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La Bibbia non ha ragione, ha anima

La Bibbia non ha ragione, ha anima

Tratto da: Adista Documenti n° 4 del 30/01/2016

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1. L'ARCHEOLOGIA BIBLICA: SCONCERTO, SOLLIEVO E ANNUNCIO DI FUTURO

Scavi e terremoti

Da alcuni anni molti cristiani hanno dovuto abituarsi a passare per diversi scossoni. È anche vero che la religione come mondo specifico già non aveva più per loro molta importanza, considerando che, per conservare la fede, sono diventati sufficienti l'amore sociale e lo spirito profetico di Gesù. In questo, la Teologia della Liberazione è stata decisiva. I motivi per perdere la fede non sono mancati: la complicità della Chiesa con il potere, i dogmi autoritari e i moralismi asfissianti, le contraddizioni bibliche con la scienza e la cultura e infine l'immagine stravagante rimandata dallo specchio di altre religioni. 

Recentemente si è mosso un passo ulteriore. Il “paradigma archeologico” li ha posti di fronte a scavi e interpretazioni storiche che contraddicono la versione biblica della storia di Israele. Scoprono così che l'Antico Testamento è stato in gran parte composto nel VII secolo dagli scribi e dai funzionari di un piccolo popolo di cananei al fine di rifondare l'identità israelita. E altre ricerche centrate sul Nuovo Testamento mettono in dubbio anche la veridicità dei Vangeli. (…). 

Molti cristiani rinnovatori sono così entrati in una fase di decostruzione essenziale delle loro credenze. È un terremoto con molteplici scosse. La lettura degli scritti di Rogers Lenaers, John Shelby Spong e John Hick, per citare solo alcuni autori, ha fatto crollare linguaggio e convinzioni. Non sono idee nuove: Bultmann e le teologie della secolarizzazione e della morte di Dio li avevano preceduti nel secolo scorso. Tuttavia, un certo declino della Teologia della Liberazione, il sorprendente progresso scientifico, il laicismo, il pluralismo religioso e la ragione postmoderna hanno reso il terremoto più attuale. Per questi cristiani rinnovatori i contenuti della religione sono miti convenzionali, narrazioni in cui l'essere umano crea il Dio che lo creò. (…). Essi vedono il cristianesimo come una grande costruzione simbolica parallela e in contraddizione in molti aspetti con il significato di Gesù e con il mondo di oggi. 

Non pochi tra loro interpretano questo sconcerto come un'inversione radicale della comprensione credente. È come se si fosse passati dal grandissimo peccato di voler essere come dèi al considerare come un valore la divinizzazione dell'umano. (…).

Vi sono due libri che su questo tema dell'archeologia biblica riassumono molto bene questa transizione: La Bibbia aveva ragione di Werner Keller, del 1956, e La Bibbia svelata di Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman, del 2001. All'epoca del primo, la Bibbia, oltre a essere la rivelazione di un Dio onnipotente, tremens et fascinans, aveva veridicità storica. Era Dio stesso a parlare, informando in maniera diretta su come era stato fatto il mondo, perché si fosse corrotto e come bisognasse sanarlo. All'epoca del secondo, la Bibbia non ha più ragione e la rivelazione è solo a metà, perché né il senso comune né la buona fede ritengono possibile questo tipo di manifestazioni eteronome.

Tremano le fondamenta della terra (Tillich)

O, ancor meglio, quelle del Cielo. È difficile ormai fondare una trascendenza ragionevole e universale sulla letteralità della Bibbia. La divinità e la pienezza della realtà richiedono altri racconti e altri cammini. (…). La sua funzione esplicativa ha raggiunto il suo limite e la sua simbologia si è frantumata in mille pezzi. (…). Per questo le notizie su nuove scoperte archeologiche o storiche che contraddicono le informazioni bibliche non colpiscono più tanto. La coscienza dell'incertezza aumenta paradossalmente con la conoscenza e la rigidità interpretativa è stata dimenticata. Si è persa ormai definitivamente la sicurezza e l'unicità della verità e del bene nelle questioni più direttamente riguardanti il senso della vita e della speranza. È la coscienza umana che costruisce e rivela in maniera plurale e dialogica i progetti di umanizzazione a partire dalla loro più elevata moralità e libertà condivisa. (…).

