Per cambiare il discorso
Tratto da: Adista Documenti n° 6 del 14/02/2015
Syriza (…) è un acronimo di “Coalizione della Sinistra Radicale”. Per i nordamericani, l’idea che un partito della sinistra radicale possa conquistare il potere è impensabile e lo era anche per i greci fino a poco tempo fa. Ma le dure misure di austerità che l’Unione Europea ha imposto alla Grecia, dopo il collasso economico, hanno creato condizioni estreme in Grecia: sei giovani su dieci sono disoccupati, sono stati tagliati salari e pensioni e il prodotto interno lordo è caduto di un quarto.
L’Europa, attualmente, si trova in balìa di un ciclo recessivo a cui la politica e i politici tradizionali sono incapaci di dare soluzione. Una serie interminabile di tagli alla spesa pubblica e di aumenti delle tasse ha dominato (…) l’agenda del Parlamento greco. Una vittoria di Syriza può fornire quella spinta propulsiva di cui l’Europa ha bisogno: il trionfo di un partito europeista che intende mantenere il Paese tanto nell’Unione Europea quanto nella Eurozona, ma, soprattutto, che, per la sua ideologia radicale, è disposto ad avviare a livello di Consiglio Europeo un processo affinché i leader europei affrontino finalmente i problemi che hanno ignorato negli ultimi anni. (…).
Sorge allora la domanda: quali conseguenze potrebbe avere questa vittoria sulla stessa Syriza? Può un partito radicale di sinistra conservare la propria coesione nel faccia a faccia con i banchieri neoliberisti delle banche centrali e con gli omologhi conservatori in Germania, nei Paesi Bassi, in Finlandia, in Francia e in Spagna? (…).
UNA BREVE STORIA DI SYRIZA
Per parlare delle origini di Syriza dobbiamo risalire al 1968, all’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’esercito sovietico contro la cosiddetta “Primavera di Praga”. A quel tempo, la Grecia viveva il secondo anno di una dittatura militare di segno neofascista e i leader del Partito Comunista si trovavano dispersi geograficamente: la maggior parte era fuggita verso i Paesi dell’Est, ma molti altri languivano nelle prigioni greche. A tale dispersione era seguita una divisione ideologica, in quanto la maggior parte dei leader incarcerati si era opposta all’invasione sovietica di Praga, mentre coloro che si trovavano dall’altra parte del muro sostenevano la linea dura di Mosca. Quando la dittatura greca crollò, nel luglio del 1974, e il Partito Comunista fu legalizzato, i due gruppi si erano scissi e la Grecia contava su due partiti comunisti: quello anti-sovietico ed europeista, formato dal Partito Comunista dell’Interno, i cui leader erano rimasti nel Paese durante la dittatura, e il Partito Comunista di taglio stalinista, il cui referente era il Partito Comunista dell’Estero. Syriza è, a grandi linee, l’erede del Partito Comunista locale.
È evidente che, dalla metà degli anni Settanta, il panorama politico cambia completamente. Nel 1981, conquista il potere il Partito Socialista Greco, il Pasok, guidato dal carismatico Andreas Papandreou. Il suo programma era molto più a sinistra di quello di qualsiasi altro partito socialdemocratico europeo, mirando, tra altre cose, all’uscita della Grecia dalla Comunità Economica Europea e dalla Nato, all’eliminazione di tutte le basi militari nordamericane in Grecia, a un programma di socializzazione massiccia dell’industria e all’incremento della spesa pubblica. I due partiti comunisti combattevano, all’epoca, sulla posizione da assumere di fronte a un Pasok che minacciava di usurpare il loro monopolio nella sinistra greca.
