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“Corsi” e ricorsi

Tratto da: Adista Notizie n° 1 del 12/01/2013

Meno male che c'è il celibato... Vi immaginate se uno così avesse moglie? Il paradosso ovviamente non regge, perché don Corsi sarà la punta dell'iceberg, ma la responsabilità non è tutta sua, bensì anche di una tradizione cattolica che interpreta la soggezione della Chiesa a Cristo con la metafora sponsale, teoricamente piuttosto bizzarra (Cristo marito della Chiesa?), ma che, di fatto, ha reso subalterna la donna all'uomo e immiserito il matrimonio.

Cinquant'anni fa le "madri della Chiesa" invitate al Concilio ebbero in materia una voce singolarmente eloquente, che conosciamo solo oggi perché Adriana Valerio ne ha fatto ricerca negli archivi (dando poi alle stampe il volume Madri del Concilio, Carocci editore, v. Adista Segni Nuovi n. 31/12, ndr).

Luz Maria Longoria Gama, ascoltando la lettura di un documento preparatorio nella Commissione Famiglia, si mise a ridere "spudoratamente". E intervenne facendo presente una cosa che dà molto fastidio alle donne e non agli uomini, a prescindere dalla fede: «Non (le) piaceva» (disse proprio così) la «fastidiosa» espressione risalente a san Tommaso, che poneva i fini primari del matrimonio nella procreazione, nel mutuo aiuto e nel «rimedio alla concupiscenza». «Personalmente ho avuto molti figli... tutti frutto dell'amore... Con tutto il rispetto, vi dico, signori padri conciliari, che le vostre madri vi concepirono senza questo timore della concupiscenza».

Non si sa se per questo intervento lo schema 13 venne modificato e il primo e fondamentale fine del matrimonio divenne l'amore.

La voce delle donne non ha cambiato la prassi sacramentale che, mentre riconosce la grandezza umana del rito di cui gli sposi sono i ministri, sostanzialmente rappresenta con la benedizione della Chiesa il consenso alle "brutte cose". Così deve celebrarlo don Corsi. L'indiscrezione dei confessori in materie di sesso è stata in gran parte causa dell'abbandono della pratica: adesso quasi nessun prete si azzarda più a fare domande indelicate, ma l'occasione di rivedere il senso del sacramento è definitivamente perduto.

Da questa mentalità è nata la disumanizzazione celibataria autoritariamente imposta e perfino la scompostezza di certi preti a cui, prima dell'ordinazione, il vescovo avrebbe dovuto consigliare un buon trattamento psicanalitico, cosa che il collega messicano Mendez Arceo suggeriva ai seminari…

Tuttavia ha ragione Michele Serra che, su Repubblica, ha sostenuto che il famoso volantino affisso alla porta della chiesa di Lerici va conservato, perché sintetizza tutti i fondamenti del peggior maschilismo, quello che produce l'infelicità delle donne e i loro martìri. La paura maschile di doversi confrontare non con un bisogno istintivo ma con l'amore, non con un corpo ma con una persona produce effetti troppo tragici e dà vergogna che un vescovo non si assuma le sue responsabilità e cacci un individuo che di Gesù – che all'adultera non dice di tornarsene a casa a farsi perdonare dal marito – non ha capito niente.

Ma, cari maschi cattolici, che cosa aspettate a chiedere maggior rispetto per la parola di Cristo? Rinviate anche voi a un altro Concilio? Guardate che siete in causa voi, non le donne.

 * Saggista, già parlamentare della Sinistra Indipendente

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