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Donne e società: dalla reclusione diritto di voto

Donne e società: dalla reclusione diritto di voto

Tratto da: Adista Documenti n° 30 del 30/08/2019

 «Hai guardato bene questa piazza? Guardala bene, perché non la vedrai mai più». Erano le parole di mio nonno a mia nonna all’uscita dal loro matrimonio in un paese della provincia di Ferrara. Era il 1886. Mia nonna aveva 16 anni. Il nonno, a quanto la nonna mi raccontava, mantenne la parola. La loro casa aveva due ingressi, quello posteriore si apriva sul giardino, chiuso allo sguardo dei passanti. Lì la nonna poteva sedere a lavorare di cucito insieme alle altre donne della casa, che potevano uscire a fare la spesa, lei no. Unica uscita, una sera a una festa al Circolo. La nonna si era cucita in casa un abito di pizzo; a un controllo del nonno l’abito risultò troppo scollato. Pretese che un pezzo di stoffa qualsiasi venisse infilato nella scollatura. La nonna subì, avrebbe preferito rimanere a casa piuttosto che farsi vedere in quella condizione. Ma la sua volontà non contava. In quell’occasione doveva dare lustro al marito con la sua presenza. Il nonno usciva ogni sera con gli amici, e a una timida protesta della moglie che gli chiedeva di rincasare non troppo tardi, come risposta aveva calcolato un’ora di rientro ancora più tarda. A 24 anni mia nonna era già madre di 7 figli, la maggior parte dei quali morta in tenerissima età. Una loro figlia morì suicida all’età di 20 anni, poiché i genitori non le consentivano un matrimonio a loro dire sbagliato. Un’inserviente, alla siepe del recinto del giardino, riceveva i messaggi dell’innamorato e a lui consegnava quelli della padroncina Stefania. Fu quella stessa persona a procurarle la dose letale di veleno… Nella stanza della nonna vedevo in una teca appesa alla parete una folta ciocca di capelli neri: «Sono i capelli della povera Stefania», mi spiegava la nonna senza aggiungere altro.

Ho voluto prendere le mosse da un ricordo diretto della mia infanzia, che mi è sembrato appropriato a rappresentare la storia di tante donne ancora oggi soggette a un patriarcato e a un rispetto dei “ruoli,” a seconda della condizione sociale. Nel corso dei secoli nulla appare più variegato e contraddittorio della natura femminile. Non è un caso che su di essa si sia scatenata la rabbia dei maschi, che al confronto sono (quasi) sempre apparsi, sprovveduti, ingenui, privi di originalità. Le streghe erano da mandare al rogo, attaccate soprattutto perché riuscivano con acume e ingegno innato a prendersi gioco di chi esibiva un potere indiscusso. Nei paesi del Tirolo sono tuttora in vendita le casette lignee dalle cui soglie escono su segnale meteorologico omino e donnina nei costumi locali: l’uomo porta sole, la donna pioggia (ma qualche donna ha tentato di dire che la pioggia è segno di fertilità...). E che dire degli auguri a Capodanno? Ci sono intere regioni italiane in cui “si dice” che gli auguri fatti da una donna “portano male”; guai se una donna è la prima persona incontrata il primo giorno dell’anno… Vendette maschili, tuttavia accolte dalle donne di casa con una sorta di condiscendenza, nel rispetto delle tradizioni; come i posti separati per le donne ancora oggi nelle Chiese di qualche paese del Trentino…

Ma fulgidi sono i modelli di donne che hanno saputo imporsi anche al di là della provenienza sociale, oltre i salotti delle femmes savantes, con la loro personalità, la tenacia, la fiducia in se stesse, la capacità di trovare soluzioni, la duttilità interdetta ai maschi. Giovanna d’Arco, Santa Caterina da Siena, Mirandolina (peraltro frutto di una perspicacia maschile!), Olympe de Gouges… non vuole essere l’avvio dell’elenco infinito delle protagoniste storiche e contemporanee di azioni reali o frutto della creatività di chi le ha assunte a prototipo; quell’elenco è nei nostri cuori, ma ciò che più ci interessa è comprendere come TANTE DONNE sono uscite dal solco della tradizione familiare RIBELLANDOSI ai ruoli precostituiti, rendendo materia vivente quei “diritti” espressi teoricamente nella Carta del 1789. Uno dei primi esempi lo riscontriamo nella “Dichiarazione dei Diritti delle Donne e dei Sentimenti e Deliberazioni-Seneca Falls (USA)”. Siamo nel 1848, anno di grandi passioni anche nei Paesi dell’Europa occidentale, ma dove, come si è detto, la rivendicazione dei diritti da parte della platea femminile non aveva in quegli anni caratteri generalizzati. La Carta di Seneca Falls tra i molti aspetti illuminanti comprende il seguente articolo: «Si delibera che le donne di questo Paese devono essere informate in merito alle leggi che le governano, affinché non possano più rendere manifesta, in futuro, né la loro degradazione, con il dichiararsi soddisfatte della loro attuale condizione, né la loro ignoranza, con l’affermare che godono di tutti i diritti che desiderano». Da quella Carta parte in quel Paese la lunga lotta per IL SUFFRAGIO FEMMINILE un “diritto” tutt’altro che facile da far comprendere, poiché cozzava coi “ruoli”, con l’obbedienza al patriarcato, con la discriminazione (che colpiva peraltro anche il sesso maschile). Fu un percorso che in Europa attraversò tutta la prima metà del ‘900. Come convincere tante donne a guardare oltre il focolare domestico, a disobbedire alle regole imposte dal parroco? Determinante fu lo scoppio della Prima guerra mondiale (1914-18). Nacque allora qualcosa di imprevedibile, grazie all’abilità di alcune protagoniste, “un movimento politico suffragista internazionale” coinvolgente donne provenienti da 26 Paesi, fondato a Washington nel 1902 «con l’obiettivo di ottenere strumenti politici per condividere con gli uomini il potere che determina il destino delle nazioni». Alla vigilia della Grande Guerra (1914) fu presentato un APPELLO alle Ambasciate di tutti i Governi presenti a Londra, in cui balzava in primo piano l’ansia per l’imminente conflitto e la pressante richiesta che venisse scongiurata una catastrofe «che non avrà paragoni».

