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Grande Guerra: nessuna riabilitazione per i disertori

Grande Guerra: nessuna riabilitazione per i disertori

Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 26/11/2016

38758 ROMA-ADISTA. Perdóno sì, riabilitazione no. È la conclusione a cui è giunta, lo scorso 2 novembre, la commissione Difesa del Senato a proposito dei soldati condannati a morte dai tribunali militari italiani – per lo più con l’accusa di diserzione – oppure fucilati sommariamente durante la prima guerra mondiale per “dare l’esempio” e mantenere la disciplina fra la truppa.

Sono stati 750 i soldati italiani condannati a morte ed effettivamente fucilati da “mano amica” – spesso plotoni di carabinieri destinati a questo compito –, oltre 300 hanno invece subito una fucilazione sommaria documentata, a cui andrebbe aggiunto un numero imprecisato di esecuzioni e decimazioni non documentate (un numero complessivo molto più alto rispetto a quello degli altri Stati “vincitori” della Triplice Intesa, che pure combatterono un anno in più rispetto all’Italia: 700 condannati a morte dalla Francia, 300 dal Regno Unito). 

Attendono giustizia, sebbene post mortem, da 100 anni. Al massimo otterranno il «perdono» – e non si capisce per cosa dovrebbero essere perdonati, dal momento che sono stati loro ad essere fucilati, semmai sono lo Stato e le Forze armate a dover ammettere gli errori ed implorare il perdono –, ma non quella riabilitazione che da tempo chiedono famigliari, storici e militanti pacifisti e che la Camera dei deputati era riuscita ad inserire in un disegno di legge approvato nel maggio 2015. Ma nel frattempo è intervenuta la longa manus dei vertici delle Forze armate e di settori del Ministero della Difesa, guidato dalla ex scout Roberta Pinotti, che ha prima insabbiato il dibattito e poi ha trasformato la «riabilitazione» in «perdono». Non è una differenza da poco, perlomeno in questo caso, perché i soldati uccisi resteranno formalmente iscritti nel “libro nero” dei traditori, dei disertori, dei disfattisti, dei codardi, come li chiamava il generale Cadorna, capo di Stato maggiore dell’esercito italiano dall’entrata in guerra fino alla disfatta di Caporetto del 24-25 ottobre 1917, di cui peraltro fu uno dei massimi responsabili.

La storia comincia nel 2014, all’inizio del centenario della Grande guerra. Sergio Dini, pubblico ministero padovano con un passato nella giustizia militare, chiede al ministro «un provvedimento di clemenza di carattere generale, a favore di tutti i condannati a morte del primo conflitto mondiale», perché, scrive, «anche i caduti sotto il fuoco di un plotone d’esecuzione sono morti in guerra, e (perché no?) sono morti per la Patria, furono mobilitati contro la loro volontà, per una guerra di cui non ben comprendevano gli scopi, come fu per la maggior parte dei morti in combattimento o in prigionia». 

Appelli analoghi vengono poi rivolti a due presidenti della Repubblica (Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella) prima da un gruppo di storici (fra cui Alberto Monticone, Mimmo Franzinelli e Nicola Tranfaglia) e poi da intellettuali, gruppi, riviste e militanti pacifisti (fra cui i Beati i costruttori di pace, Luisa Morgantini e Mao Valpiana; per aderire si può scrivere ad uno dei promotori, Francesco Cecchini, e-mail: francesco_cecchini2000@yahoo.com). 

Infine il mondo cattolico. Prima 13 preti del Nord Est (don Pierluigi Di Piazza, don Albino Bizzottodon Andrea Bellavite e altri), in occasione della visita di papa Francesco al sacrario militare di Redipuglia del settembre 2014, chiedono di riabilitare i disertori: «Migliaia e migliaia di soldati sono stati processati e uccisi perché si sono rifiutati di obbedire a comandi contro l’umanità. Sono stati a lungo bollati come vigliacchi e disertori, per noi sono profetici testimoni di umanità e di pace, meritano di essere esplicitamente ricordati nella celebrazione della memoria». Poi a farlo è addirittura l’ordinario militare per l’Italia, mons. Santo Marcianò, in un’intervista all’AdnKronos, il 4 novembre 2014 (v. Adista Notizie nn. 32 e 41/14, Adista Segni Nuovi n. 7/15).

