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Nicaragua, cresce l’escalation di violenza da parte dei paramilitari. La chiesa nel mirino

«In questo tragico momento desidero esprimere anche a nome del Santo Padre e della Santa Sede la profonda preoccupazione per la grave situazione che si sta vivendo nel Paese». Così il nunzio apostolico in Nicaragua, mons. Waldemar Stanislaw Sommertag, parlando a nome di papa Francesco, ha rivolto un appello a porre fine alle violenze che stanno sconvolgendo lo stato centroamericano dal 18 aprile scorso. La riforma della previdenza sociale (con riduzioni delle pensioni e aumenti delle imposte) voluta dal governo di Daniel Ortega, è all’origine della rivolta popolare, cui ha fatto seguito la repressione delle squadre speciali fedeli al governo.

Attentati, barricate, sassaiole ed agguati sono protagonisti di questi giorni di crisi, il cui bilancio, secondo la Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) conta ormai oltre 350 morti.

Due giorni fa le forze di polizia e paramilitari hanno preso il controllo del centro di Masaya, città a 30 chilometri da Managua, diventata il simbolo della resistenza al governo Ortega. L’agenzia SIR riporta la testimonianza di un sacerdote salesiano, p. César Augusto Gutiérrez, cui è affidata la cura pastorale della chiesa di San Sebastiano, la più centrale di Masaya. «La città è completamente militarizzata, le barricate non ci sono più, ma la polizia speciale va di casa in casa, in cerca soprattutto dei giovani che capeggiavano la resistenza. Pare che le vittime del 17 luglio siano quattro, tra cui un poliziotto. I feriti sono molti e così le persone che sono state portate via e incarcerate. Tanti sono fuggiti».

L’escalation di violenza non ha risparmiato la chiesa cattolica, ormai nel mirino dei paramilitari: il 9 luglio scorso il card. Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, insieme al nunzio e al vescovo ausiliare di Managua, Silvio Báez, sono stati aggrediti da attivisti vicini al governo, mentre mons. Abelardo Mata, vescovo alla guida della diocesi di Estelí, è sfuggito ad un attentato con tanto di sparatoria il 15 luglio scorso. Nonostante la repressione e le aggressioni, i presuli nicaraguensi, su incoraggiamento del papa, hanno deciso all’unanimità di continuare il dialogo nazionale: «Sono convinto come vescovo che l’unico strumento» per riportare la pace nel Paese «sia il dialogo; non i morti, i feriti, le armi ma l’uso della ragione», ha dichiarato al programma La Tarde il card. Brenes, dicendosi sicuro che «alla fine ci sarà una piccola finestra attraverso la quale entreranno luce, pace, riconciliazione tra tutti noi nicaraguensi»; e ha aggiunto di sentire il Francesco «molto vicino».

Dal resto del mondo ecclesiastico, intanto, sono diverse le manifestazioni di sostegno e solidarietà alla Chiesa ed al popolo nicaraguense, ma anche di condanna. Dopo il cardinale salvadoregno Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador - che ha detto: «Auspico che questo popolo, che desidera pace, giustizia e riconciliazione, abbia un giorno la sua resurrezione» - si è espresso il presidente del Segretariato Episcopale dell’America Centrale e arcivescovo di Panama, Josè Domingo Ulloa, ma con più dure parole, condannando senza mezzi termini il governo del presidente Ortega: «Il governo del Nicaragua supera il limite dell'inumano e dell'immoralità», recita un comunicato dell'arcidiocesi di Panama. «Da questa Chiesa che è in pellegrinaggio a Panama, vogliamo unirci alla condanna, al ripudio degli atti che stanno avendo luogo di aggressione contro il popolo nicaraguense, in particolare di tutti i membri del clero nicaraguense», aggiungendo che, di fronte a tutto ciò «la comunità internazionale non può rimanere indifferente».

*Foto di  tratta da Wikipedia Commons immagine originale e licenza

 

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