DIRITTO DI VOTO E DIRITTO ALLA PACE diventano per le donne della prima metà del secolo scorso un’unica istanza. Che grande crescita in un mondo dalle comunicazioni così difficili sotto ogni punto di vista! Nel corso della guerra, nel 1915, a L’Aja si riuniscono 1.000 donne provenienti da vari Paesi per dire “NO alla Guerra”. Era il risultato del movimento transnazionale che aveva spudoratamente tentato l’anno precedente la via diretta alle istituzioni. Donne non più singole protagoniste, ma unite in una nuova forma di “sorellanza laica”. Da quel consesso nasce WILPF (Women's International League for Peace and Freedom), associazione internazionale fondata a Zurigo nel 1919 con l’obiettivo di una Pace rivolta «al soddisfacimento dei bisogni di tutti, non dei privilegi di pochi»...

Gli anni del fascismo in Italia rappresentarono un regresso rispetto ai movimenti accennati; le donne – eccezion fatta per i livel li sociali alti – venivano gratificate se fedeli ai “ruoli” tradizionali, ciò che esaltò la mascolinità e la conferma del patriarcato soprattutto nelle classi subalterne. Ma le conquiste precedenti non erano morte; rinasce nel secondo dopoguerra la sete prepotente di libertà assunta dalle associazioni di donne ora animate da ideali politici abbracciati negli anni della Resistenza. Il DIRITTO AL VOTO per le donne viene sancito in Italia nel 1946; la Costituzione Repubblicana riconosce l’uguaglianza dei diritti, la piena libertà della persona umana (faranno seguito nei decenni le leggi sul divorzio, sulla maternità consapevole, contro la violenza sulle donne, riconosciuta come reato contro la persona, non più contro la morale, sui diritti delle donne all’accesso e reintegro nei luoghi di lavoro…), ma alla piena parità non si era ancora giunti con l’art. 51/Cost, costato tanto impegno a quelle 5 donne della Commissione dei 75, spesso rintuzzate nel corso del dibattito. Tra queste donne, Teresa Mattei, che sosteneva: «Nessun sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile ». In seguito la Corte Costituzionale, con sentenza 33 del 1960, annullò la norma che escludeva le donne per motivi attitudinali da molti impieghi pubblici, fra cui la magistratura, aprendo così il lungo cammino alla realizzazione del principio di parità nel nostro Paese.

È partito così il lungo cammino che ha visto le donne impegnate per un cambiamento dell’articolo. Nel 2003 è stato finalmente inserito l’inciso «A tal fine la Repubblica promuove le pari opportunità». La storia dell’Art 51 dimostra che non basta il cambiamento formale se ad esso non si accompagna una diversa interpretazione dei principi nella società e nella politica.

Oggi abbiamo, sì, un governo paritario, in cui le donne non sono relegate ad occuparsi di materie più tipicamente femminili, ma la maggior presenza di donne nelle istituzioni non garantisce una maggiore tutela sulla sostanza della vita di tutte le donne. La Convenzione di Istanbul del 2013, nonostante la ratifica del nostro Parlamento, sembra lettera morta a fronte dell’aumento della violenza sulle donne, stupri e violenze domestiche, eseguiti con armi e coltelli, in cui le donne pagano il “doppio prezzo” come “razza”, doppiamente inferiore nel caso di donne migranti. Cresce nei movimenti femministi la consapevolezza che il diritto di cittadinanza non deve restare una sorta di privilegio individuale, ma potrà dirsi raggiunto solo quando TUTTE le donne potranno godere di tutele diffuse nella loro esistenza quotidiana a garanzia di diritti, in parte acquisiti, in parte ancora nelle mani di chi ci amministra e non ritiene di farne oggetto di investimento.     

Già insegnante di Lettere,  Antonia Sani è da decenni impegnata sui temi della laicità della scuola pubblica statale. È stata coordinatrice dell’associazione nazionale “Per la scuola della Repubblica”, di cui è ancora tra le animatrici. È stata anche presidente di WILPF Italia (Womens International League for Peace and Freedom).   

* La suffragetta Sylvia Pankhurst protesta contro la politica britannica in India - Londra, Trafalgar Square, 1932 - foto [ritagliata] del Nationaal Archief, tratta ad flickr, immagine originale e licenza

 

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