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Sì all'Europa, No all'austerity. Il mondo cattolico dopo il referendum greco

Sì all'Europa, No all'austerity. Il mondo cattolico dopo il referendum greco

Tratto da: Adista Notizie n° 26 del 18/07/2015

38201 ROMA-ADISTA. È stato un crescendo di euforia e di attese quello che ha accompagnato, nel corso della settimana precedente il voto, la maratona elettorale, lo spoglio e poi la vittoria dei “No” (61% di consensi) al referendum per l'approvazione o il rifiuto della bozza d'accordo proposta da Commissione europea, Fmi e Bce in cambio di nuovi finanziamenti. Trepidazione che – dopo la grande festa in piazza Syntagma, alla quale hanno partecipato anche diverse formazioni politiche italiane ed europee contro l'austerity; dopo le inattese dimissioni del ministro delle Finanze Yanis Varoufakis subito sostituito da Euclid Tsakalotos; e, infine, dopo la convocazione da parte di Alexis Tsipras di tutte le forze politiche del Paese per l'approvazione di una nuova proposta unitaria e la riapertura del negoziato – ha lasciato il posto ad una nuova stagione di paura e insicurezza. A conti fatti, la vittoria del “No” rappresenta un successo storico dalla grandissima portata politica e simbolica – un duro colpo messo a segno dalle forze anti-austerity contro Angela Merkel e le istituzioni finanziarie internazionali – ma non cancella quel grande punto interrogativo che incombe sul futuro del piccolo Paese alla “periferia” dell'Unione. E lo spettro del “Grexit” incombe, come prima e più di prima, sul Paese, che sta conducento, con risultati incerti, gli ennesimi negoziati.

Per il mondo cattolico greco ed italiano, che non ha mai seguito con particolare entusiasmo l'ascesa di Syriza e del suo leader, il voto greco dovrebbe comunque aprire per l'Unione una stagione di riforme che metta al centro delle politiche comunitarie l'essere umano, a partire dai conclamati fallimenti sul tema dell'accoglienza dei migranti e dello strapotere della finanza. Lo stesso papa Francesco – intervenuto durante i negoziati, con un breve messaggio del 1° luglio, emanato dal direttore della Sala Stampa vaticana p. Federico Lombardi – aveva espresso solidarietà «a tutto il popolo ellenico» e aveva invitato le parti in causa a non perdere di vista le priorità della loro funzione: «La dignità della persona umana deve rimanere al centro di ogni dibattito politico e tecnico, così come nell’assunzione di scelte responsabili».

Europa delle banche o delle persone?

«Le urne non hanno detto “No” all’Europa e all’euro, ma a tutte quelle misure di austerity che non faranno altro che aumentare la povertà della popolazione che è già tanta», ha confermato il presidente di Caritas Grecia, p. Antonio Voutsinos, rimarcando le preoccupazioni dell'organismo cattolico sul clima di caos che si è generato a ridosso del voto. In particolare, fanno paura i rubinetti chiusi delle banche, che rischiano di paralizzare i progetti della Caritas greca in sostegno dei più poveri. «Le banche sono chiuse, non si può ritirare il denaro per acquistare il necessario», «il rischio di forti tensioni sociali e disordini sarebbe altissimo. Il governo spera in un accordo più sostenibile per il nostro Paese. Noi vogliamo restare in Europa, ma come si può quando si pensa al bene delle banche e non a quello delle persone?» (Sir, 6/7).

Una rottura con i partner europei è «impensabile», gli ha fatto eco il vescovo Dimitrios Salachas, esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino in Grecia: «Bisogna arrivare ad una soluzione sostenibile che non porti il popolo alla rovina. La Grecia ha lanciato un segnale forte all’Europa invitandola a riflettere che forse quanto sta accadendo qui potrà replicarsi a breve anche in altri Paesi dell’Ue. Allora chiediamoci come siamo arrivati a questo punto. Contano di più l’interesse e l’economia o piuttosto il bene della persona?».

