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Divorziati, fate la comunione in pace

Divorziati, fate la comunione in pace

Tratto da: Adista Documenti n° 31 del 19/09/2015

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Quando sono stati ritrovati i corpi senza di vita di 50 migranti nella stiva di un barcone nei pressi della Sicilia; quando sono stati scoperti 71 cadaveri in decomposizione in un camion chiuso e abbandonato in un'autostrada in Austria (Orrore, Europa! Davvero perderai completamente anima e identità?); quando sento che centinaia di africani hanno fatto naufragio e sono morti dinanzi alla costa della Libia... mi vergogno a scrivere di accesso alla comunione dei divorziati risposati.

Mi pesa e mi fa vergognare, e chiedo scusa, ma lo farò. Anche la comunione ai divorziati è una storia di dolore, per quanto si tratti di una storia minore. 

Tra un mese si riuniranno in Vaticano centinaia di vescovi (non se ne vergogneranno?) per decidere, tra altre cose, se le divorziate e i divorziati risposati potranno ricevere la comunione. Decideranno di sì, ma imponendo condizioni che non mi sembrano degne dello Spirito della Vita o del Vangelo. Lo faranno con le migliori intenzioni, e ne siamo grati, ma potrebbero risparmiarsi lo sforzo e soprattutto il denaro, poiché è una questione già risolta, pacificamente o meno, dall'immensa maggioranza di cristiane e cristiani interessati da questa situazione. Di questi, sono molto pochi quelli che vanno a messa e quasi tutti quelli che ci vanno fanno la comunione. Fanno bene, ma non tutti lo fanno serenamente. Magari avvenisse per tutti in maniera pacifica!

Recentemente, una ventina di teologi progressisti spagnoli - tra cui cinque baschi - ha promosso una campagna internazionale in appoggio a quelle misure di generosità difese dal papa e combattute da molti vescovi. Io ho firmato il testo e l'ho diffuso, ma non ne condivido gli argomenti. Ecco perché.

I teologi auspicano che il papa permetta ai divorziati risposati di accedere alla comunione, ricordando a tal proposito che «Gesù mangiava con i peccatori». Considerano, cioè, queste persone come peccatori e colpevoli. Come povere pecore allontanatesi dal gregge. I teologi chiedono per loro una “disciplina di misericordia” con alcune condizioni, le stesse che si prevede imporrà il Sinodo: «pentimento, riconoscimento della colpa e proposito di riparazione» (sic).

Propongono, quindi, «una pratica a cui non tutti potranno richiamarsi» (sic). Amici teologi progressisti, davvero pensate che queste persone siano colpevoli per il mero fatto di avere divorziato e di essersi risposate? Ed è in questo modo così canonico, così limitato e umiliante, che intendete la misericordia di Gesù? Mi costa comprenderlo. Mi darebbe molta pena.

Il testo rivolto al papa osserva, inoltre, che, in questa proposta, «non si pone assolutamente in discussione l’indissolubilità del matrimonio». Sono nuovamente perplesso. Non ammettete, dunque, che, per tante ragioni complesse, sempre dolorose, l'amore umano possa spesso perdersi o spezzarsi? Continuate ad aggrapparvi a questo artificio canonico in base a cui, anche nel caso in cui l'amore si dissolva, il matrimonio rimane indissolubile, a meno che non sia stato dichiarato dal tribunale ecclesiastico come “nullo” o inesistente all'origine? Continuate a pensare che sia un sigillo canonico a fare il sacramento e che questo, una volta validamente contratto, persista anche in assenza dell'amore? Sofismi e artifici. Sono sicuro che non sia questo il vostro modo di pensare, ma allora, per favore, cambiate argomenti.

Da parte sua, José María Castillo, che non figura tra i 20 teologi firmatari, pubblicava alcuni giorni fa un articolo di grande densità in cui dimostra con dati esaurienti che Gesù non ha insegnato l'indissolubilità in quanto tale e che questa non è stata riconosciuta dalla Chiesa per oltre 1.000 anni né è mai stata dichiarata come dogma. Così è, ed è bene saperlo. 

I vescovi commettono molti abusi quando ci parlano in nome di Dio e della fede della Chiesa ignorando i dati dell'esegesi e della storia. Quando Gesù disse «L'uomo non separi ciò che Dio ha unito», non voleva insegnare propriamente l'indissolubilità, ma piuttosto difendere le mogli dagli abusi dei mariti, poiché solo a questi veniva riconosciuto il diritto al divorzio, ed essi potevano esercitarlo per qualsiasi inezia (bastava, per esempio, che alla moglie fosse capitato una volta di bruciare il cibo).

È noto, del resto – benché Castillo non lo dica – che, quale che fosse l'insegnamento di Gesù, il Vangelo di Matteo riconosce almeno un'eccezione al divieto di divorzio, in quanto lo consente in caso di porneia (Mt 5,32): parola greca che nessuno sa bene cosa significhi e che oggi si traduce solitamente come “unione illegittima”. In caso di “unione illegittima”, secondo il Gesù di Matteo, sarebbe legittimo divorziare e risposarsi.

Ebbene, non sarebbe per caso “illegittima” una qualunque unione matrimoniale in cui non esista più una minima dignità e qualità di relazione tra gli sposi? È noto anche che San Paolo individua un'altra eccezione nel caso di matrimoni misti tra un coniuge credente e un altro non credente: se la parte non credente vuole divorziare, quella credente è libera di risposarsi, perché «Dio vi ha chiamati alla pace!» (1Cor 7,15) (e ricordiamoci che papa Benedetto XVI, seguendo la logica di Paolo, si è chiesto se la mancanza di fede degli sposi non sia una ragione sufficiente per dichiarare la “nullità” del matrimonio...). E io mi domando: se la mancanza di “fede” è motivo sufficiente, non dovrebbe esserlo a maggior ragione la mancanza d'amore?

Ma torniamo all'articolo di José María Castillo. Ammiro il suo acume e l'ampiezza della sua cultura teologica, la libertà e la vastità delle sue pubblicazioni, ma anche il suo argomento mi sta stretto rispetto alla questione. Si limita a dimostrare che Gesù non insegnò l'indissolubilità né che la Chiesa ne abbia fatto un dogma. Vuol dire che, se Gesù l'avesse stabilita espressamente e se la Chiesa l'avesse chiaramente dichiarata come dogma, allora sì che sarebbe una questione chiusa e intoccabile per sempre?

Per caso Gesù, come ogni buon profeta, non indicava più in là di ciò che pensava e diceva, più in là pertanto di ciò che egli stesso “credeva” e “insegnava”? Per caso lo Spirito della vita resta per sempre legato a dei dogmi che, nella loro formulazione e nel loro significato concreto, sono in relazione al linguaggio e alle circostanze di ogni tempo, e sono sempre frutto di una cultura e di una storia in costante evoluzione?

Finché la teologia e la Chiesa non rivedranno a fondo i loro schemi tradizionali, finché non assumeranno in pieno la logica dello Spirito che rinnova incessantemente tutte le cose al di là della lettera, dei dogmi e delle forme storiche, nulla di decisivo cambierà nella teologia o nella Chiesa. Ci limiteremo a rattoppare otri vecchie. A vino nuovo, otri nuove.

Respirate e vivete in pace, dunque, amiche/amici divorziati e risposati. Fate la comunione in pace nella mensa della Vita. Respiriamo, viviamo, facciamo in pace la comunione. E state sicuri che Gesù è con voi, con noi, non come un anfitrione più o meno indulgente, ma come un buon compagno di cammino, come allegro compagno di mensa.

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