Prima, per quanto la ragione non trovasse risposte, i sentimenti sprofondassero nella tristezza, la natura punisse arbitrariamente l'umanità e la società nuotasse nell'ingiustizia, avevamo una garanzia. C'era una fonte superiore di informazione e di amore: Dio aveva detto direttamente che tutto era buono, che lo aveva fatto Lui, un essere di onnipotente bontà; che anche noi potevamo operare liberamente e che, se pure avessimo sbagliato, tutto sarebbe tornato al suo ordine. C'era la certezza che alla fine tutto sarebbe stato perfetto come al principio, che la sofferenza fosse un cammino valido, che ogni forma di oppressione avrebbe avuto termine, che gli apparenti castighi di una natura indomita fossero dovuti all'impossibilità di un altro mondo migliore, considerando l'assioma creazionale della Genesi. Tutto questo e molto altro, per la tranquillità della nostra vita, si sosteneva sulla certissima rivelazione.

Tuttavia, oggi non accettiamo che la verità provenga da una rivelazione. Oggi sappiamo che ogni informazione passa per la nostra coscienza e che questa è una funzione del cervello. Che il credere non è superiore al sapere, perché il sapere ha una metodologia così esigente e aperta che è la credenza concreta a doversi edificare su di esso e non il contrario. Prima eravamo in cammino verso la terra promessa come preambolo simbolico del Regno dei Cieli; ora siamo coscienti che la nostra esistenza naufraga nel Regno dei Mari. (…). Ci amiamo gli uni gli altri “aspettando Godot”, senza sapere se verrà.

(…). È da più di un secolo che si conducono analisi storico-critiche sui testi sacri. I loro contributi sono, piuttosto, un aiuto contro la nostra ingenua credulità. Con i contributi della scienza si rafforza l'autonomia delle nostre costruzioni simboliche. È un sollievo, di fronte alla costrizione imposta dalla letteralità di un tempo, e anche un annuncio di futuro. Se riusciamo a cogliere il potenziale etico e la fede soggiacenti a queste immagini bibliche ed evangeliche, se riusciamo a conservare la sensibilità, l'afflato e il pungolo che la loro serena contemplazione ci ha procurato per fare il bene durante secoli, anziché l'imposizione dei loro contenuti, avremo ottenuto molto. E per tale scopo risulterà molto gradita l'opera di pulizia operata da una conoscenza archeologica più precisa. Si dice che Bultmann demitologizzò la Bibbia in cerca di testi che fossero letteralmente veri. Noi rinunciamo alla letteralità di tutta la Bibbia e l'intendiamo come una metafora della ragione credente indipendentemente dalla sua corrispondenza o meno con la scienza. Le attribuiamo un'altra intenzione e un altro linguaggio.

Il Regno dei Mari

Se la Bibbia non ha ragione, se Dio non sta lassù a segnare il cammino, non ha creato al meglio il mondo e ancora non lo ha ricondotto a sé malgrado Gesù Cristo (perché salvare da un etereo peccato genetico e lasciare inalterate le condizioni di ingiustizia e saccheggio non può significare questo e mi si perdoni per la blasfemia), allora che ci resta della nostra fede? Che credibilità hanno la Vecchia e la Nuova Alleanza? Dove trovare la verità? Dove un motivo per amare? Perché dare la vita nel modo disinteressato di Gesù di Nazareth anziché praticare appena il “non procurare danno a nessuno”? E perché concentrarsi su Gesù e non su altri profeti? Perché la Bibbia e non un'altra tradizione, se nessuna è veramente storica? (…). 

Se chiediamo una spiegazione ultima a tutto ciò che viviamo, un punto fermo e sicuro a cui aggrapparci per spiegare la realtà intera, ci troveremo sempre dinanzi a una perplessità impotente. (…).

Né la conoscenza né l'etica (neppure la religione) ci offrono una sicurezza completa. (…) Perché esiste qualcosa anziché nulla (Leibniz)? C'è qualche conoscenza che si possa ritenere assolutamente certa (Russell)? Perché amare l'altro? Perché essere onesti (Freud)? Perché preservare l'esistenza dell'umanità (Hans Jonas)? Non c'è risposta. Al di là del fatto che è questo che vogliamo e che ci realizza come umani. Punto. Può essere che ci venga qualcosa in aggiunta. Non lo sapremo mai.

Abbiamo appreso (…) un altro modo di relazionarci con la scienza e la cultura. Abbiamo intravisto nuove ragioni per amare e, senza abbandonare il significato profondo dei racconti biblici, stiamo suscitando nuove motivazioni per un movimento universalista di speranza e solidarietà che oltrepassi religioni e culture, sviluppi la scienza e assomigli maggiormente al movimento di Gesù di Nazareth.

