
Dalla convivenza all'integrazione. Commento di Paolo Naso dopo la scomparsa di Saman
La vicenda di Saman Abbas – «ragazza pachistana che aveva rifiutato un matrimonio combinato dalla sua famiglia e che è scomparsa ormai da alcune settimane» – è stata al centro della riflessione del 6 giugno scorso di Paolo Naso (docente di Scienza politica all’Università “La Sapienza” di Roma, insegnante al Master in Teologia interculturale della Facoltà Valdese di Teologia, direttore del programma della Fcei per rifugiati e migranti “Mediterranean Hope”) il quale, su Radio1 Rai, è intervenuto in chiusura del programma “Culto Evangelico” (link alla puntata su RaiPlay Radio, testo integrale su Nev).
Naso introduce il suo intervento calando la vicenda nel contesto della provincia di Reggio Emilia, che nelle sue stalle e caseifici accoglie numerosi lavoratori immigrati, africani e asiatici. A Novellara, spiega il docente, «la convivenza è giudicata positiva, favorita da un clima generalmente accogliente e dalla soddisfazione di tanti imprenditori contenti del lavoro di immigrati».
Sembrerebbe paradossale dunque che, proprio in questo «contesto complessivamente positivo e costruttivo dal punto di vista della convivenza interculturale», si sia verificata la tragedia di Saman la quale, «probabilmente, di fronte a un matrimonio imposto con la violenza ha gridato la sua angoscia e la sua disperazione, ma nessuno l’ha ascoltata».
Cosa è mancato? Secondo Naso, molto probabilmente «l’integrazione. La semplice convivenza multiculturale non basta a creare comunità coese e bene inserite nel tessuto sociale italiano». Tante comunità diverse, vicine ma isolate, «non creano coesione sociale, ma restano chiuse in se stesse e al loro interno, talvolta, si affermano pratiche tradizionali incompatibili con i principi e le norme di una moderna democrazia che, tra le altre cose, deve garantire l’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne. Nessuna ragione di ordine culturale o religioso, insomma, può essere addotta per giustificare i matrimoni forzati, o violazioni di fondamentali diritti umani». E se la semplice repressione «non è sufficiente» a individuare e contrastare questi «abusi», è necessario che si attivino le stesse comunità per «contrastare retaggi che violano i diritti delle persone», promuovendo «un’azione educativa orientata all’educazione e al rispetto delle leggi e dei principi della convivenza democratica».
In tal senso Naso accoglie positivamente la presa di posizione dell’Ucoii (Unione delle Comunità Islamiche in Italia) che, nel pieno dibattito sulla vicenda di Saman, ha annunciato una fatwa contro i matrimoni forzati, da emanare insieme all’Associazione Islamica degli Imam e delle Guide Religiose. Il pronunciamento dell’Ucoii «è un fatto importante – spiega Naso – che attesta come ormai in Italia esista una leadership di musulmani che vuole far valere i principi della legalità costituzionale e dell’integrazione anche tra quegli immigrati che pretenderebbero una giustificazione religiosa ai loro comportamenti violenti e disumani».
Sarebbe poi opportuno, conclude il professore, che «le comunità etniche si aprano alla società in cui hanno scelto di vivere e, insieme agli italiani, si mettano in una prospettiva di integrazione. Come dimostra l’esperienza di tante Chiese protestanti italiane, esse stesse possono diventare laboratori di integrazione nei quali vivere insieme la fede, da una parte, ma anche attrezzarsi alla convivenza interculturale nel rispetto delle leggi, dei diritti e dei doveri di cittadinanza. Non è una strada facile, né scontata, ma nel tempo è l’unica che può aiutare italiani e migrati a realizzare una vera e costruttiva convivenza».
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