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Che Guevara ri-visto da un cristiano

Che Guevara ri-visto da un cristiano

Tratto da: Adista Notizie n° 36 del 21/10/2017

Rileggendo quello che scrissi nel 1967 su Ricerca, il quindicinale della Fuci di cui ero all’epoca il presidente, mi sorprende l’impatto che la morte del Che provocò in me e in tanti cattolici della mia generazione. «Lo sforzo di elaborazione di teorico e di rivoluzionario combattente compiuto da Guevara, ha una sua profonda coerenza». «Ritengo – scrivevo allora – fuori dubbio il fascino della semplicità e coerenza di tale dottrina...; e ancor più avvincente è la testimonianza del 'Che' Guevara. Per noi cristiani, che vorremmo essere fedeli testimoni di un messaggio salvifico e che cerchiamo di essere costruttori di pace, ciò che Guevara ha espresso non può lasciarci indifferenti».

All’epoca riconoscevo assieme ad altri «una dinamica del progresso che sia originata dalla rivoluzione». Precisavo poi che i movimenti non-violenti hanno un'alta tensione morale, ma «resta l'angoscioso interrogativo se le esperienze della non-violenza... hanno saputo e soprattutto possono tuttora dimostrare la loro efficacia rivoluzionaria». In particolare, non va dimenticato che l’enciclica di Paolo VI Populorum progressio approvava la rivoluzione armata quando essa era ribellione ad una tirannia evidente e prolungata. Ritenevamo spettasse alla coscienza morale, alla sensibilità morale del singolo compiere la valutazione. Avevamo seguito pochi anni prima l’esperienza del prete guerrigliero Camilo Torres, di cui si ricorda il proclama ai cittadini della Colombia: «Colombiani, per parecchi anni i poveri della patria hanno atteso il segnale di combattimento per lanciarsi nella lotta finale che distruggerà le oligarchie... Il popolo sa che le vie legali sono esaurite. Il popolo sa che non rimane altro se non la via delle armi. Il popolo è disperato ed è disposto a giocare la propria vita perché la generazione futura non conosca la schiavitù».

Per noi dunque, l'insegnamento di 'Che' Guevara era valido come indice di una scelta, in nome di un ideale, sia pure l'uomo nuovo del socialismo, allo stesso modo che per i cristiani era stata valida la scelta della lotta partigiana come risposta di volontà di pace ad uno stato di disperazione.

A distanza di 50 anni potrei cavarmela osservando che bastava essere curiosi per subire il contagio delle speranze e delle attese, dello spirito dell’epoca, quella ventata in cui la tradizionale forza e baldanza giovanile aveva trovato luoghi momenti in cui prendere forma in un contesto dove la realtà statuale sembrava sempre più inconcludente e gattopardesca avendo perso la spinta propulsiva della breve stagione riformista del centro sinistra: ristagno totale ancor più per chi come me e la maggioranza della presidenza della Fuci di allora era praticamente e intellettualmente lontana anni luce dalle gabbie della unità politica dei cattolici.

Ma c’è un dato evidente che va a mio parere sottolineato e che non è ascrivibile solo alle buone letture, liberate dalle barriere di mondi vissuti guardandosi forse non più in cagnesco, ma da lontano. Un nome per tutti: Frantz Fanon, perché insieme ad una lettura politica avvertivi che c’era un approccio unitario ai problemi del tempo, della storia. E questo si saldava con la straordinaria sollecitazione conciliare ad essere nella storia, senza schemi precostituiti. Ecco allora che guardo con una certa tenerezza alle contorsioni che nei passi citati sono evidenti rispetto alla violenza, contorsioni dovute ad un’ancora incerta appropriazione di visione nonviolenta, di pace che si dibatteva con le sirene della necessità della rivolta armata. Ed in questo c’è la straordinaria apertura della Populorum progressio di Paolo VI, non solo perché riconosceva lo stato di necessità per il ricorso alle armi, leggibile all’interno del secolare dibattito sulla guerra giusta, ma soprattutto perché come dichiara in apertura Paolo Vi, quel suo scritto era frutto pure di una sua conoscenza diretta, di sue esperienze di viaggio. Ecco a me pare che sia in questo approccio alla comprensione del reale che si consuma in positivo quella ripresa di capacità profetica che oggi da noi va colta nella pubblicazione da parte de il manifesto del “manifesto del papa”.

* Giovanni Benzoni è stato Presidente della Fuci tra il 1968 e il 1970.

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