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Monsignor Romero e la verità che umanizza

Tratto da: Adista Documenti n° 15 del 19/04/2014

Nel libro di María López Vigil Piezas para un retrato (tradotto in italiano con il titolo Monsignor Romero. Frammenti per un ritratto, Ed. NdA Press 2006, ndt), troviamo un insieme di aneddoti relativi a mons. Romero che, come l’autrice riconosce, costituiscono una specie di ritratto che dà forma, in buona misura, al modo d’essere del vescovo martire. Ecco uno dei racconti, vincolato al tema della verità: «Nelle sue omelie non dava alcuna notizia che non considerasse certa, che non avesse verificato con cura. Era di quelli che esigono prove sicure. Cercava sempre dati precisi prima di esprimere una qualunque denuncia o di trasmettere una qualsiasi informazione. Ma monsignor Romero usava due diversi criteri per affrontare tali questioni. Arrivava un prete, un seminarista, una religiosa, qualcuno che avesse una posizione nella Chiesa e gli diceva: “Monsignore, ad Aguilares hanno catturato cinque persone di una stessa famiglia, sono scomparse e crediamo che siano state condotte a…”. “Lo sai per via diretta?”, chiedeva. “Lo hai visto tu? Stavi lì?”. E se rispondeva di no, che lo aveva saputo da tizio o caio: “È meglio passare tutta l’informazione a Socorro Jurídico perché vadano loro e verifichino”. Ma se qualche vecchietta arrivava da lui piangendo - “Monsignore, hanno ucciso mia figlia, sono venuti a mezzanotte e me l’hanno massacrata e lasciata sul monte, l’accusavano di essere comunista…” -, immediatamente annotava il nome, il luogo, i dati e denunciava il caso. Il pianto della signora gli bastava e gli avanzava come prova certa. Non si fidava delle cose riferite, ma, quando vedeva qualcuno piangere, non aveva dubbi (Juan Bosco Palacios)».

Questo racconto riflette, senza dubbio, il desiderio di verità che caratterizzava monsignor Romero. Un profondo anelito che era inteso come un servizio alla realtà del Paese e, soprattutto, alla realtà delle maggioranze povere, la cui situazione era occultata, manipolata o semplicemente inascoltata. Con spirito profetico, denunciò chiaramente e coraggiosamente la prostituzione della giustizia, la violazione dei diritti umani, l’impunità di tanti crimini efferati, il silenzio complice di fronte alle numerose violazioni della Costituzione a servizio degli interessi di partito, le manovre degli imprenditori per reprimere i diritti degli operai, la sottrazione o malversazione di fondi pubblici e l’infame compravendita della dignità umana.

In questo senso, come ha affermato Jon Sobrino, monsignor Romero accompagnò la lotta per la giustizia con la proclamazione della verità, e in El Salvador nessuno come lui ha parlato tanto e tanto chiaramente sulla base della verità. Come Gesù ai suoi tempi, poté dire, poco prima del suo martirio, che in più di due anni di predicazione nessuno aveva potuto accusarlo di mentire. Questo amore per la verità, evidenzia Sobrino, ha esercitato un influsso profondamente umanizzante sul Paese, in diversi modi: ha restituito valore alla parola, così taciuta, elusa e manipolata a quel tempo; ha fatto della parola quello che deve essere, espressione della realtà; le sue omelie erano tanto ascoltate perché in esse la realtà del Paese occupava il posto centrale; le sofferenze e le speranze quotidiane del popolo diventarono la priorità della sua predicazione. Tutto questo senza dimenticare l’atteggiamento fondamentale già indicato: monsignor Romero ascoltò, prese sul serio e difese la verità delle vittime. Di conseguenza, il cammino che ci ha lasciato in eredità indica come la parola, il dialogo e il discorso debbano essere al servizio della realtà e lasciar spazio alla verità oppressa.

Nel mezzo di una società ingiusta, in cui si metteva a tacere la voce dei sofferenti, monsignor Romero, insomma, comunicò verità a partire dalla compassione di Dio verso gli ultimi. Per questo, la sua vita diventò coscienza critica delle ingiustizie e un appello alla conversione personale e sociale. Lo espresse in questo modo: «Queste omelie vogliono essere la voce di questo popolo, vogliono essere la voce di quelli che non hanno voce. Ed è per questo, senza alcun dubbio, che danno fastidio a quelli che di voce ne hanno troppa. Questa povera voce, che troverà eco in coloro che amano la verità e amano veramente il nostro popolo amato» (Omelia del 29 luglio 1979).

Queste parole rimandano direttamente ad alcuni degli atteggiamenti fondamentali di Gesù di Nazareth. È stato notato che i poveri, quando, nelle loro tribolazioni, si rivolgevano a Gesù chiedendogli una soluzione ai propri problemi, lo facevano con quello che era sempre l’argomento decisivo per convincerlo: «Signore, abbi misericordia di me». Queste persone povere e semplici, secolarmente oppresse ed emarginate, trovarono in Gesù qualcuno che le amava e le difendeva, e che cercava di salvarle semplicemente perché ne avevano bisogno. In ciò, monsignor Romero fu un seguace esemplare di Gesù, assumendo tratti simili, fino alle ultime conseguenze, fino a dare la sua vita.

Egli sapeva che la ricerca e l’annuncio della verità dinanzi a chi la occultava implicavano grandi pericoli. E lo spiegò in maniera chiara e diretta con queste parole: «Ogni qualvolta si predica la verità contro le ingiustizie, contro gli abusi, contro la sopraffazione, la verità deve far male. Già una volta ho citato un paragone fatto da un contadino: “Monsignore, quando si mette la mano in un recipiente di acqua e sale, se la mano è sana non succede nulla, ma se ha una piccola ferita, ahi, come fa male”. La Chiesa è il sale del mondo, e naturalmente, dove ci sono ferite, questo sale deve bruciare».

Terminiamo con un ricordo. Nel 2010, le Nazioni Unite hanno proclamato il 24 marzo come Giornata Internazionale del Diritto alla Verità sulle violazioni dei diritti umani e della Dignità delle vittime. Uno dei punti principali di tale proclamazione è il riconoscimento dell’importante e coraggioso lavoro di monsignor Romero, il quale, secondo l’Onu, si consacrò attivamente alla promozione e alla protezione dei diritti umani delle popolazioni più vulnerabili. Nella dichiarazione si invitano tutti gli Stati membri, come pure gli organismi della società civile, a celebrare in modo appropriato questa data. Per quanto riguarda il riconoscimento dell’eredità di monsignor Romero, crediamo che il “modo appropriato” non consista in atti commemorativi e simbolici, ma, soprattutto, nella realizzazione concreta, di fronte alle sfide del presente, delle sue opzioni fondamentali, cioè della sua opzione per la verità, per la giustizia e per la vicinanza al popolo sofferente.

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