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«Ministro, e la pace?» Il presidente di Pax Christi scrive a Guerrini

«Ministro, e la pace?» Il presidente di Pax Christi scrive a Guerrini

ROMA-ADISTA. Il presidente nazionale di Pax Christi, mons. Giovanni Ricchiuti, dalla colonne di Mosaico di pace (ottobre), scrive al ministro della Difesa, Lorenzo Guerrini, per porgli una domanda ben precisa: che fine hanno fatto le politiche per la pace nel programma del nuovo governo?

Pubblichiamo di seguito la lettera aperta del presidente di Pax Christi al ministro della Difesa   

 

 

Caro Ministro della Difesa Lorenzo Guerini,

mi rivolgo a lei dalle pagine della rivista promossa da Pax Christi, Mosaico di pace, innanzitutto per augurarle buon lavoro e per chiederle che alcuni temi – cari a noi e a tante altre donne e uomini che credono nella pace – siano presi in considerazione da lei e dal governo.

In queste settimane si è parlato molto di rispetto della Costituzione, ma non mi pare di aver sentito risuonare nelle aule parlamentari le parole: pace, disarmo, riduzione delle spese militari. Eppure sappiamo tutti come sia vitale mettere la pace al centro della vita politica.

Ce lo ricorda la Carta delle Nazioni Unite: «Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole…». Ce lo ricorda la nostra Costituzione, con l’art. 11: «L’Italia ripudia la guerra…».

Eppure in Italia per le spese militari investiamo 25 miliardi di euro all’anno! 68 milioni al giorno, 2,8 milioni all’ora, oltre 45.000 euro al minuto! Le ricordo inoltre che l’Italia entro la fine del 2019 può ancora uscire dal costosissimo progetto degli F35. Dal gennaio del prossimo anno non sarà più possibile. Come lei ben sa, gli F35 sono aerei da guerra, abilitati anche al trasporto di testate nucleari.

Un impegno di spesa di circa 10 miliardi. Il costo di ogni aereo si aggira sui 130 milioni di euro. E mi dicono che ci stiamo avventurando in un nuovo progetto di aereo militare: Tempest, ne abbiamo proprio bisogno?

E poi ci sono le bombe atomiche in Italia, nelle basi di Aviano e di Ghedi. Non sappiamo il numero esatto, ma abbiamo motivo di pensare che siano complessivamente alcune decine, o forse più. E per il prossimo anno è previsto l’arrivo di altre testate, le micidiali B61-12. Sono sul territorio italiano, ma nelle basi Usa e Nato, e di più non è possibile sapere.

Signor ministro, tutto questo le pare rispettoso della Costituzione? Rinnovo quindi l’invito a sottoscrivere il Trattato sulla messa al bando degli arsenali nucleari, firmato al Palazzo delle Nazioni unite il 7 luglio 2017, che entrerà in vigore solo se sarà ratificato da almeno 50 Paesi, e l’Italia non lo ha ancora fatto! Sarebbe un bel gesto di nuovo umanesimo. «È immorale non solo l’utilizzo, ma anche il possesso di armi nucleari», ci ricorda papa Francesco!

Signor ministro, desidero sottolineare ancora un punto necessario per una società nuova e smilitarizzata: il pericoloso rapporto tra mondo scolastico e mondo militare. Assistiamo sempre più frequentemente a presenze militari all’interno delle scuole e a visite scolastiche presso caserme o basi militari. Classi di bambini, talora anche piccoli, accompagnati a scoprire “eccellenze e primati tecnologici”, che di fatto tendono a coprire il vero volto della guerra che è distruzione e morte. Com’è

possibile educare alla pace in questo modo?

Non mi dilungo, infine, sulla situazione della Rwm di Domusnovas. Mi auguro che ci sia un impegno, in primis da parte del governo e delle istituzioni statali, per una riconversione della produzione bellica, come da tempo chiediamo insieme a tante altre persone della società civile. Le chiedo, dunque, di dare

dei segnali chiari nella direzione della pace, del disarmo e del ripudio della guerra. Le ricordo che tra i promotori che hanno spinto all’approvazione di legge 185/90, che regola l’export di armi, c’era anche il mio predecessore alla presidenza di Pax Christi, don Tonino Bello, ben cosciente che quella legge era solo un piccolo passo verso un’altra che dovrebbe avere un solo articolo: «Le armi non si producono, non si vendono e non si comprano».

Se non vogliamo che quanto scritto nella Carta delle Nazioni unite resti lettera morta, dobbiamo compiere scelte concrete di pace.

Bombe italiane per la guerra in Yemen: la Procura archivia 2

 

ROMA-ADISTA. «Esattamente tre anni fa, l’8 ottobre 2016, una famiglia di sei persone è stata uccisa in un attacco aereo dalla coalizione militare guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti a Deir Al-Hajari, nello Yemen nord-occidentale. Tra le persone uccise nel bombardamento una donna incinta e i suoi quattro figli piccoli. Nel luogo dell’attacco sono stati rinvenuti resti di bombe tra cui un gancio di sospensione prodotto da Rwm Italia S.p.A., una controllata del produttore tedesco di armi Rheinmetall AG. Nell’aprile 2018 il Centro europeo per i diritti costituzionali e umani (Ecchr) l’organizzazione con sede in Yemen Mwatana per i diritti umani e la Rete Italiana per il Disarmo hanno presentato una denuncia penale a partire caso in questione». E adesso, dopo oltre un anno e mezzo di indagini, la Procura della Repubblica di Roma chiede l’archiviazione del caso.

È la denuncia delle tre associazioni che hanno sporto denuncia. «La decisione del Procuratore è incomprensibile – proseguono –. Questo caso non riguarda solo aspetti economici o vantaggi commerciali impropri, ma si basa sulla potenziale corresponsabilità dell’Italia nei crimini commessi nello Yemen. La coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ha ucciso e ferito migliaia di civili dal 2015 con attacchi indiscriminati e sproporzionati alimentati dalle esportazioni di armi dall’Europa. Se i dirigenti della Rwm Italia e i funzionari dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) hanno favorito con le loro azioni e decisioni crimini commessi dalla coalizione a guida saudita e dai loro partner, devono essere ritenuti responsabili».

Quindi le stesse associazioni hanno annunciato che presenteranno appello contro la decisione del Procuratore e fanno notare che ancora a novembre 2017 siano state concesse autorizzazioni ad esportazioni di armi verso i membri della coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, nonostante le documentate gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e le gravi violazioni dei diritti umani commesse anche dalla coalizione a guida saudita; che il Procuratore ha confermato che il gancio di sospensione prodotto da Rwm Italia e trovato sulla scena dell’attacco di Deir Al-Hajari potrebbe essere stato esportato nel novembre 2015, epoca in cui organismi delle Nazioni Unite, ong internazionali e organizzazioni yemenite avevano già documentato le ripetute violazioni commessa dalla coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti; che il Procuratore non ha indagato in maniera sufficiente se le esportazioni da parte di Rwm Italia e le relative licenze configurassero o meno una condotta criminale da parte di Rwm Italia o Uama.

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