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Un’alleanza in nome degli “interessi superiori”

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 38 del 02/11/2013

Intervistato negli anni ‘80 da Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, Giuseppe Dossetti raccontava come la lettura degli articoli della Civiltà cattolica durante gli anni del regime fosse stata determinante per la sua formazione democratica. Aveva trovato la conferma «della responsabilità dei cattolici e quindi anche del papa» nell'avvento del fascismo, ma soprattutto vi aveva rilevato quel gap politico-religioso che identificherà come una delle piaghe del cattolicesimo italiano ancora dopo la conclusione della guerra. Nel 2005 Scoppola spiegava così il problema a Giuseppe Tognon: «Il guaio dell'Italia è stato quello di non aver avuto per tempo quella riforma religiosa e etica proposta nell'Ottocento da un religioso come Antonio Rosmini e nel ‘900 da un laico come Pietro Gobetti».

Autobiografia della nazione, nella celebre definizione dell'intellettuale azionista, il fascismo è stato dunque anche l'autobiografia della Chiesa? Aiutano a capirne di più due recenti studi a firma di Lucia Ceci – L'interesse superiore. Il Vaticano e l'Italia di Mussolini (Laterza) – e Alberto Guasco, Cattolici e fascisti. La Santa Sede e la politica italiana all'aba del regime (1919-1925) (Il Mulino). Contravvenendo alle periodizzazioni classiche, la ricostruzione di Ceci non inizia dal 1919 o dal 1922, ma con l'inquadramento dell'anticlericalismo di Mussolini alla fine del “lungo” ‘800. Questa scelta, scrive la studiosa, «risponde al bisogno di dar conto dei mutamenti che investono la società italiana e, al suo interno, il cattolicesimo entro un continuum storico, ridimensionando “l'eccezionalismo” del Ventennio». In tale prospettiva, che valorizza il ruolo cruciale giocato dalla Grande guerra nella riconciliazione tra fede e politica, l'incontro della Chiesa con il fascismo rappresenta il completamento del processo di nazionalizzazione dei cattolici per il quale la Santa Sede aveva iniziato a operare già durante l'età giolittiana con il superamento del non expedit nel nome della difesa dal “pericolo rosso”.

La svolta filo-cattolica del movimento fascista si situa nei primi anni ‘20, a ridosso del “bienno rosso”, quando Mussolini comprende la necessità di ricercare il favore della gerarchia per prendere il posto del Partito Popolare come baluardo dell'ordine costituito. La concezione religiosa del capo del fascismo è quella dell'instrumentum regni, in evidente convergenza con le correnti dell'Action française di Charles Maurras. Nel 1926 Pio XI condannerà il gruppo per l'equivoca miscela di nazionalismo esasperato e cattolicesimo intransigente; con il movimento di Mussolini, invece, siglerà un'intesa destinata a durare vent'anni.

A cosa si debba questo doppio registro Guasco cerca di spiegarlo con il supporto delle fonti vaticane, da pochi anni a disposizione degli studiosi fino al 1939. In primo luogo si evidenzia come la marcia su Roma, e quindi il passaggio al governo, abbia modificato il giudizio verso il movimento dei Fasci di combattimento, in cui inizialmente la Chiesa aveva visto il prodotto della laicizzazione e della radicalizzazione del dopoguerra, nonché una pericolosa evoluzione del discorso socialista. Alla base del crescente favore ecclesiastico nei confronti di Mussolini c’era una montante insofferenza verso l'aconfessionalismo del partito di Sturzo e la tendenza verso sinistra di alcune sue correnti, come quella di Guido Miglioli. La principale novità dello studio consiste nel tracciare con precisione le oscillanti reazioni ecclesiastiche alle violenze e alle lusinghe di Mussolini: le lamentele per lo squadrismo, che non risparmiava il clero e le organizzazione cattoliche; il distinguo tra la violenza rossa e la “risposta” dei neri, l'apprezzamento per i primi provvedimenti filo-clericali (il crocifisso nelle scuole, il riconoscimento delle feste religiose, ecc).

La caratteristica di questa fase consiste nell'attesa per gli sviluppi di una situazione politica che non si è ancora stabilizzata, ma verso la quale la Chiesa nutre una fiducia crescente. Viene mantenuta l'opzione popolare (con il siluramento di Sturzo, poi sostituito da De Gasperi), ma i ripetuti attacchi alle sedi del partito, l'omicidio di don Minzoni e, infine, il rapimento di Matteotti non modificano una linea sempre più filo-governativa, anzi convincono la Santa Sede che il fascismo sia l'unica garanzia contro il caos e le nefaste ipotesi di un accordo dei popolari con i socialisti.