Per questo abbiamo detto che non proviamo solo sconcerto ma anche un notevole sollievo e una gioiosa aspettativa. È vero, è per necessità che ci spingiamo a decostruire pezzo per pezzo il grande racconto cristiano, per le prove archeologiche e altre considerazioni scientifiche e culturali di oggi, ma è soprattutto per lo stesso impulso di fede che ha condotto gli ebrei a parlare di Dio e noi a venerare Gesù di Nazareth come paradigma di un amore “totalmente disinteressato”.

È questa la congiuntura in cui ci troviamo. Nel Regno dei Mari, (…) liquido e limitato (…). E in questo mondo-mare oggi la città secolare e i suoi buoni cittadini individuano come stella polare l'esperienza dell'amore. Gli antichi israeliti elaborarono una Bibbia e un Dio unico per la propria rifondazione come popolo, per cominciare a navigare. Alcuni cristiani si rivolgono all'amore incondizionato di Gesù, al di là dei racconti e della loro possibile veridicità, per continuare a navigare.

2. NON SMETTEREMO MAI DI AMARE

Solo nell'amore vale la pena credere

Dove la ragione “fa acqua”, proprio lì “rompe le acque” per illuminare nuovi significati come l'amore. (…). L'amore permane sempre; alcune volte ha abbondanti ragioni e altre non molte. 

È un principio universale di trascendenza; nessuno lo mette in discussione come criterio guida dell'esistenza. Non ha bisogno di nulla che lo giustifichi. Si ama perché si ama, perché si è liberi, e siamo liberi perché amiamo. «Ama e fa' quel che vuoi» (Agostino). (…). «L'amore è la cosa più grande che ci sia in cielo e sulla terra» (Platone), ecc. Si manifesta in molteplici forme e maniere, in differenti gradi; nel nostro caso in una forma sublime: rivestito di Gesù Cristo.

L'inno di 1Corinzi 13 lo descrive assai bene. Continueremo a spiegare molti segreti della scienza che metteranno ripetutamente in discussione le nostre rappresentazioni credenti; forse otterremo un grado importante di “egaliberté” (Etienne Balibar) senza povertà né oppressione, ma continueremo a essere incapaci di portare fino in fondo l'amore. (...). Si può credere solo nell'amore... nell'amore si può solo credere. 

È l'amore in forma di progetto fondativo che ha ispirato a Israele il suo Pentateuco, che ha indotto lo schiavo a uscire dalla Caverna (…) e Che Guevara a lasciare una rivoluzione quasi compiuta per altre da iniziare. È un impulso vitale, un frutto dell'evoluzione, un volere della coscienza e un “daimon” inesplicabile. E potremmo in tal modo continuare a percorrere tutte le culture, le religioni e le intenzioni degli esseri umani.

Per questo non abbiamo più bisogno di sdoppiarci in un altro mondo parallelo a questo. Il Regno dei Cieli è qui, ed è già arrivato, è dentro di noi. L'essenza della religione, il mistero tremens et fascinans ricondotto a forze e a entità soprannaturali costruite nel formato definitivo di una rivelazione, è giunta a termine. La rivelazione non è se non la migliore ragione che c'è in noi, l'anima più elevata, l'amore per il sublime, la passione per la libertà, i progetti di redenzione… e come sintesi l'esperienza o “sentimento di Dio”, l'intimior intimo meo di un cuore universale. Non possiamo più fondare la fede sull'esistenza di altri mondi. (…). I nuovi paradigmi ci chiamano a vivere la città e la natura, senza templi specifici né rituali disincarnati. Gli dèi non verranno in nostro aiuto, per quanto li si possa invocare. 

Siamo chiamati piuttosto a un cambiamento di “veste interiore”, un profondo investimento concettuale ed emotivo sull'“anima”. (…). Un nuovo modo di credere dinanzi alla débâcle delle religioni, all'insignificanza mondana e al disamore in cui sembra situarsi l'attuale mentalità economicista e predatoria. La scommessa sulla dignità, l'appello al meglio per tutti, la sovra-etica della gratuità (P. Ricoeur, J. Daniel Causse). Un modo di credere, “riconosciuto” in maniera speciale nei racconti di Gesù, che siano mitici o reali non importa: stanno lì con tutta la loro forza e la loro novità. (…). 

Il Cristo costruito da tutti

E se non c'è stato un Gesù così come lo narrano i Vangeli? (…). Dove trarre ispirazione per tante lotte rivoluzionarie, per tante immagini di samaritani e di figli prodighi? Con il cambiamento di paradigma religionale abbiamo decostruito la figura di Gesù, abbiamo rotto con la nascita virginale, la divinità, la resurrezione, l'ascensione, la preesistenza e conseguentemente con la natura trinitaria. Abbiamo minato il grande racconto della Redenzione. Gesù smette di essere un assoluto extraumano. Cosa rimane allora per considerarlo speciale? Non dimentichiamo che la sua figura ha sempre catturato l'umanità in una maniera straordinaria. (…).

