
Incognita Pd: un partito allo sbando?
Tratto da: Adista Notizie n° 6 del 11/02/2017
Le analisi e le riflessioni, le polemiche e le celebrazioni seguite al clamoroso e inatteso esito del referendum sulla riforma renziana della Costituzione hanno distratto l’attenzione dalle conseguenze che esso ha prodotto sugli assetti interni del Partito Democratico. Le attese decisioni della Corte Costituzionale in merito alla legge elettorale hanno messo in dubbio la possibilità che conservi una linea politica condivisa per dettare le condizioni per uscire dalla crisi che travaglia il Paese e la sua stessa compattezza.
Della difficoltà a trovare una soluzione unitaria si è fatto interprete Pierluigi Bersani che, per la prima volta, ha lasciato intendere che non esclude la possibilità che nasca un nuovo soggetto politico. Ormai il temine scissione è entrato nel lessico del partito, condiviso sia dai commentatori esterni sia nel dibattito interno. Non era mai accaduto nella storia del Pd che Pier Luigi Bersani, interrogato sul tema, dicesse: «Porrò questioni politiche e ascolterò la risposta. Non garantisco nulla». Ben diversamente da quando diceva che il Pd «è casa mia», dalla quale avrebbero potuto sloggiarlo solo coi carri armati.
Si manifestano oggi nel Pd posizioni diverse su questioni dirimenti: quale legge elettorale dopo l’intervento della Consulta che ha riformato l’Italicum; quale data per chiamare i cittadini alle urne; quanto e come sostenere il governo Gentiloni; quali rapporti con i berlusconiani e con i grillini; come reagire alla richiesta della opposizione interna di convocare il Congresso prima delle elezioni anticipandola sulla data prevista per statuto alla fine dell’anno.
Sono i temi del confronto fra maggioranza e minoranza sui quali Renzi sembra non volere scendere a patti con l’opposizione interna. Il nodo della legge elettorale - in discussione alla Camera per la fine di febbraio - resta il più intricato perché l’opposizione interna, con Roberto Speranza, ha aperto la campagna contro la clausola della legge elettorale che prevede i capilista bloccati portando alla formazione di una Camera con il 70 per cento di “nominati”. Per di più essa va armonizzata con la legge elettorale per il Senato, per evitare l’ingovernabilità, recentemente chiesta autorevolmente da Giorgio Napolitano, che ha rilanciato il rispetto delle regole che prevedono per la Camera che una scadenza ben definita può essere derogata solo per necessità istituzionale e non per convenienze di partito. Anche il fronte renziano mostra segni di sfaldamento. Intorno a Michele Emiliano, presidente della regione Puglia, si sta coagulando la richiesta di convocare il Congresso per la quale è in corso la raccolta di firme. A tale convocazione Renzi si oppone, anche perché per anticipare il Congresso servono le sue dimissioni da segretario, che non intende rassegnare, ben consapevole che non c’è solo da evitare l’incognita del Congresso, ma anche fare delle scelte in vista della manovra finanziaria del governo e del referendum della Cgil sui voucher. In alternativa, anche a suo nome, Matteo Orfini, presidente del Pd, offre le primarie per scegliere il candidato premier.
Non è facile prevedere gli sviluppi della situazione per la condizione di isolamento in cui Renzi si trova a fronteggiare un contesto in rapida evoluzione per l’intreccio di spinte diverse: diviso il centro-destra sul tempo per l’elezione del Parlamento; impegnati i gruppi della sinistra a cercare un ritorno all’unità d’azione; impegnato il governo in una serie di appuntamenti europei e internazionali coincidenti con imprevedibili campagne elettorali in Francia e in Germania, coinvolte nello stravolgimento delle relazioni atlantiche imposto dall’avvento dell’era Trump e condizionate da una ripresa dell’interventismo russo.
* Marcello Vigli è delle Comunità Cristiane di Base
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