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La liberazione evangelica non conosce confini

La liberazione evangelica non conosce confini

Tratto da: Adista Documenti n° 12 del 28/03/2020

Sono Maria Soave, donna educatrice popolare nei processi ecumenici di lettura popolare della Vita e della Bibbia.

Nella mia erranza senza paura di errare, biblista popolare nei cammini di liberazione tra le comunità di questa patria grande (un giorno anche Matria) America Afroamerindia, ho accompagnato in questi ultimi trenta anni il cammino della chiesa Cattolica e di molte Chiese sorelle, soprattutto il cammino di empowerment delle donne.

Il Brasile, Paese-continente che mi ha accolta, giovane missionaria laica con uno zaino in spalla, alcuni anni di facoltà teologica e i miei 23 anni nelle tasche dei jeans, mi ha aiutata nella grande arte di accompagnare processi di liberazione.

In questi decenni ho visto e lottato affinché i processi democratici prendessero il posto delle sanguinarie dittature. Affinché sindacati liberi e impegnati con il Popolo lavoratore, con donne e uomini con i calli nelle mani, tutte tessute di Anima, potessero nascere ed organizzarsi. Ho imparato il portoghese nelle lotte di occupazione di terra, nelle periferie della città e nel campo, nei picchettaggi delle fabbriche e nei circoli biblici alla fine della riunione del comitato di quartiere.

Per me che arrivavo da Milano quel mescolare Vita, Lotta e Bibbia, quel celebrare fede e politica era qualcosa di meraviglioso che veniva a scardinare le mie certezze occidentali. Soprattutto le mie certezze di pratica religiosa.

Tra le molte riunione di articolazione della lotta, della fede e della vita nell’occupazione di terra alla periferia della città dove vivevo in quei miei primi anni di presenza missionaria in Brasile, la grande parte, soprattutto delle riunioni di comunità cristiane, erano animate e coordinate da donne. Io non ero affatto abituata nella comunità ambrosiana dalla quale provenivo a una leadership al femminile così chiara e presente nel “governo”.

Con il passare degli anni, nel processo di uscita dalla dittatura militare, avevo iniziato il mio servizio di coordinamento pastorale di una diocesi. Molte proposte di formazione di animatori e animatrici di comunità, della periferia, della città e del campo. La grande parte delle persone che venivano alla formazione erano donne. Il grande orizzonte ecclesiale in quegli anni successivi al Concilio Vaticano II e alla Conferenza di Medellín che cercava di mettere in pratica in America Afroamerindia il Concilio, era quello di una Chiesa di comunità di base, una Chiesa di uomini e donne alla sequela di Gesù nella costruzione del Regno che inizia qui e, perché qui ed adesso, per sempre. Per noi il kerigma, l’annuncio centrale della persona di Gesù e del suo Vangelo era il vivere pienamente la sintesi del vangelo di Paolo nella lettera ai Galati «in Cristo Gesù non c’è più né giudeo né greco, né uomo e donna, né schiavo né libero» (Gl 3,28).

Nel cammino di liberazione tra Fede e Vita, a partire dal Concilio e dalla lotta contro le dittature, questo per noi – a partire anche da noi donne – questo era l’annuncio-testimonianza essenziale. No a un modo di essere Chiesa teocratico, basato sulla teologia del puro e dell’impuro, del sacro a partire dall’altare. Sì ad un modo di essere Chiesa di tutti e tutte, senza l’esclusione di nessuno, a partire dall’opzione preferenziale per le persone più impoverite. No all’ordine simbolico violento del patriarcato, che uccide il modo di essere che Gesù ha vissuto tra noi e con il suo gruppo. No a tutte le forme di schiavocratura. Una Chiesa libera e liberante!

Molte donne animavano ed animano tutt'ora le comunità in Brasile e in America Afroamerindia, soprattutto le comunità più lontane ed impoverite. Animano con la Vita e la Bibbia tra le mani. Animano con la canzone e la lotta.

Animano nel canto, nei figli e nella lotta per il superamento di ogni forma di violenza machista e patriarcale che continua a serpeggiare in tutte le forme di famiglia, nelle società e anche nelle Chiese.

Negli ultimi 20 anni ho visto anche affaticare il sogno di questa Chiesa comunità di uguali dove l'unico potere sia servizio, diaconia. Chi voleva “mettere nel cassetto” il progetto “Popolo di Dio” del Concilio ha imposto un grande cambiamento ecclesiologico.

Oggi si è imposto di nuovo un modo vionento, clericalista e “sacerdotale” di essere chiesa in tutta America che si è nominata sempre più “Latina”... patria e non più anche Matria...

Così siamo dovute venire a Roma, assieme a vescovi compagni, che condividono fino all'ultima briciola di pane perché li abbiamo portati “sotto il tavolo”, luogo teologico di quella mamma siro-fenicia, di quella mamma cananea e della sua bambina che gridava...

Da “sotto il tavolo” delle persone impoverite che gridano dall'Amazzonia siamo arrivate a Roma per il Sinodo. Noi donne, animatrici nella presenza quotidiana nelle comunità. Noi donne...

