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STRAGE DI PARIGI: LA VIA DELLA FRATERNITÀ COME ANTIDOTO ALLA VIOLENZA

Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 24/01/2015

37949 ROMA-ADISTA. Le lancette dell’orologio sembrano essere state bruscamente spostate indietro. Un salto nel tempo di 13 anni e poco più che sembra averci portato dritti dritti all’11 settembre del 2001. 

La retorica – e, certo, anche lo sgomento – è la stessa di allora e non a caso il 7 gennaio scorso, giorno dell’attentato al settimanale satirico francese Charlie Hebdo, è già stato ribattezzato l’“11 settembre europeo”. La parzialità dell’informazione è la stessa di allora, con articoli a pioggia dedicati ai morti di Parigi e poche righe, relegate a fondo pagina, per le migliaia di vittime di Boko Haram che riescono a ottenere un po’ di visibilità solo quando a ucciderle è una bambina imbottita di esplosivo. Uguale è anche l’indignazione collettiva – pienamente giustificata, come ovvio – che però, se da un lato risveglia coscienze altrimenti sopite, dall’altro rischia di alimentare insaziabili fomentatori di presunti “scontri di civiltà” alla Marine Le Pen e alla Matteo Salvini.

Come allora attorno a George W. Bush, ora tutti fanno quadrato attorno al presidente François Hollande. Alla manifestazione di Parigi dell’11 gennaio scorso non solo c’erano più di tre milioni di persone, ma anche oltre 50 tra capi di Stato e di governo. E tra questi pure il premier israeliano Benjamin Netanyahu con le mani ancora sporche del sangue del massacro di Gaza (durante il quale, tra l’altro, hanno perso la vita anche sette giornalisti, tra cui l’italiano Simone Camilli), in rappresentanza di un Paese che – come altri i cui massimi vertici politici hanno sfilato in prima fila nel corteo di Parigi – non ha certo fatto della libertà e della giustizia il suo vessillo. 

Il rischio è che anche i frutti siano gli stessi di allora; che, per prevenire altri attentati, si comprimano diritti e libertà, approvando provvedimenti sull’esempio di quel Patriot Act che negli Stati Uniti ampliò fortemente il potere di Cia, Fbi e Nsa e limitò libertà di espressione e privacy; che tragga nuova linfa l’idea che solo tramite interventi bellici come quello che “depose” Saddam Hussein si possa arginare il pericolo di nuovi attentati; o, ancora, che in una deriva xenofoba cavalcata ad arte dai soliti noti si rendano ancora più alte le mura di quella Fortezza Europa che respinge migranti e richiedenti asilo al di là dei suoi bastioni. 

Riflessioni – le une o le altre – che, al di là dell’unanime cordoglio espresso da rappresentanti di tutte le comunità religiose ovunque nel mondo, in molti hanno fatto in questi giorni. Impossibile dare conto di tutte: abbiamo quindi scelto di offrire una rassegna di commenti dei movimenti e della Chiesa di base, dall’Italia (vedi notizia successiva) e, qui di seguito, dalla Francia.


La forza della libertà

«L'ignobile attentato contro Charlie Hebdo ci getta in una profonda tristezza», scrive il settimanale cattolico francese La Vie in un editoriale del 7 gennaio. «Il nostro pensiero va ai colleghi e alle colleghe vilmente assassinati, ai poliziotti che sono stati uccisi mentre cercavano di proteggerli, alle famiglie di tutte le vittime». «“La comunicazione libera dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo” hanno scritto nel 1789 i redattori della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Più che mai – prosegue La Vie – questa massima ci appare preziosa e vera. Senza libertà di stampa, non c'è più democrazia. E la derisione fa parte di questa libertà, anche quando urta il nostro sentimento religioso». «La nostra rivista – seguita la redazione – si onora di aver spesso pubblicato delle illustrazioni di Charb e di altri collaboratori di Charlie Hebdo. I disegni realizzati da Charb per La Vie sono sempre stati pieni di humor e di talento, ma anche profondamente rispettosi dei nostri lettori e delle loro convinzioni. Certo, non eravamo tutti o sempre d'accordo con Charlie Hebdo, ma più forte è sempre stato ciò che ci fa sentire vicini: il gusto della libertà d'opinione, la ricerca della verità a qualsiasi costo, la lotta per i diritti umani. Più che mai – conclude La Vie – questo è ciò a cui teniamo tutti e tutte, come l'immensa maggioranza dei giornalisti, come l'immensa maggioranza degli abitanti di questo Paese, quale che sia la loro origine e la loro convinzione teologica o religiosa». 

E lo stesso scrive anche il settimanale Témoignage Chrétien (7/1). «La democrazia è spesso identificata con la debolezza, ma questo è un errore; la sua forza, è la libertà. Questa libertà, Charlie Hebdo la incarnava con un talento particolare, facendoci ridere, o digrignare i denti. Oggi, il solo nome di Charlie Hebdo ci fa piangere. Dodici persone, giornalisti e poliziotti hanno pagato con la loro vita l'esercizio di questa preziosa libertà. L'attentato che è stato commesso – prosegue Témoignage Chrétien – non era “cieco”, era mirato e il suo obiettivo era la nostra libertà, libertà di dire, di scrivere, di disegnare, di leggere e di ridere... anche di bestemmiare. Al di fuori della libertà di dire cose che non fanno piacere – è la conclusione – c'è solo la tirannia».

In questi giorni di lutto, poi, la rivista dei gesuiti Études e il sito di cultura ebraica Jewpop hanno pubblicato online, in segno di solidarietà, diverse vignette di Charlie Hebdo particolarmente “feroci” nei confronti, rispettivamente, di cattolicesimo e ebraismo, perché, come scrive Études nel commento dedicato ai morti di Parigi, «lo humor nella fede è un buon antidoto al fanatismo». 