Alla fine degli anni Ottanta, l’agenda del Pasok faceva acqua. Era stata abbandonata l’idea di uscire dalla Nato e dalla Cee ed erano state nazionalizzate solo le imprese che erano fallite in seguito alla recessione mondiale degli anni Ottanta. Il Partito Comunista e il Partito Comunista dell’Interno forgiarono un’alleanza chiamata Synaspismos (che significa “coalizione”), con la speranza di trarre vantaggio dalla caduta di popolarità del Pasok a sinistra. Le elezioni generali nel 1989 dettero vita a un Parlamento senza maggioranza e il nuovo partito Synaspismos, che era salito intorno al 15%, costituì un’opportunistica coalizione con il partito di destra, Nuova Democrazia, basata unicamente sulla comune antipatia per il Pasok e per Andreas Papandreou. Questa provvisoria alleanza durò solo alcuni mesi, durante i quali si dedicò a trascinare Papandreou in tribunale, con l’accusa di malversazione, in base a prove realmente deboli. Una volta assolto, Papandreou riapparve e Synaspismos cominciò a scomparire dai sondaggi, mentre i dirigenti del Partito Comunista decisero di ritirarsi dalla coalizione, provocando una nuova grande divisione all’interno del Partito Comunista, optando gran parte dei suoi membri per restare in Synaspismos.
Il Partito Comunista, ora separato, tornò al suo programma anti-Unione Europea. E arroccato intorno al suo dogmatico “mantra” stalinista, ottenne risultati migliori di Synaspismos, arrivando al 5%. Al contrario, Synaspismos si dedicò a un’autoanalisi permanente, cercando di ampliare il proprio potere di attrazione trasformandosi in una confederazione di gruppi, di ogni tipo e colore, all’interno del ventaglio della sinistra, includendo socialdemocratici disincantati, verdi, eco-attivisti e gruppi antirazzisti. Per tenere insieme gruppi tanto difformi e spesso recalcitranti, Synaspismos si trasformò in quello che io chiamo per scherzo Synaspismos Squared (Synaspismos al quadrato): benché fosse già una coalizione di diverse realtà (ricordiamo che Synaspismos significa coalizione), Synaspismos si unì a gruppi che non volevano far parte di Synaspismos ma che erano in cerca di un’alleanza politica. Così, nel 2004, Synaspismos si trasformò in Syriza, la Coalizione della Sinistra Radicale. L’enfasi del partito venne posta sul “radicale”, offrendo a quanti erano rimasti fuori un pretesto per fondersi con Synaspismos. Non stupisce che tali traversie interne abbiano coinvolto assai poco l’elettorato e che a partire dalla metà degli anni Novanta fino a poco, pochissimo fa, Syriza si sia mantenuta appena a galla nei sondaggi, oscillando tra la soglia minima per assicurarsi una rappresentanza parlamentare (3%) e il 5%. E questo fino alla crisi dell’euro nel 2010.
Alle elezioni dell’ottobre del 2009 Syriza aveva ottenuto poco più del 5% del voto popolare, mentre i socialisti del Pasok di George Papandreou, figlio di Andreas, avevano conquistato uno schiacciante 44%, dando vita a un governo costretto a far fronte all’implosione economica alcuni mesi più tardi. Un anno dopo il collasso della Grecia, i sondaggi indicavano che il Pasok era precipitato al 10%, mentre Syriza era catapultata a quasi il 30%. Le non più evitabili elezioni generali del maggio 2012 avevano confermato tale popolarità conducendo Syriza al secondo posto, appena dietro il partito di destra della Nuova Democrazia. Una seconda elezione un mese più tardi aveva dato a Nuova Democrazia il 29,7% e a Syriza il 26,9. (…).
LA MINACCIA INCOMBENTE SU SYRIZA
Gli elettori di Syriza temono che una vittoria elettorale, come accaduto al Pasok, possa metterli di fronte a impegni sgraditi. Come il Pasok era salito al governo nel 1981 con propositi nobili e di sinistra, rapidamente dissolti lungo il cammino all’interno del potere, potrebbe benissimo accadere che la direzione di Syriza, sottoposta a tensioni estreme nei negoziati sul collasso economico della Grecia, con Berlino, Francoforte e Bruxelles, debba decidere di abbandonare la propria agenda radicale di cambiamento sociale ed economico. Si tratta di un timore fondato che i leader di Syriza non possono permettersi di ignorare.