Siamo donne... é sufficiente per la Chiesa?

Esiste un verbo in lingua portoghese che indica esattamente il movimento di conversione del lasciarsi toccare profondamente da un'altro punto di vista, da Altro e Altrove. Un movimento che può lasciarci, nelle prime battute, allibiti e fragili, apparentemente senza meta e guida. Questo è il verbo “desnortear”, cioè l'azione del perdere il nord, la stella polare. Può apparire strano che questo verbo venga usato da più di 200 milioni di persone di un paese dell'emisfero australe, dove non è il nord e la stella polare a dare orizzonte di cammino ma la il sud con la sua costellazione a croce. Può sembrare strano che una lingua, usata ormai da più di 500 anni dalla colonizzazione, esprima che, quando non si ha più la stella polare come direzione e si la croce del sud, si rimanga un tanto senza verità, senza meta, senza le idee chiare e distinte. Sappiamo per tradizione che a volte imprigiona, che, in un pensiero colonialista ed ellenico, le “verità”, le idee chiare e distinte, vengono sempre dal nord, da chi parla lingue e non dialetti, da chi fa arte e non artigianato, da chi fa cultura e non folclore (http://eleboa. blogspot.com/2011/02/e duardo-galeano-i-nessuno.html).

Noi donne, animatrici di comunità siamo venute a Roma per dire: siamo donne, è sufficiente per la Chiesa?

Esiste un modo di stare al mondo sotto il “potere sopra”, arrogante e violento del patriarcato, di tutti i poteri di un'unica estremamente minoritaria maschilità egemonica di cui sono vittime la grande maggioranza degli uomini, le donne, i popoli e la terra. Questo modo di stare al mondo ed interpretarlo è spesso mosso simbolicamente dal conteggio del tempo attraverso il calendario. Dodici mesi. Esiste però anche un altro modo di stare al mondo, un'altra epistemologia che ha a che vedere con , come direbbe la mistica medioevale margarite porrete, “un'intelligenza d'Amore”, o come suole dire papa Francesco “un genio femminile”. Un modo di stare al mondo di noi donne che non è necessariamente mosso dal calendario ma dalle lune che si fanno presenti nel nostro Corpo, tessuto di Anima. Lune che ci visitano con il sangue della mestruazione, con la forza vitale della fertilità, con il cambiare quando la nostra pancia è gonfia di Vita. Lune che guidano le maree e la forza della madre Terra che ci sostenta e ci governa. Lune che non sono 12 come i mesi nel cielo di un anno ma 13… tredici lune complete… crescente… piena… calante e nuova… erranti lune come noi donne, senza paura di errare perché il principio della Vita è Misericordia!

Questo modo di stare al mondo dell'Intelligenza d’Amo re di noi donne è stato molto presente sia alla preparazione che nel decorrere del Sinodo dell'Amazzonia. Quest'Intelligenza del genio femminile ha avuto piena voce. Abbiamo parlato. Siamo state ascoltate in un processo che non era decisionale né democratico. Un Sinodo è un processo innanzi tutto dove l'ascolto della realtà nel dialogo è il metodo e allo stesso tempo il contenuto del processo stesso. Abbiamo parlato a partire delle 13 lune, anche del tredicesimo figlio del patriarca Giacobbe, sempre dimenticato e ammutolito e violato perché era una figlia: Dina. Abbiamo parlato a partire dall'Intelligenza d'Amore del nostro stare donne al mondo e nella Chiesa: donne che fin dalla narrativa del primo vangelo, quello di Marco, siamo “stanti ed osservanti” ai piedi della croce. Siamo chiesa non di “visita” ma di “presenza”.

Siamo donne dell'accolitato, cioè della sequela e della “diaconia” cioè del servizio ministeriale con Gesù fin dalla terra delle persone impoverite e dimenticate: la Galilea. Siamo donne, non abbiamo abbandonato Gesù ed il suo Vangelo. In silenzio, senza molte volte dire una parola siamo salite con Lui fino a Gerusalemme, fino al monte della tortura e della morte con Gesù, il Cristo, il monte di tutti i crocefissi e crocefisse della storia per annunciare l'unica Parola che conta, che è nostra, e, perché nostra, di tutti e tutte in Cristo: Il Signore è risorto, la morte non ha mai l'ultima parola!

Questa direi è la proposta epistemologica del nostro “stare donne” nel cammino di chiesa nell'America afroamerindia. Un cammino che richiede la capacità, che è Grazia, mistico-politica di permettersi la possibilità di “perdere il nord”, la stella polare, la forma coloniale e “normodotata” del patriarcato clericalista di cui è intrisa la chiesa cattolica in tutto il mondo. Avventura non facile dove spesso amore rima con dolore.  

Milanese, missionaria laica “fidei donum” della diocesi di Novara, Maria Soave Buscemi  vive in Brasile da oltre 30 anni ed è naturalizzata brasiliana.  

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