Tutto da rifare

«Il giorno dopo il “No” dei greci al referendum è davvero il momento di “sperare contro la speranza”», è l'esortazione del quotidiano dei vescovi italiani Avvenire, in un articolo del 7 luglio firmato da Francesco Riccardi. È il momento, aggiunge, «di ricercare caparbiamente un’intesa nonostante tutto giochi a sfavore e i protagonisti del negoziato si stiano sempre più irrigidendo nelle proprie, inconciliabili, posizioni». L'alternativa all'accordo sarebbe «un orizzonte drammatico», con la Grecia che precipiterebbe nella miseria e l'Europa che si avvierebbe inesorabilmente verso lo sgretolamento, non solo monetario. Secondo Avvenire il referendum voluto da Tsipras ha spinto i negoziati «in un nuovo vicolo cieco» e ha evidenziato le contraddizioni dei governanti greci, «ebbri di orgoglio nazionale, pronti a rivendicare il rispetto della volontà del popolo con la stessa forza con cui sono tornati a stendere la mano per chiedere altri aiuti urgenti alla Bce». Secondo Riccardi il risultato della consultazione ha innescato «un cortocircuito politico: “Mi devi aiutare e alle mie condizioni, non alle tue”, è il ruggito del coniglio venuto da Atene, capitale con le banche chiuse e le banconote da 20 euro introvabili».

Dall'altra parte delle barricate, poi, la situazione non è certo più rosea, dove a fronteggiare il “coniglio” di Atene ci sono i lupi Angela Merkel e François Hollande, «plastica rappresentazione di un’Unione a 28 e una moneta comune a 19 nazioni, in cui a contare (a pretendere di contare davvero) sono solo in due: la Germania e la Francia. Nel senso che decidono i tedeschi, dopo aver ascoltato i francesi».

Avvenire propone un cambio di passo radicale: a dover essere ripensata non è solo la Grecia o la Germania ma l'Unione tutta, «cambiare prospettiva e rappresentare una visione diversa per ripartire in avanti», «per continuare a sperare in un’Europa delle persone. Oggi è difficilissimo, ma non è impossibile».

Referendum anche in Italia?

Secondo il presidente nazionale delle Acli, Gianni Bottalico, l'esperienza referendaria greca attesta la sconfitta dell'«establishment tecnocratico e politico che ha reso irriconoscibile il progetto europeo delle origini, dando priorità assoluta e insensata agli interessi della finanza internazionale, a scapito della dignità del lavoro e della democrazia». Ma a questa sconfitta occorre affiancare quella, uguale ed opposta, del «blocco delle forze populiste e nazionaliste che, cavalcando lo scontento diffuso per la crisi, rischiano di sfasciare l'Europa. Il voto greco dimostra invece che l'Europa è riformabile quando la sovranità torna al popolo sia a livello nazionale che a quello comunitario». Contro chi leggeva, nella vittoria del “No”, un irresponsabile salto nel vuoto causato dal governo Tsipras, il comunicato del 5 luglio del presidente Acli sottolinea che la Grecia postreferendaria guadagna invece una «maggior forza contrattuale, ottenuta nonostante l'ignobile tentativo di condizionamento del voto messo in atto dalle istituzioni finanziarie europee con la riduzione della liquidità di emergenza delle banche greche, che costituisce un accanimento su pensionati e famiglie, fatto da chi nel contempo pompa senza interruzione quantità incomparabilmente superiori di liquidità nei bilanci degli istituti di credito europei». Insomma, sintetizza con forza, «il voto di oggi potrebbe essere ricordato come l'inizio del crollo dell'ultima dittatura rimasta in Europa, quella dell’attività finanziaria speculativa». Secondo Bottalico il destino greco è condiviso da tutti i Paesi europei che affacciano sul Mediterraneo, economicamente i più a rischio dell'Unione. Oggi la Grecia insegna loro ad alzare la testa e questo lo dimostrerebbero anche i goffi tentativi di cavalcare il voto referendario di alcuni politici vicini al premier Matteo Renzi che, fino a poche ore prima del voto, si era dimostrato invece molto “vicino” alle posizioni della cancelliera tedesca. «Saranno credibili solo coloro che faranno anche i fatti», punta il dito Bottalico. «Lo si capirà, ad esempio da come sarà articolata la legge di stabilità 2016, se conterrà, nel contempo, più investimenti per lavoro e sviluppo, più spesa sociale, con l'introduzione di una misura universale per la lotta alla povertà, minori tasse per lavoratori e famiglie e sui patrimoni immobiliari dei ceti medio bassi, in modo da innescare un circolo virtuoso che porti alla ripresa della domanda interna. Ciò naturalmente implica la determinazione politica di ridiscutere vincoli e trattati europei, di togliere immediatamente il pareggio di bilancio dalla Costituzione, non fermandosi al primo no di qualche euroburocrate, ma giungendo, se necessario, al ricorso al referendum anche in Italia».

* Immagine di Tilemahos Efthimiadis, tratta da Flickr, licenzaimmagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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