Quando nel gennaio 1925 Mussolini si assume la responsabilità dell'omicidio del deputato socialista, la Chiesa è dunque ormai pronta per il passaggio definitivo alla dittatura. Se il fine più immediato era quello di risolvere la “questione romana”, portando a termine il processo iniziato già in epoca liberale, non mancavano – sottolinea Ceci – obiettivi più ambiziosi, che chiamano in causa l'orizzonte teologico-politico di Pio XI e della sua Chiesa: l’affermazione del ruolo di guida alla società secolarizzata dagli effetti della rivoluzione francese.

Alle ideologie del liberalismo e del socialismo la Chiesa opponeva il mito del ritorno alla cristianità: in questa chiave devono essere letti gli sforzi del magistero negli anni ‘30 per sfruttare quei privilegi concessi anche dal Concordato del '29 al fine di riportare la società italiana nelle braccia della Chiesa. Si arriva così al cuore della questione: il sogno di utilizzare il trono per uniformare la giurisprudenza e il costume ai dettami religiosi, per esempio sulla famiglia (tema sul quale non mancavano le intese con la morale fascista) e soprattutto sull'educazione. La riforma Gentile aveva stabilito il ritorno dell'insegnamento della religione nelle scuole, ma sarà proprio sul punto della formazione delle nuove generazioni che si consumerà tra il 1931 e il 1938 lo scontro tra l'Azione cattolica e il partito fascista.

Il secondo conflitto, assai più noto e tragico, riguarderà l'emanazione delle leggi razziali, in parte figlie del tradizionale antisemitismo cattolico, ma rivelatrici per la Chiesa di una deriva nazionalsocialista non più tollerabile. In campo non c'era solo il temuto avvicinamento del fascismo al paganesimo hitleriano, o la concorrenza nella gestione delle pratiche sociali, ma la battaglia tra due diverse pretese totalitarie: una battaglia nella quale le due retoriche, quella fascista che esaltava la religione come elemento funzionalmente subordinato alla costruzione dell'identità nazionale e quella cattolica che voleva nel Duce l'uomo inviato dalla Provvidenza, si confondevano in un gioco di reciproco sfruttamento, contaminazione e concorrenza. Ne forniscono un esempio la benedizione della guerra per la conquista dell’Etiopia e soprattutto di quella contro la repubblica spagnola.

Il merito della sintesi operata da Ceci è quello di restituire la lunga durata di tale rapporto di connivenza e concorrenza dal primo ‘900 allo scontro con Pio XI negli ultimi due anni del pontificato, fino all'8 settembre e agli strascichi durante la Repubblica sociale, quando ormai la Chiesa si era già orientata verso altre opzioni politiche, pur auspicando per il dopoguerra il permanere di un governo forte in funzione anticomunista.

In una prospettiva cronologica di questo tipo, risalta quello che Dossetti identificherà come il gap teologico-politico del cattolicesimo contemporaneo: la convinzione che nel compromesso costantiniano si potesse realizzare un interesse superiore. Nel dopoguerra la scelta dei partiti di conservare il sistema concordatario e di garantire alla Chiesa una posizione privilegiata, a discapito della libertà religiosa della Repubblica e ancora una volta in funzione anticomunista, confermerà la disponibilità del potere politico a perpetuare quel tipo di compromesso. Sarà necessario attendere il pontificato di Giovanni XXIIII perché la Chiesa ritiri la propria.

Venendo infine ai tempi recenti, la parabola dei rapporti tra la Cei di Ruini e i governi di Berlusconi, segnati da un meccanismo di do ut des (sostegno ecclesiastico in cambio di provvedimenti legislativi favorevoli alla Chiesa sui «principi non negoziabili») ha spinto molti osservatori a indicare un parallelismo, pur tenendo conto delle differenze sostanziali, con l’epoca fascista. Ancora oggi la ricerca di un “interesse superiore” rappresenta un nodo non sciolto (almeno non del tutto) e sicuramente insidioso per la qualità della nostra democrazia.

* Dottore di ricerca in Storia contemporanea, Università di Tor Vergata (Roma)

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