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Focus di "Africa" sulle bambine dell'est Congo, vittime di guerra, violenza e abbandono

Una vicenda agghiacciante quella di Marie Claire Feza, stuprata e rapita da 7 miliziani hutu interahamwe, sfruttata come schiava sessuale del loro capitano e poi, una volta fuggita dalla sua prigionia, rifiutata e isolata dalla sua comunità e allontanata dalla sua stessa famiglia, perché considerata ormai «impura, infettata del seme del diavolo».

La storia, raccontata in un approfondito focus, pubblicato oggi dalla rivista Africa dei padri bianchi, è indubbiamente terribile, ma è anche emblematica della condizione che vivono moltissime donne nelle province orientali della Repubblica Democratica del Congo, spiega l’autore Marco Trovato, «infestate da gruppi armati che saccheggiano le ricchezze del territorio e aggrediscono la popolazione civile. Le donne sono le vittime sacrificali di una guerra innescata con il collasso dell’ex Zaire. Nelle foreste del Nord e del Sud Kivu i casi di violenza sono sistematici. La Missione delle Nazioni Unite dislocata nell’area ha accertato oltre 15.000 stupri in un anno: il più alto numero di crimini sessuali registrati al mondo». Senza considerare che «solo una minima parte viene denunciata: l’impunità è quasi certa».

Kavumu (a nord di Bukavu, capoluogo del Sud Kivu) è la città di Marie Claire ed è stata «a lungo l’epicentro dell’orrore». 50 bambine tra i 2 e gli 11 anni sarebbero state trascinate nella foresta tra il 2013 e il 2016, e ripetutamente violentate da miliziani convinti che stuprare bambine vergini li avrebbe resi invulnerabili.

Il racconto di Africa si arricchisce di altre drammatiche vicende, come quella della bambina soldato Patience Balolage, costretta ad uccidere a 13 anni; o quella di Filomena Minamzinzi, stuprata per giorni a turno da miliziani tutzi e poi finita nelle grinfie dei loro nemici hutu e anche lì abusata e massacrata di botte quando si accorsero che era incinta. «Il viaggio nel cuore ferito del Kivu – spiega Trovato – è un calvario penoso, una rovinosa discesa nell’abisso umano».

Eppure, è proprio dalle tenebre congolesi che sono nate esperienze luminose come quella di Denis Mukwege, medico, pastore protestante, premio Nobel per la Pace 2018, fondatore nello stesso anno del Panzi Hospital di Bukavu, noto come «il medico che ripara le donne» per la sua grande esperienza «nella cura dei danni fisici interni da stupro». In 20 anni, sotto i suoi ferri, sono passate ben 50mila donne vittime di abusi. C’è poi, sempre a Bukavu, la “Cité de la Joie” che accoglie ogni anno da tutta la Rd Congo 180 donne violentate, fornendo loro una formazione in attività artigianali e corsi di autodifesa. O il centro “Ek’abana” di suor Natalina Isella, che accoglie bambine accusate di stregoneria e abbandonate in strada dai genitori. O ancora il “Centro Nyota” delle suore dorotee, scuola e rifugio per 240 bambine.

Secondo il padre bianco che dirige il “Centro Nyota”, Bernard Ugeux, le bambine «sono due volte vittime innocenti. Dopo essere state abusate, le giovanissime donne sono anche considerate colpevoli: ripudiate dalla loro comunità, restano abbandonate a sé stesse. A commettere le atrocità non sono solo banditi o ribelli ma anche chi dovrebbe impedirle».

Leggi il focus "La fuga dall’inferno delle donne congolesi".

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