Si attiva anche la politica. Il deputato del Partito democratico Gian Piero Scanu presenta come primo firmatario un disegno di legge che, fra l’altro, prevede «la riabilitazione dei militari delle Forze armate italiane che nel corso della prima guerra mondiale abbiano riportato condanna alla pena capitale»; l’inserimento dei loro nomi «nell’Albo d’oro del Commissariato generale per le onoranze ai caduti»; e, «al fine di manifestare la volontà della Repubblica di chiedere il perdono», l’affissione di «una targa in bronzo che ne ricorda il sacrificio» all’interno del Vittoriano di Roma. La Camera approva all’unanimità, il 21 maggio 2015.

È a questo punto che tutto si blocca. Il disegno di legge viene parcheggiato su un binario morto di Palazzo Madama, mentre la ministra Pinotti, con una tipica manovra di insabbiamento nelle paludi del Palazzo, costituisce un apposito Comitato tecnico-scientifico di studio e ricerca sul tema del «fattore umano» nella prima guerra mondiale, presieduto dall’ex ministro della Difesa Arturo Parisi e composto per lo più da ufficiali militari. «Il Senato sta indugiando troppo», denuncia Scanu, «mi auguro che non sia un brutto segnale. Dopo l’approvazione del ddl alla Camera, alcuni “sinedri” hanno manifestato la loro insofferenza. Voglio sperare che non sia stato fatto “apostolato” da parte di qualcuno per bloccare la legge» (v. Adista Notizie n. 38/15).

Ed è proprio quello che si verifica. La legge non viene bloccata, ma irrimediabilmente stravolta. Il nodo è quello della «riabilitazione», inammissibile per alcuni settori della Difesa e delle Forze armate. Ad ottobre scorso il disegno di legge arriva in Commissione Difesa e dal dibattito si capisce subito che aria tira. Per Antonio Gasparri il testo del ddl approvato dalla Camera è «eccessivamente schematico», meglio mettere da parte la riabilitazione e restare «su un piano squisitamente culturale e storico». Per il ciellino Mario Mauro «l’utilizzo dello strumento legislativo ai fini dell'interpretazione e della rivisitazione dei fatti storici appare decisamente improprio». Il piddino Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa, prepara un nuovo testo, licenziato il 2 novembre, in cui sparisce «ogni riferimento all’istituto della riabilitazione», sostituito dal «riconoscimento del sacrificio dei cosiddetti “fucilati per l'esempio”, ingiustamente condannati senza alcun processo», e dal «perdono offerto a coloro che, pur condannati a seguito di regolare processo, pagarono con la vita l'applicazione di una legislazione militare eccessivamente dura». Per tutti si propone di affiggere una lapide “riparatoria” all’interno del Vittoriano in Roma: «Nella ricorrenza del centenario della grande guerra e nel ricordo perenne del sacrificio di un intero popolo – questo il testo proposto –, l'Italia onora la memoria dei propri figli in armi fucilati senza le garanzie di un giusto processo. A chi pagò con la vita il cruento rigore della giustizia militare del tempo offre il proprio commosso perdono» (ma per Gasparri è troppo anche questo: meglio «limitarsi al primo dei due periodi proposti dal testo» ed evitare la parola «perdono» e qualsiasi critica alla «giustizia militare»). 

Se questo dovrà essere l’approdo finale di un provvedimento nato con l’intento di fare giustizia e restituire dignità, allora forse meglio nessuna legge che questa legge ambigua ed ipocrita.

* Pezzi d'artiglieria italiani abbandonati nella rotta di Caporetto. Immagine originale e licenza.

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