A distanza di qualche giorno però, per il clamore suscitato dall’iniziativa (in Italia ha ricevuto la riprovazione del settimanale Tempi, vicino a Comunione e liberazione, che ha definito la scelta dei gesuiti francesi «segno di confusione mentale e subalternità culturale»), Études ha deciso di rimuovere quel commento «a caldo» e quelle vignette, pubblicate, precisa la rivista, per affermare che «la fede cristiana è più forte delle caricature che se ne possono fare, anche se alcuni cristiani ne sono stati offesi». «Dire che siamo Charlie – scrive ora Études – di cui non più di ieri condividiamo la linea editoriale, né ovviamente lo humor, significa dire che la libertà d’espressione è, come ha detto la Conferenza episcopale francese, “un elemento fondamentale della società”». Ma, prosegue la redazione di Études, «la risonanza di questi avvenimenti ha gettato l’ombra del dubbio su ciò che a noi sembrava scontato. E questo ci rattrista. Per mettere fine alle polemiche – spiegano quindi – abbiamo deciso di rimuovere la pagina che le ha fatte nascere».


Una nuova fondazione

«Tutto ciò che fino ad oggi sembrava inceppato nel nostro Paese... forse... riesce a rimettersi in moto», scrive, sul sito della Conferenza dei battezzati e delle battezzate di Francia, una delle fondatrici dell’organismo, Anne Soupa, in un commento che, facendo riferimento alla manifestazione dell’11 gennaio scorso, titola “Oggi è cominciato qualcosa”. Domani però, prosegue, «bisognerà farla procedere nel modo giusto, questa libertà di cui riscopriamo il prezzo. Domani, bisognerà “fare quello che occorre” perché sia effettiva». «La peste dell'integralismo – prosegue Soupa – prende il potere solo su organismi già malati o indeboliti. La debolezza dell'islam è nella sua rigidità al cambiamento; la debolezza del nostro modello repubblicano è che integra male coloro che arrivano da un'altra cultura. Se si vuole estirpare in maniera duratura questo flagello, questo costerà qualche “cambiamento” da una parte e dall'altra». «Ma, direte voi, tutto questo è una faccenda di cittadinanza, non di religione. Certo, la maggior parte delle misure dovrà venire da quella parte. Ma il polmone che dovrà permettere a questo nuovo “soffio” di irrigare tutto il corpo sociale, è la religione». «La religione di domani saprà spogliarsi da ogni trionfalismo, sarà aperta agli altri, convinta che la verità non è rinchiusa in cassaforte, nei sotterranei del Vaticano, ma nello scambio, nel dialogo vissuto e nella costruzione di legami. Dopo quello che è successo oggi – scrive ancora Soupa – i giorni fasti e facili dell'integralismo cattolico sono contati». «Al contrario, coloro che sapranno riconoscersi come figli dello stesso amore divino, coloro che accetteranno di rimboccarsi le maniche e di impastare insieme il pane per la festa, una buona misura di fraternità, una terrina di solidarietà, la scorza profumata della speranza che farà lievitare l'impasto, quelli avranno parte al mondo che nasce questa sera». «Non è più l'ora delle battaglie di retroguardia, delle etichette astiose, delle posizioni prefissate, della spiritualità affettata – conclude – ma della creatività attiva, sostenuta, efficace, di una fraternità amante che supera le frontiere religiose».

«L’11 gennaio 2015 segnerà la storia nazionale e internazionale», le fa eco, Jean Pierre Denis, direttore de La Vie in un editoriale del 12 gennaio in cui il settimanale torna a parlare dei fatti di Parigi: «Questa giornata deve permetterci di ritrovare ciò che siamo, ciò che abbiamo di migliore» ed «è per questo – prosegue – che non dobbiamo cambiare niente»: «Nessun “Patriot Act” alla francese anche se alcuni già lo invocano. Nessuna giustificazione della tortura, come è accaduto negli Stati Uniti dopo l’11 settembre». «Non cambiare niente del dialogo tra le religioni, in particolare del dialogo islamo-cristiano e se possibile di quello giudaico-musulmano». «Non cedere di un passo sul fronte della lotta all’antisemitismo»; «non cambiare niente della lotta implacabile contro le reti islamiste». «Non transigere sulla libertà d’espressione, vietando qualsiasi polizia del pensiero. Insomma – conclude Denis – non chiudersi in una forma di regime d’eccezione securitario, ideologico o spirituale. La democrazia deve combattere con le proprie armi, non con quelle dei suoi nemici».

Analoghe considerazioni quelle di Pax Christi Francia, fatte proprie anche da Pax Christi Italia e in linea con la dichiarazione dei vescovi francesi e con il messaggio dell’arcivescovo di Parigi, card. André Vingt-Trois. «Scioccati da questo atto criminale, noi ribadiamo che solo i valori dell’amicizia, della giustizia, del rispetto, della libertà, della tolleranza possono costruire una convivenza fraterna», si legge nella nota diffusa l’8 gennaio. «Di fronte a coloro che hanno scelto la violenza per far trionfare le propria ideologia distruttrice, noi scegliamo di rifiutare tutto ciò che divide ed esclude. Davanti a questa barbarie, noi imploriamo la giustizia, ma resistiamo all'odio per l'altro. La pace – conclude Pax Christi Francia – non può essere costruita se non rifiutando le tenebre del pregiudizio. Facciamo di tutto per far crescere questa pace con gesti di amore che possiamo fare gli uni nei confronti degli altri».

Perché «da che mondo è mondo – come scriveva poco dopo l’11 settembre 2001 Tiziano Terzani in una lettera a Oriana Fallaci – non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre». (ingrid colanicchia)

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