La maggior parte dei partiti (…) sarebbe d’accordo sul fatto che i termini dei “programmi di salvataggio” della Grecia sono ingiusti e che la Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale) sta imponendo alla Grecia condizioni che danneggiano permanentemente il tessuto sociale del Paese e che sono impossibili da rispettare. Non è necessario essere radicali né di sinistra per riconoscere la follia di obbligare un governo in bancarotta a ridurre drasticamente le entrate come condizione per ottenere più crediti (…).
La posizione di Syriza differisce in due punti importanti. In primo luogo, Syriza crede, penso a ragione, che l’unico modo di ottenere che l’Unione Europea cambi atteggiamento con la Grecia in maniera ragionevole, smettendo di imporre misure di austerità, è spingere con decisione per una immediata revisione del Memorandum greco attraverso, per prima cosa, la sospensione unilaterale delle politiche richieste dalla Troika e, per seconda, attraverso l’uso o la minaccia del suo potere di veto all’interno del Consiglio Europeo.
In secondo luogo, Syriza vuole combinare la linea dura nei negoziati con un’agenda radicale per il cambiamento sociale in Grecia, includendo una modifica importante nella base fiscale imponibile, la re-introduzione di un salario minimo decente e l’incremento dei fondi per la sicurezza sociale e la sanità pubblica. Al di sopra di tutto, gli attivisti di Syriza vogliono un governo che rompa quell’intima relazione tra gli operatori politici, le grandi imprese e i tecnocrati europei che sta sviluppando nel Paese una nuova cleptocrazia.
In questo quadro, il maggiore timore per gli attivisti di Syriza è quello di finire per allinearsi. Timore che il suo europeismo, che è una delle linee del suo pensiero, possa imporsi a spese di un abbandono della radicalità del suo programma nazionale. Tali timori si alimentano, in maniera naturale, con le tensioni e le divergenze tra i distinti gruppi che compongono la confederazione, alcuni dei quali non accettano pienamente l’orientamento di mantenere la Grecia nell’unione monetaria europea. (…).
COME SYRIZA PUÒ CAMBIARE L’EUROPA
Se Syriza avesse seguito il consiglio di alcuni economisti statunitensi e britannici secondo cui la Grecia avrebbe dovuto uscire dall’Eurozona e dall’Europa, i suoi leader sarebbero stati in grado di unire tutte le correnti sotto la rassicurante bandiera dell’autarchia, del ritiro unilaterale e dell’eroica uscita dalle istituzioni neoliberiste e dalle restrizioni che caratterizzano l’Eurozona. Tuttavia, tale programma, utile a massimizzare la coesione interna di Syriza, sarebbe stato costruito a costo della sua ineleggibilità. Dopotutto, la maggioranza dei greci comprende che un’uscita del Paese dall’Europa comporterebbe costi insopportabili per la gran parte della popolazione.
Ed è così che Syriza ha optato per la difficile posizione di mantenere la Grecia nell’Eurozona, proseguendo al tempo stesso la lotta per cambiare, dall’interno, le incongruenze fondamentali di quest’ultima. Può un Paese piccolo, in bancarotta e devastato dalla povertà restare all’interno dell’Eurozona opponendosi ad alcuni dei suoi principi essenziali? Può un governo Syriza portare avanti i progetti umanitari fondamentali che la sinistra è determinata a realizzare?
Continuare ad appartenere all’Eurozona significa che il governo non avrà la possibilità di creare liquidità, in assenza di una Banca Centrale che lo sostenga. Gli attivisti di Syriza pensano di trovare soldi aumentando le tasse sui ricchi, ma i ricchi si sono già portati via i loro euro in Svizzera, a Francoforte, a Londra e a New York, mentre la classe media è andata incontro alla rovina, privata della possibilità di ottenere un’entrata da proprietà rimaste vuote e obbligata a pagare su di queste imposte crescenti.
