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La lezione della talpa

La lezione della talpa

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 28/01/2017

A chi gli chiedeva come mai non mostrasse paura di fronte ai paramilitari che avevano appena perpetrato l’ennesima strage di persone inermi in Chiapas, un indios rispose raccontando una strana storia: “Nella selva il leone fa paura e, prima che con gli artigli, uccide guardando. La preda vede ciò che il leone guarda, vede la sua immagine impaurita riflessa nello sguardo del leone e ha paura. È così che la bestiola si arrende e il leone la divora senza pietà. Però nella selva c'è una bestiola che non reagisce cosi. Non si arrende al leone perché non si accorge di essere guardata: è cieca, è la talpa. Tanto tempo fa la talpa rimase cieca perché, invece di guardare fuori, prese a guardarsi nel cuore. E dunque non si preoccupava di forti o deboli, di grandi o piccoli, perché il cuore è il cuore e non si spaventa. Ma questa cosa del guardarsi dentro era permes­so farla solo agli dei, che la castigarono: non lasciarono più che guardasse fuori e la condannarono a cammi­nare e a vivere sotto terra. Ma la talpa non ne soffrì nemmeno un po' giacché continuò a guardarsi dentro. Ecco perché la talpa non ha paura del leone”. 

Bisognerebbe raccontare questa fiaba a chi si sta lasciando prendere dal terrore di fronte alle migrazioni, che politici squallidi e senza scrupoli – loro sì belve in cerca di ignare prede da sbranare! – descrivono come una invasione di “animali feroci” in cerca di prede da stuprare e a cui togliere il lavoro.  

Molti di questi politici affermano che le radici dell'Europa sono germogliate dal Vangelo. Se questo è vero ci deve portare a denunciare fermamente l’imperante ondata di razzismo e ci deve far andare controcorrente rispetto al dilagare del populismo e del perbenismo ipocrita. Basta guardare la Storia. Abramo, Mosè e Giosuè, i padri dell’ebraismo, del cristianesimo e dell'islam, furono degli “immigrati” nella Terra promessa. Passando dalle origini della civiltà ebraica a quella del cristianesimo, sappiamo bene che Pietro, duemila anni fa, giunse a Roma da migrante: oggi, se pure gli fosse riuscito di raggiungerla vivo – e di non crepare asfissiato nella stiva di qualche barcone – verrebbe espulso come clandestino. E non è superfluo ricordare, a questo punto, che la morente civiltà romana passò le consegne alla nuova civiltà cristiana, e questo fu possibile anche grazie agli afflussi dei popoli barbari che ruppero gli argini dell’Impero e si mescolarono alle razze autoctone ponendo le prime basi di quel processo storico sfociato nella civiltà moderna. Questa ha ceduto il passo a quella postmoderna: l’Europa è vecchia e la sua popolazione si avvia inesorabilmente alla quasi estinzione. Come per i vasi comunicanti, il cosiddetto Terzo mondo preme alle porte dell’Occidente ricco e minoritario.

La storia procede anche senza di noi: le migrazioni sono inarrestabili ed è una forma di grande miopia cercare di opporsi a questo fenomeno. Trincerarsi dietro la difesa della propria razza, gonfiare il pregiudizio razzista, illudersi che sia un bene che i cosiddetti extracomunitari restino nei Paesi di origine, non è solo, come molto spesso accade, pura mancanza di umanità, ma nasconde la volontà di chiudersi al futuro, di rifiutarsi alla nascita del nuovo che è possibile soltanto se ognuno non rimane a casa sua, se dall’accoglienza nasce la mescolanza e la fusione. È molto più saggio e lungimirante vivere questo momento come una grande opportunità storica, prendendo parte attiva alla nascita di un nuovo mondo, meticcio, multietnico e colorato, tollerante e ricco nella diversità.

Dovremmo riscoprire e ritornare alle radici non solo cristiane dell’Europa e su queste impiantare leggi capaci di accogliere e regolamentare senza umiliare. 

È giunta l’ora di rivendicare il nostro diritto ad essere antirazzisti, uscendo allo scoperto con la stella di Davide cucita sulla giacca pur senza essere ebrei, dichiarandoci idealmente eritrei o sudanesi, siriani o afghani, pur essendo nati in Europa. Come la talpa della fiaba, non avremo paura del “leone” se sappiamo guardarci nel cuore, dove troveremo la forza per fissarlo negli occhi. Perciò non dobbiamo temere di affrontare con intelligenza e buon senso i problemi legati alle migrazioni, di fronte ai quali persone stupide, ignoranti e senza scrupoli vorrebbero farci arrendere. “E il leone si accorge, guardando nello sguardo di quell’essere umano che sa guardarsi nel cuore, di essere solo un leone, e il leone si vede guardato, e ha paura, e scappa via”.

* amministratore parrocchiale a Mercogliano (Av)

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