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L’AUTOCENSURA DI RATZINGER: SCOMPAIONO DALL’OPERA OMNIA LE APERTURE AI DIVORZIATI RISPOSATI

Tratto da: Adista Notizie n° 42 del 29/11/2014

37880 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Il matrimonio è indissolubile. Ma quando «un primo matrimonio è da tempo distrutto» in modo irreparabile per entrambi i partner e quando «un secondo matrimonio si è rivelato in seguito una realtà morale ed è stato riempito dallo spirito della fede, specialmente anche per quel che riguarda l’educazione dei figli (così che la distruzione di questo secondo matrimonio distruggerebbe una grandezza morale e causerebbe danni morali), in questo caso – attraverso una via extragiudiziale – sulla base della testimonianza del parroco e dei membri della comunità si dovrebbe acconsentire l’accostarsi alla comunione a coloro che vivono un secondo matrimonio di questo tipo». È nota questa affermazione, risalente al 1972, dell’allora professore di teologia a Ratisbona Joseph Ratzinger (già membro della Commissione teologica internazionale), cinque anni prima di diventare arcivescovo e poi cardinale e contenuta in un saggio sulla questione dell’indissolubilità del matrimonio (Zur Frage nach der Unauflöslichkeit der Ehe. Bemerkungen zum dogmengeschichtlichen Befund und zu seiner gegenwärtigen Bedeutung, pagg. 35-56 in: Ehe und Ehescheidung. Diskussion unter Christen, a cura di F. Henrich e V. Eid; Münchener Akademie-Schriften 59, München, 1972). Ed è stata tenuta sempre ben presente soprattutto da chi, nell’attuale dibattito sulla riammissione sacramentale dei divorziati risposati, propende per una soluzione “misericordiosa”. Come il card. Walter Kasper, che l’ha citata ad esempio nella sua relazione di apertura del Concistoro dello scorso febbraio (v. Adista Notizie nn. 9 e 11/14). 

Che poi, nel corso del tempo, Ratzinger si sia spostato da questa posizione, rimarcando con forza l’indissolubilità del matrimonio cristiano, fino ad escludere la comunione per chi sia addivenuto a un secondo matrimonio, è totalmente plausibile. Lo dimostra, ad esempio, la risposta totalmente negativa data a tre vescovi tedeschi (mons. Kasper, mons. Karl Lehmann e mons. Oskar Saier) che, nel 1993, chiedevano l’ammissione alla comunione per i divorziati risposati (v. Adista Notizie n. 9/14).

È invece molto meno comprensibile che, in occasione della ripubblicazione del suddetto saggio nel quarto volume, appena uscito, dell’opera omnia di Ratzinger, la frase sia stata espunta e sostituita con un’altra, che non parla più di riammissione alla comunione e sposta invece il focus sull’eventuale invalidità del matrimonio: «Se la Chiesa rilevasse come un matrimonio fosse nullo a causa di una immaturità psicologica, le nuove nozze sarebbero ammesse. Anche senza questo procedimento un divorziato potrebbe inoltre essere attivo nelle comunità ecclesiastica, e poter diventare padrino di un battezzato». Il papa emerito, dunque, correggendo pesantemente una propria affermazione – forse desiderando fortemente, si può immaginare, di non averla mai pronunciata – entra a gamba tesa nella animata discussione, non immune da forti conflitti, che ha caratterizzato il recente Sinodo sulla famiglia producendo una netta divisione tra vescovi “aperturisti” e vescovi conservatori.

Non ho mai detto…

A sollevare la questione è stato il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung (17/11), che ne evidenzia subito l’aspetto politico: la nuova frase, afferma Matthias Drobinski, rappresenta «una risposta» di Ratzinger al «confratello e concorrente Walter Kasper» e costituisce una «infrazione della sua promessa di non intervenire più nel dibattito ecclesiale. Per porre dei paletti a papa Francesco?». Di questo avviso è il teologo morale Eberhard Schockenhoff, che ha analizzato la correzione del testo per conto della rivista Herder-Korrespondenz. 

A poco giova sottolineare che l’“anima” di questa scorretta iniziativa possa essere individuata nel prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il card. Gerhard Ludwig Müller, campione del fronte conservatore, antagonista di Kasper, che nel 2008, da vescovo di quella stessa Ratisbona dove Ratzinger aveva insegnato, diede vita all’Istituto Papa Benedetto XVI. Una fondazione che aveva tra i propri obiettivi proprio quello di procedere alla raccolta e alla pubblicazione organica di tutti gli scritti di Ratzinger; di questa opera omnia in sedici volumi  – pubblicata da Herder e della quale Müller è il curatore – sono stati pubblicati e tradotti finora alcuni volumi (in italiano per i tipi della Libreria Editrice Vaticana), il quarto dei quali – quello che contiene la frase incriminata – alla fine di novembre. Resta il fatto, deontologicamente grave, di aver “manomesso”, correggendolo, un testo già pubblicato e noto, come a voler far sparire le prove di un’apertura teologica che avrebbe potuto essere – ed è stata – utilizzata a sostegno della riammissione dei divorziati risposati. 

… che possono essere riammessi

Ratzinger, nel 1972, inseriva la proposta di ammettere i divorziati risposati alla comunione nell’ambito di una «situazione di emergenza» che rendeva necessaria l’adozione di misure «eccezionali», forte però della convinzione che tale proposta fosse suffragata dalla tradizione: da un lato, dal punto di vista dei processi di nullità matrimoniale, caratterizzati da «margini di discrezionalità» che rendono impossibile considerarli la strada più equa e inoppugnabile per risolvere la questione, dal momento che prendono in considerazione esclusivamente dati giuridici che tuttavia non esauriscono la complessità della realtà matrimoniale. Insomma, sosteneva Ratzinger: l’annullamento non è “la” soluzione; dall’altro lato, l’idea che un secondo matrimonio possa acquisire una «grandezza morale» è radicata nella tradizione laddove, ad esempio, il teologo del IV secolo Basilio esprime un atteggiamento di indulgenza, «quando dopo un più lungo periodo penitenziale – spiegava Ratzinger – a colui che vive seconde nozze viene concessa la comunione senza abolire il secondo matrimonio: confidando nella misericordia di Dio, che non lascia inascoltata la penitenza». Se poi la rinuncia al secondo matrimonio è inammissibile in base a criteri morali, né è pensabile che si metta in pratica la continenza, l’accesso alla comunità di coloro che ricevono la comunione, dopo un periodo di prova, «appare non meno che giusto e pienamente in linea con la tradizione della Chiesa». Tutto ciò, ovviamente, salvaguardando l’indissolubilità del matrimonio: ma essa non esclude che, in talune situazioni di «emergenza», le persone coinvolte abbiano «particolare bisogno della piena comunione con il Corpo del Signore. La fede della Chiesa rimarrà segno di contraddizione anche così».

Nulla di tutto ciò nella nuova versione del saggio di Ratzinger. La proposta è stata spazzata via, cancellata, come se non fosse mai esistita, mentre resta soltanto il riferimento al processo di nullità. Strano, osserva Andrea Tornielli su Vatican Insider, dal momento che il Ratzinger del 1972 non era già più quello progressista degli anni ’60, da cui si era allontanato drasticamente già nel 1966. Era stato nominato membro della Commissione teologica internazionale da papa Montini, lo stesso che, cinque anni dopo, lo avrebbe scelto come arcivescovo di Monaco, attribuendogli poco dopo la berretta cardinalizia. Evidentemente, per Ratzinger – e per Müller – un papa non può macchiarsi della colpa di aver sognato, un tempo, una Chiesa più aperta. (ludovica eugenio)

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