Una vittoria di Syriza potrebbe acuire la pressione dell’Unione Europea sulle finanze dello Stato greco e sul suo sistema bancario: Bruxelles, Francoforte e Berlino farebbero probabilmente rappresaglie, tagliando l’accesso del governo greco a una parte delle sue entrate, come i soldi che il governo riceve dalla Banca Centrale Europea derivanti dagli enormi profitti da questa ottenuti, previamente e vergognosamente, attraverso l’acquisto di titoli greci (…). È probabile che un governo di Syriza possa negoziare con successo rispetto a tali pressioni finanziarie durante le prime settimane al potere, ma non sarebbe in grado, allo stesso tempo, di finanziare i programmi sociali che si è impegnato a realizzare. Come potrà, in tali circostanze, non deludere i propri elettori, confermando i timori di chi ritiene che Syriza finirà per vendersi agli europei, al di sopra e al di là degli impegni assunti? L’unica possibilità di successo per un governo di Syriza è cambiare l’economia dell’Europa. È un compito difficile, ma non impossibile. Di fatto, non c’è altra alternativa per Syriza né per qualsiasi altro partito della periferia europea che aspiri a un’economia sociale stabile.
L’Europa si rifiuta di farlo da cinque anni. Durante questo periodo, debiti, perdite bancarie, disoccupazione e squilibri evidenti si sono accumulati, mentre i leader europei facevano orecchie da mercante. Se Londra può usare il suo potere di veto a livello di Consiglio Europeo a favore dei banchieri della City, Atene può e deve fare lo stesso in difesa dei propri cittadini. Invocando la clausola dell’interesse nazionale, un governo di Syriza avrebbe diritto di veto su tutte le decisioni fino a quando la prospettiva europea sul Memorandum greco non venisse rivista. Tali misure (…) possono dare impulso a un dibattito che, speriamo, conduca a cambiamenti modesti ma assolutamente necessari per razionalizzare la politica europea (…), potendo in effetti consentire a partiti come Syriza di combinare una linea pro-europea con politiche interne che sconfiggano le vecchie e le nuove cleptocrazie, diano respiro ai lavoratori e, ultimo punto ma non meno importante, contribuiscano a restaurare la fede nella democrazia.
I leader di Italia, Francia e Spagna non si sentono forse sufficientemente disperati per rompere il muro di silenzio a livello di Consiglio Europeo. Ma la Grecia è in condizioni così miserabili e angoscianti che il suo governo ha l’imperativo morale di parlare, e anche di agire.
Nello scenario politico attuale, solo un governo guidato da Syriza potrebbe farlo. Questo darebbe ai funzionari portoghesi, spagnoli, italiani e, quel che più conta, francesi, l’opportunità di cambiare il discorso che circonda il clima economico in Europa. Ma se anche nessuno seguisse l’esempio di Syriza, un suo governo avrebbe comunque un potere negoziale sufficiente, in virtù del suo potere di veto, non solo per ottenere cambiamenti nel Memorandum greco che possano salvare vite, ma anche per obbligare l’Unione Europea a ripensare la propria crisi sistemica e con ciò ad adottare un atteggiamento radicalmente differente.
Syriza può avere l’opportunità di trasformare la Grecia e di cambiare il corso della storia europea, ma si tratta di un compito che, al confronto, ci porterebbe a considerare l’Odissea come una passeggiata nel parco. Non le sarà facile prendere il potere senza perdere la fedeltà alla propria agenda radicale e mantenendo la coesione interna. Resta da vedere se i leader di Syriza possano compiere questo miracolo. Credo che sia possibile, sempre che (…) si mantenga un’agenda realmente radicale diretta a cambiare l’Europa con passo sicuro, proponendo ai cittadini tedeschi, spagnoli, olandesi un’agenda europea che recuperi il sogno di una prosperità condivisa.
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