cose. Anzitutto, a settembre, Raparelli ha comunicato che il nuovo dormitorio Caritas si sarebbe trasferito in viale Vittorio Veneto, in una zona più centrale della città, in locali messi a disposizione dalla diocesi. Tutti i vecchi volontari ed operatori sarebbero stati bene accetti, a condizione, chiarì Raparelli, che accettassero l’idea che a dirigere e gestire il centro sarebbe stata solo la Caritas. E che l’accoglienza dei senza tetto sarebbe rientrata all’interno del progetto pastorale diocesano, cui tutti, se intendevano continuare a prestare servizio, erano vincolati ad aderire. Dei circa 40 tra volontari ed operatori, in pochissimi hanno accettato, convinti che una dimensione confessionale e gerarchizzata del servizio di accoglienza ai poveri avrebbe mutato in maniera sostanziale e irrimediabile una storia di dialogo fecondo tra preti e laici, credenti e non credenti che si era radicata in diocesi negli ultimi 8 anni.

Oggi a lavorare all’ostello Caritas sono in pochi. Ma i letti (vuoti), quelli non mancano. (valerio gigante)

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