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Le sfide di una nuova sinistra

Le sfide di una nuova sinistra

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 23 del 24/06/2017
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Nessuno può negare che le democrazie occidentali stanno vivendo una crisi politica per una serie di cause prossime: l’instabilità di alcuni governi, il discutibile funzionamento dei meccanismi di selezione della classe politica, l’inadeguatezza dei sistemi elettorali che dovrebbero assicurare la rappresentanza dei cittadini, l’arcigna presenza dei cosiddetti populismi, la lentezza dei procedimenti decisionali, il deficit culturale di larga parte del ceto politico, le inattese quanto fulminee carriere di personaggi che raggiungono i vertici del potere ricchi di doti affabulatorie ma poveri di idealità e di progetti di governo, i leaderismi che mortificano lo spirito di comunità con “uomini” sempre più spesso “soli al comando”, i fedelissimi del “capo” costituiti in “cerchi” più o meno “magici”. Ed ancora: i decisionismi, le tentazioni autoritarie, la compressione della partecipazione democratica nonché gli abusi, la corruzione e gli scandali che costituiscono, per la loro diffusione e spregiudicatezza, una “questione morale” destinata ad assumere i caratteri di una scottante “questione politica”.

Non vi è dubbio però che la causa primaria di questo malessere va ricercata in quel “pensiero unico” che, proprio perché tale, costituisce la negazione della democrazia dal momento che essa è per sua natura dialettica, nasce dal confronto fra ideali diversi, vive di pluralismo e ha bisogno di respirare dissenso per non morire di asfissia. Il fatto è che le lotte senza esclusione di colpi fra soggetti (individuali o collettivi) che si contendono il potere, lungi dall’essere la prova della democraticità del sistema, ne certificano il declino se non l’agonia. E ciò perché il pluralismo quale carta di identità di una vera democrazia è quello che si esprime in valori, concezioni politiche e programmi economico-sociali in competizione tra loro, sia pure dentro un quadro di principi supremi comunemente accettati, il cui venir meno costituisce la malinconica caratteristica di tutti i regimi dispotici e di tutti i governi con inclinazioni autoritarie. Un’ideologia neoliberista che ha fatto registrare, per la prima volta nella storia, il pieno successo delle classi dominanti nell’impresa di provocare nelle classi subalterne una sorta di ipnosi collettiva per indurre i dominati a volere ciò che i vincenti vogliono e per indurli a operare per il raggiungimento degli obiettivi che essi perseguono.

Un processo lento e graduale che impoverisce i poveri convincendoli di essere detentori di inammissibili privilegi e arricchisce i ricchi presentandoli come meritevoli artefici oggi delle loro concrete fortune e domani di chimeriche fortune generali con una logica in aperto contrasto con la cultura di quell’“umanesimo sociale” che, dopo il fallimento degli sperimentati “riformismi”, di destra e di sinistra, tutti permeati di liberismo, dovrebbe tornare ad essere la fonte ispiratrice e la “forza propulsiva” di una sinistra progressista. Una sinistra che si impegni a costruire una democrazia socialmente avanzata nel rigoroso rispetto del pluralismo e delle libertà democratiche, che consideri vitale il rilancio dell’esperienza europea con l’obiettivo di giungere ad uno Stato federale che garantisca i diritti umani fondamentali assicurando l’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà e che torni a rappresentare gli interessi dei ceti popolari a partire da quelli degli ultimi. Quegli “esclusi” che attirati dallo “specchietto per le allodole” del neoliberismo, invece di respingere l’ingannevole richiamo, puntano ad ottenere l’impossibile “inclusione” nella ristretta cerchia dei “vincenti” contribuendo così a perpetuare il disumano sistema.

E allora, venendo alla politica di casa nostra e alle vicende che in questi giorni la segnano, c’è da verificare se le neoformazioni politiche a sinistra del PD avvertano la responsabilità di unirsi o in qualche modo federarsi per dar vita a un soggetto capace di operare scelte condivise e se siano in grado di farlo riproponendo con forza l’istanza politica, per come è emersa con chiarezza dal voto referendario del 4 dicembre scorso, di dare finalmente attuazione alle direttive e ai precetti della Carta costituzionale. Un’idea-guida che esige soprattutto il ribaltamento della politica economica e sociale degli ultimi governi con l’adozione di misure che, puntando a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la partecipazione democratica di tutti i lavoratori, si adoperino per fare in modo che l’attività economica pubblica e privata sia indirizzata e coordinata a fini sociali e che la proprietà privata, riconosciuta e garantita dalla legge, debba tener conto dei limiti che ne assicurino la funzione sociale e la rendano accessibile a tutti.

Basta dare uno sguardo alle disposizioni dello Statuto contenute nell’art. 1 (Repubblica democratica fondata sul lavoro), 3 (principi di uguaglianza formale e sostanziale), 4 (il lavoro come diritto da rendere effettivo e come dovere di concorrere al progresso materiale e spirituale della società) e alle disposizioni del Titolo III della prima parte della Costituzione (rapporti economici) per rendersi conto che il progressivo superamento di questo capitalismo neoliberista è un’esigenza costituzionale che non punta alla riesumazione di antistorici dirigismi statali ma prefigura una democrazia che, pur garantendo la libera attività economica e la proprietà privata, ritiene necessari interventi del potere pubblico a tutela del comune benessere.

È questa la sfida di fronte alla quale si trova oggi la neoformazione politica di sinistra. Una sinistra che, se non si sente investita di questo grande mandato e se non si lega agli ideali e alle lotte del suo migliore passato, corre il rischio di non decollare. E certo non decollerà, se categoricamente non esclude, per la prossima legislatura, accordi di governo con un PD a guida renziana. E se, profilandosi un nuovo patto del Nazareno, non guarda con positiva attenzione alle possibili evoluzioni e maturazioni del movimento pentastallato. Questa “nuova” sinistra fa bene a richiamare nella sua denominazione l’art. 1 dello Statuto che fonda la Repubblica italiana sul lavoro ma deve tenere ben presenti le parole ammonitrici di piena attualità pronunciate dal grande giurista Piero Calamandrei nel discorso agli studenti milanesi del 1955: «Occorre dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo obiettivo sarà raggiunto si può dire che la formula contenuta nell’articolo primo corrisponderà alla realtà… una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia».

* Nella foto, Piero Calamandrei

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