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Italicum. Una legge elettorale ad personam

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 19 del 23/05/2015

La promulgazione della nuova legge elettorale da parte del Capo dello Stato richiama alla memoria l'antica massima «amicus Plato sed magis amica veritas» («mi è amico Platone ma mi è più amica la verità»), la cui logica può essere così adattata al caso in questione: assoluto rispetto della decisione del Presidente della Repubblica che ha firmato la legge non ritenendo di chiedere preventivamente alle Camere un riesame della medesima ai sensi dell'art. 74 della Costituzione, ma maggiore rispetto merita la verità o, meglio, quella che tale sembra non solo a chi scrive ma ai tanti autorevoli giuristi e intellettuali nonché ai tanti parlamentari, politici e comuni cittadini che hanno motivatamente avversato la introdotta disciplina. E lo hanno fatto indicando i rischiosi mutamenti della forma di governo che essa in modo improprio e surrettizio può comportare. E sì, perché la citata riforma presenta gli stessi profili di incostituzionalità riscontrati dalla Consulta nel cosiddetto Porcellum ed altre non meno preoccupanti criticità con lo scoperto tentativo di eludere le censure e le indicazioni della sentenza con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità della precedente normativa.

Resta ora ai critici della riforma la possibilità di ricorrere ai rimedi, invero tutti problematici, previsti dal nostro ordinamento: referendum, azioni giudiziarie rivolte a provocare una pronuncia della Consulta, correzioni dello stesso Parlamento. Il trionfante renzismo tesse invece le lodi dell'Italicum sostenendo che esso presenta tre indiscutibili pregi: far conoscere la formazione vincente immediatamente dopo lo scrutinio dei voti, assicurare cinque anni di stabilità governativa e impedire qualsiasi governo di "larghe intese". Quanto al primo "pregio" si può osservare che l'obiettivo della rapida individuazione della formazione vincente poteva essere egualmente raggiunto anche emendando la legge dalle storture lamentate dagli oppositori; mentre, in relazione al secondo "pregio", appare veramente incredibile che si possa pensare di garantire la stabilità governativa, indubbio frutto solo di una maturità democratica del sistema, attraverso un dettato legislativo quando la storia di tutte le esperienze democratiche, a partire da quella del nostro Paese, insegna ben altro.

Un discorso a parte merita poi il terzo preteso “pregio” della riforma, vale a dire la messa al bando di qualsiasi governo di "larghe intese". E ciò perché l'esecutivo di Renzi costituisce la prova più convincente di come siffatti accordi si possono realizzare fra forze politiche che si incontrano sul piano programmatico e sulla concreta operatività senza esplicite pattuizioni di governo, e restando in Parlamento contrapposte solo formalmente nei distinti ruoli di maggioranza e opposizione. Non è forse vero, come ha più volte affermato il leader di Forza Italia, che le riforme renziane, da quelle istituzionali a quelle in materia economica e del lavoro, sostanzialmente coincidono nei contenuti con i progetti che l'ex Cavaliere non è riuscito a realizzare con i governi di centrodestra da lui guidati? Chi può negare che il trattamento riservato ai sindacati dei lavoratori e ai giudici, nonché il piglio con il quale vengono demonizzati tutti i dissensi denunciano nel renzismo una concezione verticistica del potere e una insofferenza verso ogni forma di controllo non molto diverse da quelle del berlusconismo? E non è forse vero che la riforma elettorale, ritagliata nelle intenzioni a misura delle ambizioni e degli interessi elettorali del premier, sia in materia politica una super-legge ad personam di stampo berlusconiano? Il fatto è che con l'avvento al potere di Renzi si sono realizzate e continuano a realizzarsi come non mai le tanto deprecate "larghe intese" e tutto fa prevedere che, se non ci saranno radicali cambiamenti di rotta, esse sopravvivranno nella prossima legislatura all'insegna del "Partito della nazione", quale che sia il responso elettorale della futura consultazione.

C'è allora un grosso problema politico perché la situazione venutasi a creare, anche per le crescenti difficoltà di Forza Italia, può avere due sbocchi entrambi rischiosi per il nostro Paese: quello di un egemonico "Partito della nazione" destinato a prendere di tutto e a cancellare ogni dialettica democratica sbarrando la strada sia al bipolarismo che al bipartitismo, e quello di un rimedio a tale deriva ancora più carico di incognite e di pericoli, vale a dire la costituzione nei fatti di un cartello a guida populista di eterogenee forze di protesta capace di esprimere una lista unitaria in grado di accedere, favorito dalla nuova legge elettorale, al previsto secondo turno con non trascurabili possibilità di successo. Non c'è quindi tempo da perdere perché occorre subito tornare ai principi e alle direttive della Costituzione, un grande progetto progressivamente emarginato per dare spazio alle esigenze di una governabilità fine a se stessa, a regole elettorali modellate sugli interessi di parte, a riforme costituzionali intese a rafforzare oltre misura l'esecutivo indebolendo il ruolo del Parlamento e a politiche economiche in linea con i "dogmi"del neoliberismo.

Abbiamo bisogno di costruire partiti-comunità che abbiano precisi valori di riferimento e programmi ad essi ispirati, associazioni di cittadini con comuni ideali chiamati a «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». È necessario, in particolare, costruire dentro e fuori il Partito democratico una vera sinistra che si senta erede del patrimonio culturale della Resistenza e sia portatrice dell'idea che «se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli lo puoi fare migliore per tutti». Così come occorre dar vita, dentro e fuori Forza Italia, ad una vera destra liberale, figlia anch'essa della Liberazione ma anche gelosa custode dei valori risorgimentali, guidata dall'idea di un Paese più pulito e più civile col culto della libertà e di una meritocrazia al riparo da ingiustizie e da abusi. Un sogno utopico che va in qualche modo e in qualche misura realizzato pena la sconfitta della nostra democrazia e delle nostre speranze.

*presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione

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