Fuori dal tempio
Newsletter n. 205 del 01 ottobre 2020
Care Amiche ed Amici,
col nome che portiamo, Chiesa di tutti Chiesa dei poveri, non possiamo che essere sconcertati, e anzi arrossire, per le notizie riguardanti il denaro (uno dei due padroni di cui parla il Vangelo) che sono emerse in occasione dell’ultima crisi scoppiata nella Curia romana. Una Chiesa povera e dei poveri, come l’aveva sognata papa Francesco al momento della sua elezione, ma anche quale è stata spesso celebrata tra fiumi di retorica a partire dal Concilio, non può che essere turbata al vedere come girano i soldi - centomila euro, seicentomila euro, ed anche milioni –tra grandi Palazzi romani e londinesi e piccolissimi Palazzi di diocesi e di Caritas della Chiesa delle “periferie”. Prima di ogni giudizio di giudici o di esperti, vogliamo dire che la Chiesa è veramente fatta di poveri, oltre ogni retorica, e i poveri hanno del denaro e del suo maneggio tutt’altra idea perché ne dipende per loro – per noi – la nuda vita. E i mercanti non stanno al loro posto nel tempio: può anche darsi che imercanti e i cambiavalute e i loro fratelli e nipoti a Gerusalemme fossero onestissimi e ligi alle regole dagli stessi sacerdoti stabilite per il tempio, ma Gesù ha fatto benissimo a cacciarli e benissimo fa papa Francesco a cacciarli anche lui. Di ciò conosciamo il prezzo, per Gesù e per Francesco; ma se uno nel bel mezzo della religione tradizionale, con le spalle coperte dal Padre, si mette in testa di annunziare il Vangelo, che cos’altro si può aspettare? Al di là di tutte le dietrologie, delle inchieste sull’ “enigma Bergoglio”, delle supponenti lezioni di buongoverno ecclesiastico impartite dalla “Repubblica” e dall’ “Espresso”, e degli scoop dei giornalisti anticasta, questo, del Vangelo proposto come sommo criterio e legge fondamentale e canone per la vita della Chiesa e degli uomini, è il vero, immenso problema scoppiato in Vaticano (e di lì, anche dalla piazza vuota, nel mondo), da quando c’è uno che ha osato chiamarsi Francesco.
Governare è difficilissimo, anche nella società civile (che angoscia quel dibattito notturno Trump-Biden!): è una croce e non si capisce perché gli aspiranti ci si vogliano mettere sopra a tutti i costi; perciò oltre alla nostra indomita critica i governanti dovrebbero avere la nostra pietà; ma “governare” la Chiesa è ancora più difficile, quando non lo si faccia solo scrivendo encicliche, ma giocandoci la vita e volendo fare la volontà del Padre..
Perciò occorrerebbe riprendere il discorso aperto dal Concilio sulla riforma del governo nella Chiesa universale, che il Vaticano II aveva impostato mettendolo in capo al papa e ai vescovi insieme, in quanto membri sacramentalmente ascritti al collegio episcopale, successore di quello apostolico. Il senato cardinalizio ha esercitato in passato questa funzione di supplenza, come mostrano la storia del cardinalatoe gli studi su cardinalato e collegialità del prof. Giuseppe Alberigo (la scuola di Bologna!), ma oggi questa funzione è teologicamente esaurita. Noi conosciamo dei cardinali deliziosi, in Curia e fuori, ma oggi il discorso della riformava ripreso perché ne va di mezzo non una modalità istituzionale di governo, ma un’idea teologica della Chiesa al momento della sua crisi. Il declino del cardinalato (che fu inteso come “parte del corpo del papa”) è andato di pari passo, dopo il Concilio di Trento, con l’affermarsi dell’assolutismo papale e il prevalere della Curia e dei dicasteri romani, riducendosi infine il collegio al ruolo esclusivo dell’elezione del papa. Ma oggi, dopo l’esperienza malriuscitadel Sinodo dei vescovi solo “consultivo”, dovrebbe essere ripresa in tutto il suo spessore ecclesiologico la via della sinodalità o collegialità nella Chiesa.
Nel sito pubblichiamo un vecchio dattiloscritto ancora prezioso di Alberigo sulla storia del cardinalato,con una postilla sulla svolta del Concilio, e una riflessione di don Severino Dianich sul caso del cardinale Becciu e il conflitto nella Curia.
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