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Disuguaglianze. La “grande riforma” dell’economia

Disuguaglianze. La “grande riforma” dell’economia

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 2 del 20/01/2018

L’economista francese Thomas Piketty, autore del bestseller Il capitalismo del XXI secolo che nel 2013 suscitò l’attenzione mondiale, è tornato in questi giorni a suonare il campanello di allarme sugli effetti disastrosi delle diseguaglianze sociali con il World Inequality Report 2018, il primo “report mondiale sulla diseguaglianza” scritto insieme a Lucas Chancel della Paris School of Economics e basato su centosettantacinque milioni di dati fiscali e statistici elaborati in un apposito progetto. In tale lavoro Piketty afferma che se è vero che con l’avvento delle economie emergenti le differenze di ricchezza fra alcuni Paesi si sono ridotte, è anche vero che le distanze di reddito si sono notevolmente accentuate fra le fasce sociali dei singoli Stati col progressivo impoverimento della classe media. E definisce poi impressionante il ritmo di crescita della disuguaglianza nei Paesi più industrializzati rilevando che dal 1980 al 2016 la percentuale di reddito nazionale in mano al 10% più ricco è passata negli Stati Uniti (e in Canada) dal 34% al 47%, in Russia dal 21% al 46% e in Cina dal 27% al 41% mentre il divario è meno marcato in Europa dove l’aumento è stato dal 33% al 37%.

Per quanto attiene in particolare all’Italia interessanti risultano i dati e le indicazioni che emergono per il 2017 dall’annuale Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese per il quale non si è «distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore» mentre «la paura del declassamento » diventa «il nuovo fantasma sociale» e si accentua il divario fra chi ha compiuto il balzo in avanti e una maggioranza rabbiosa che è rimasta indietro. Per il Censis è sempre grave il fenomeno della povertà assoluta dal momento che in questo stato versano oltre 1,6 milioni di famiglie con una crescita del 96,7% rispetto al periodo pre-crisi mentre le persone povere in senso assoluto sono 4,7 milioni con un incremento del 165% rispetto al 2007. Una crescita che ha coinvolto tutte le aree geografiche con una intensità maggiore al Centro (più 126%) e al Sud (più 100%).

Le cronache e le polemiche di questi giorni sulle zone d’ombra e le improprie incursioni di certa politica di casa nostra rendono di scottante attualità l’ormai famosa intervista di Enrico Berlinguer pubblicata da La Repubblica del 28 luglio 1981 nel corso della quale il leader del PCI diceva che «i partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, alcuni grandi giornali» e aggiungeva che molti cittadini accettano la situazione perché «hanno ricevuto vantaggi o sperano di riceverne o temono di non riceverne più». Una malattia cronica segnata anche dal ricorso alla raccomandazione, dai concorsi pubblici spesso  truccati, dalle tangenti e dai diffusi fenomeni di clientelismo, di corruzione e di evasione fiscale. La malapianta di un degradante costume che va estirpata per aprire la strada a una radicale riforma della società.

Occorre quindi quella riforma morale che è al centro della riflessione del filosofo svizzero Hans Kung (Onestà, Rizzoli 2011), per il quale due sono le norme centrali dell’etica mondiale da porre a base di ogni ordine economico: il principio di umanità per il quale ogni essere umano deve essere trattato col rispetto dovuto alla sua dignità perché al centro dell’ordine mondiale vi sia l’uomo e non il capitale (come nel capitalismo reale) e neppure lo Stato (come nel socialismo reale) e il principio di reciprocità vale a dire la regola aurea dell’imperativo «non fare agli altri ciò che non vuoi che gli altri facciano a te», apparso per la prima volta nella dottrina del saggio cinese Confucio, presente in tutte le altre tradizioni culturali e religiose e rafforzato in senso positivo dal discorso evangelico della montagna: «Tutto quello che volete che gli altri facciano a voi, anche voi fatelo a loro».

Ma il messaggio evangelico dice anche qualcosa di più specifico sul tema della giustizia economica. E lo fa con l’esaltazione dei poveri e degli oppressi e la condanna dei ricchi chiusi nell’egoismo della loro opulenza e col racconto del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Una narrazione, quella di questo “prodigio”, nel corso della quale gli evangelisti parlano sempre di “distribuzione” e mai di “moltiplicazione” interessati come appaiono a escludere ogni interpretazione magica dell’evento per presentarlo nella sua valenza simbolica quale segno della salvezza integrale annunciata da Cristo. Un miracolo quindi non “fisico” ma “etico” operato mediante una conversione che da personale diventa collettiva e, attraverso la condivisione dei beni essenziali per la vita, si proietta sul versante sociale indicando la via di un impegno con l’obiettivo che i beni offerti dalla natura (i “pesci” del miracolo) e quelli prodotti dal lavoro dell’uomo (i “pani”) siano equamente distribuiti fra tutti gli uomini.

L’annosa e tormentata vicenda del rapporto di scontro o di collaborazione fra cristianesimo e marxismo, nonostante gli errori e le delusioni del passato, si ripropone oggi con forza dal momento che il pensiero sociale cristiano, per come rielaborato dal Concilio Vaticano II e riproposto con accenti profetici da papa Francesco, e il marxismo, per come maturato anche a seguito dei tragici fallimenti del socialismo reale, sono le sole culture che esplicitamente e nettamente si propongono l’obiettivo del superamento del capitalismo neoliberista per la costruzione di un modello di economia a misura d’uomo quale quello disegnato in Italia dalla Carta Costituzionale. Si dirà che si tratta di culture che allo stato non trovano sbocco in organizzate e consistenti formazioni politiche, ma resta il fatto che esprimono un’esigenza largamente sentita della quale prima o poi si dovrà tenere conto.

Non può intanto sfuggire che le due citate culture si sono storicamente mosse sempre di più l’una verso l’altra. Da una parte, il pensiero sociale cristiano, con la sua attenzione preferenziale alle ragioni degli “ultimi” che non esclude, quando la giustizia lo impone, la lotta di classe non violenta ricorrendo anche per l’analisi della realtà sociale ad alcuni apporti del materialismo storico, ma respingendo sempre il materialismo dialettico intessuto di ateismo. E, dall’altra parte, il socialismo che, per la sua evoluzione facilitata anche dai contributi di personalità come quella del filosofo Franco Rodano, si è indotto ad affermare l’autonomia reciproca della politica e della fede religiosa aprendosi alla collaborazione con le esperienze progressiste di ispirazione cristiana quali quelle che si riconoscono nella Teologia della liberazione, considerandole non “l’oppio”, ma una benefica “anfetamina dei popoli”. Un incontro dal quale può partire quel rinnovamento non blandamente riformista ma incisivamente trasformatore di cui hanno urgente bisogno il mondo, l’Europa e il nostro Paese.

* Michele Di Schiena è presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione

* * Parte dell'immagine di copertina del World Inequality Report 2018 tratta dal sito http://wir2018.wid.world/ 

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