Egitto, svolta contro la violenza di genere: per la prima volta un’istituzione islamica condanna abusi sulle donne
Un «attentato alla dignità e alla libertà delle donne». Così Al-Azhar, la prestigiosa istituzione dell’islam sunnita, ha pronunciato una fatwa contro chi molesta le donne in un comunicato del 28 agosto scorso. Al-Azhar condanna gli «atti proibiti e i comportamenti deviati» degli uomini, affermando che «l’abbigliamento o l'atteggiamento delle donne non deve in alcun caso giustificare tali atti». È la prima volta che un’autorità religiosa prende pubblicamente posizione contro il fenomeno delle violenze sessuali in Egitto. Una vera e propria piaga sociale che, tuttavia, ha iniziato a manifestarsi come tale nella coscienza popolare solo negli ultimi anni.
Se la Primavera araba sarà ricordata sui libri di storia come un’ondata di proteste contro i regimi dittatoriali, infatti, le rivolte egiziane di piazza Tahrir, oltre a segnare la caduta di Hosni Mubarak, rappresentano l’incipit di un percorso di sensibilizzazione la cui recente pronuncia di Al-Azhar si configura come tassello certamente fondamentale.
Durante le manifestazioni del dicembre 2011, migliaia di donne furono molestate (oltre che interessate da trattamenti brutali da parte dei militari fedeli al regime, come i “test di verginità”), mentre in occasione della seconda ondata di proteste tra oppositori di diverse fazioni e le forze statali rappresentate dai Fratelli Musulmani, nel febbraio 2013, decine e decine di violenze sessuali si sono consumate ai danni delle donne scese in piazza. Denunce, testimonianze delle vittime e filmati cruenti hanno fatto il giro del mondo, dando inesorabilmente il via a movimenti rosa impegnati in difesa del genere femminile. Come confermano i dati pubblicati nel 2017 dall’Onu, questo fenomeno colpisce il 60% delle egiziane (nel 2013 erano il 99.3%) . Nello stesso rapporto, si evince di contro come i tre quarti degli uomini attribuiscano la colpa di questi atti ai comportamenti delle donne e al loro abbigliamento. Un fenomeno definito da Maria Muñoz, presidente dell’associazione Dignità Senza Confini (DWB), "terrorismo sessuale" e che ha dato il via a diverse iniziative della società civile, impegnate a far sì che la legge del 2014, che ha inasprito le pene per chi compie reati sessuali, fosse adeguatamente rispettata e riconosciuta come elemento di civiltà a sostegno della dignità femminile.
Oltre all’impegno profuso dal Centro egiziano per i diritti delle donne (ECWR) che, nel novembre 2016, ha lanciato una campagna dal nome “Be Aware&Speak Up” (“Sii consapevole e alza la voce”) al fine di combattere la violenza, incoraggiare le donne a denunciare abusi e chiedere giustizia, organizzazioni come l’HarassMap hanno delineato una mappa delle aree dove il fenomeno delle molestie è più diffuso, fornendo una piattaforma alle vittime di abusi e permettendo loro di denunciare in maniera anonima la violenza sessuale. Anche l’università de Il Cairo, con l’apertura di una unità anti violenza nel Campus, si è resa protagonista di questa opera di sensibilizzazione, ospitando convegni e seminari sul tema, per impegnare la società egiziana a creare un ambiente che non tolleri abusi e molestie.
La digitalizzazione della popolazione ha visto inoltre l’emergere di veri e propri network di persone unite per il sostegno immediato e collettivo delle donne in procinto di subire violenze: ad ottobre 2017 alcuni giovani egiziani hanno ideato una app - Street Pal - che funge da "guardiano" per l'incolumità delle donne e che, sulla base di interventi volontari da parte degli utenti registrati, può fornire aiuto immediato a chi invia un SOS. Nel giro di soli due mesi dal lancio, Street Pal era stata già scaricata da circa 800 persone.
Le iniziative della società civile e le pronunce delle istituzioni religiose si inseriscono tuttavia in un contesto ancora farraginoso dal punto di vista legal-giudiziale: nonostante la sentenza che nell’estate 2016 ha visto per la prima volta una donna, “Noah”, vincere in una causa di stupro, l’episodio del noto avvocato Nabih al-Wahsh che, in diretta tv, sosteneva nel novembre 2017 il «dovere nazionale [di] stuprare donne in abiti succinti e pantaloni strappati» e la prolungata detenzione dell’attivista egiziana Amal Fathy, arrestata a maggio scorso a causa di un video (pubblicato su Facebook) in cui denunciava l’incapacità del governo di proteggere le donne dalla violenza di genere, lascia presagire tempi lunghi per la totale emancipazione della società egiziana in tale direzione.
*Foto di Sailko tratta da Wikipedia Commons immagine originale e licenza
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