La figura di Gesù spogliata della sua aureola di sacralità appare come quella di un essere umano che ha vissuto il dramma della vita e della giustizia in un grado di elevatissima moralità. E nel dire “elevatissima” mi riferisco agli atteggiamenti (…) relativi all'incondizionalità e gratuità dell'amore umano. Come lo sono le proposte riguardo all'opzione per i deboli, al perdono, all'amore per i nemici, al valore primario della persona indipendentemente da tutto. Atteggiamenti così straordinari da dare origine all'esclamazione “Figlio di Dio”. Esclamazione che risuona in queste espressioni dei nostri giorni: «Umano come lui, poteva esserlo solo Dio» (L. Boff). Gesù ha amato «come solo Dio poteva fare» (J.I. González Faus). «Se Dio esiste, assomiglia a Gesù» (J.A. Pagola). (…). 

La singolarità di Gesù è in questo suo amore smisurato, non nella redenzione con il sangue o nel passaggio a una vita superiore. (…). L'amore disinteressato è la dimensione soprannaturale nella natura culturale umana. (…).

Nel Cristo costruito dai discepoli e dagli evangelisti, ricreato dai padri della Chiesa e dai monaci, nuovamente reinventato dai mistici e dai missionari, dai rivoluzionari, dai “fedeli laici” e da alcuni esponenti della gerarchia, e soprattutto (...) dalla gente semplice la cui unica santità riconosciuta è aver sofferto molto, abbiamo modellato un'immagine plurale di questo Gesù. Se guardiamo da vicino a tutti questi testimoni, scopriremo però un tratto comune: Gesù ha dato la vita per amore. (…). L'amore per il nemico, il perdono, l'opzione per il povero (…) sono proposte di tale rilevanza che possono essere realizzate solo partendo da uno straripamento della condizione umana, forse da un assoluto personale divino (Gauchet-Ferry).

3. LA TRANSCENDENZA DAL BASSO

(…). Probabilmente non abbiamo più bisogno di un cielo, né di un Dio creatore e redentore. Né dell'armamentario ecclesiastico. È l'ora dell'umile autonomia umana, della buona volontà dentro di noi, benedetta e liberissima, «come se Dio non esistesse» (Grotius). O come esprimono queste altre intuizioni: «Dinanzi a Dio e con Dio viviamo senza Dio» (Bonhoeffer), «Benché Dio non stia nell'alto dei cieli» (Lenaers), «Se anche non ci fosse il cielo io ti amerei» (Teresa di Gesù).

La religione, intesa, come è stato finora, come un sistema di verità eterne e di forze soprannaturali nascoste nella relatività dei simboli, è giunta a termine. Il mondo soprannaturale è l'inesauribile capacità di amare della libertà. Il cristianesimo sarà forse la religione per uscire dalla religione, come dice il filosofo Marcel Gauchet (…). 

Alcuni di noi pensano che la “filosofia” e la prassi di Gesù offrano un modello di persona “divinizzata” dall'amore (...). Solo “un Dio” è capace di “portare avanti l'amore fino in fondo”, di amare il nemico, di stare sempre dalla parte dei più deboli, di lasciarsi uccidere per la giustizia. Questo amore trasforma in cristo qualunque persona, incarna la divinità, risuscita la vita, crea un cielo. È questa l'universalità e l'unicità di Gesù e di chiunque sia come lui.

La religione si sta oggi riconducendo verso la profondità dell'umano in maniera aperta e condivisa. La democrazia piena, i diritti umani, il pluralismo, l'estensione della cultura, il dialogo come fonte di verità e concordia e soprattutto la critica al mercantilismo e la maggiore coscienza di un mondo unico affidato alla cura di tutti sono segni di una convergenza di speranza che oltrepassa il canale della religione, unendo tutte le maree in una grande matrice di creatività e di responsabilità. È la nuova “veste interiore” dello spirito. (…). 

Meno parole di Dio e più significatività

(…). Abbiamo bisogno di racconti toccanti, plurali, condivisi. La Bibbia ha anima anche se non ha ragione: leggiamola in maniera simbolica (…). Leggiamola senza cadere nell'“eresia pagana” (Spong) di interpretare come reale ciò che è stato scritto come letteratura, di leggere con occhi pagani quello che è stato scritto nello stile ebraico. In caso contrario, la Bibbia sarà il grande inganno delle religioni del Libro e oggetto di scherno di molti contemporanei dotati di buon senso. Esistono molti pentateuco e salmi nella letteratura universale di tutti i popoli. La nostra tradizione è stata incline a servirsi di una specie di “principio di divinizzazione” (si dica emanato da Dio tutto ciò che vogliamo evidenziare e imporre, siano racconti, guerre, morali particolari, governi e autorità).

In questo inganno rientra soprattutto il dogma dell'infallibilità e il magistero ecclesiastico. Parzialmente anche la teologia: ciò che inizia come esperienza e simbolo non può trasformarsi in ragione scientifica. La teologia sta compiendo il suo ciclo per essere rinnovata da un'antropologia della trascendenza come scienza sociale, senza dimenticare l'alterità del dono e di ciò che ci oltrepassa, ma anche senza volerlo afferrare. Non si può fare scienza della metafora. (...).

È sbagliato il cammino sviluppato finora per tentare di conciliare Bibbia e archeologia, ragione e fede. Sono ambiti distinti. È giunta l'ora di superare il vecchio schema tomista. La fede non è un fanalino rosso che si accende quando la scienza attenta alle sue verità bibliche o dogmatiche. (…). La fede è nel processo della scienza, nella sua ricerca della verità, nella sua curiosità e nel suo desiderio di verifica, nella passione con cui apre le porte a un progresso universale e sostenibile, nella sua critica alla strumentalizzazione, al mercantilismo e al “principio tecnologico”. Le scienze spiegano, interpretano con rigore e comprendono la natura; i simboli ci offrono significato, ci danno “anima”. Non si confondano gli ambiti. (…).

L'Internazionale della speranza

In molti luoghi del mondo nuove voci ci parlano di questa secolarizzazione sovra-etica. Sono voci che parlano della dignità incondizionata di ogni essere umano, di valori simili a quelli rappresentati dalla Causa di Gesù. Questa grande onda su cui remano molti naufraghi, senza sapere del tutto dove andare e perché, è come la prima pietra su cui Gesù costruirebbe oggi la Chiesa, la sua convocazione universale.

Evangelizzare oggi significa estendere questo movimento universale per la giustizia e la felicità (…). Questa è la nuova Chiesa, la convergenza di tutte le genti a favore della dignità umana. Questo è quanto ha fatto e voluto Gesù. Il suo “Regno” è oggi questo “impulso di dignità universale”, inesplicabile, che geme all'interno di ogni persona, del pianeta e di ogni azione collettiva e che, a partire dai poveri, giunge a tutte le persone. (…). 

È ormai finito il tempo di costruire la nostra Chiesa, di definire il nostro Dio, di difendere la nostra Salvezza. È il momento di creare una convenzione mondiale per la giustizia, un'Internazionale della speranza, una città per tutti, in cui ogni persona e ogni gruppo riesca ad articolare il dovere civico con lo straripamento dell'amore che suscita la credenza particolare. Siamo comunità umane di speranza, nel nostro caso secondo Gesù. (…). 

La questione finale che pongo, che mi pongo, è: saremo capaci di creare strumenti e mezzi consistenti quanto quelli costruiti dalle religioni in quest'altro assioma laico dell'amore illimitatamente disinteressato? Questo nuovo assioma di una “trascendenza” incerta e a partire dal basso comporta anche strumenti “deboli”, diversi per tempo, luogo, cultura e intensità? I seminari, i ritiri, le lunghe ore di preghiera, l'evangelizzazione, la formazione... come recuperare questa intensa formazione religiosa a partire da un paradigma laico? (…).

Non smetteremo di ricordare Gesù, tutti i cristi, e di animarci al “Regno”. Di riferirci a tutte le memorie che ci parlano di lui, a cominciare dalle prime, i vangeli. Le celebrazioni prescinderanno dall'alone sacro del tempio. (…). 

I venti nuovi di Francesco devono promuovere un cambiamento totale nella predicazione di tutte le parrocchie e di tutti i gruppi cristiani. Con l'aiuto del dialogo democratico, della scienza e della critica sociale, dell'arte e della poesia, possono meglio alimentare una sana educazione mentale libera da magia e sottomissione. Devono dissolvere i grandi spettacoli religiosi trasformandoli in ricordi pieni di speranza della liberazione di Gesù. Devono ricreare il potenziale simbolico della religione per apportare motivazione, consolazione e fraternità. Cedere alla morale il suo spazio autonomo all'interno della società civile. Le parrocchie e i gruppi devono essere, per tutti i credo e le correnti di pensiero, zone verdi di fronte al mercantilismo e zone blu di serenità. 

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