Giovanni e Gesù: una storia di storie
Tratto da: Adista Documenti n° 14 del 16/04/2022
Decenni or sono, in un pulmino di una cooperativa india nello Stato del Chiapas in Messico, cercavo di comunicare con un Indio Chamula che mi sedeva di fronte. Avevo appena visitato il suo pueblo, intitolato a San Giovanni, e avevo grandi curiosità, ma lo spagnolo zoppicante di entrambi non ci permetteva discorsi elaborati. Così gli domandai se per lui fosse più importante Jessukrísto o Sanjuán. E quello, spalancati gli occhi, mi rispose ovviamente Sanjuán, pensando probabilmente in cuor suo a quanto ignoranti e forse sfacciati fossero i bianchi Ladinos che circolavano da quelle parti. Anche a me incominciarono ad aprirsi gli occhi: perché mai il Battista era più importante del Nazareno in quel villaggio maya su quelle alture verdeggianti di sangue e di rovine, non lontano da San Cristóbal de las Casas?
Ho poi passato buona parte del resto della vita a fare quello che ogni storico dovrebbe fare: interrogarsi sulle cause delle cose e, nel mio caso, sulle origini del cristianesimo e sulle vicende legate ai personaggi storici che ne sono le fondamenta. Quindi anche studiare chi furono Giovanni e Gesù non pare a me una curiosità archeologica fine a sé stessa, ma una necessità che aiuta a capire il presente.
Entrambi profeti ebrei palestinesi nella prima metà del I Secolo, Giovanni e Gesù furono anche accomunati nella morte violenta, decapitato il primo da un sovrano locale, figlio di Erode il Grande e alleato peloso dei romani, crocifisso il secondo da un procuratore romano. Anche altri profeti ebrei ribelli conclusero la loro vicenda umana giustiziati o ammazzati dai romani, ma sono finiti al massimo nelle note dei libri di storia, come quel Teuda o quell’Egiziano di cui nemmeno sappiamo il nome, ma solo il luogo d’origine. E i ripetuti massacri “civilizzatori e pacificatori”, commessi allora in Palestina dai romani, come da tutti i vari imperi durante la storia del pianeta, avrebbero dovuto a maggior ragione obliterare la memoria di quei due.
Invece il loro ricordo ha salvato anche quello di altri, addirittura dei nemici. Se ricordiamo infatti i dubbi di un Ponzio Pilato, che probabilmente tanto dubbioso non fu nell’eliminare uno che dava fastidio, o i veli di una Salomè, che dovrebbe chiamarsi Salòme e all’epoca non era più ragazzina tale da destare le brame quasi pedofiliche del patrigno, essendo moglie di un di lui mezzo fratello, se li ricordiamo, lo dobbiamo alle innumerevoli tradizioni cristiane e post-cristiane su Giovanni e Gesù costruite in due millenni.
Infatti, se è vero che Giovanni ebbe dei discepoli, le tracce di questi si perdono nel giro di un paio di secoli. Abbiamo un testo cristiano siriaco, che potrebbe riflettere tradizioni del secondo secolo, in cui si dice che tali discepoli ritenavano che lui, non Gesù, fosse il Cristo e che non era veramente morto (e quindi ne aspettavano il ritorno?). Quando poi, fra III e IV Secolo, in Mesopotamia emerse il mandeismo, Giovanni vi compare non come messia (concetto estraneo al pensiero mandaico), ma come un sacerdote antico, concepito miracolosamente, attivo in Gerusalemme, a cui un ebreo apostata e ingannatore, Gesù, tramite il battesimo, avrebbe – per volontà del Dio superiore – carpito alcuni segreti, ingannando gli altri ebrei e dando inizio al cristianesimo.
In quei primi secoli di furiosa attività creatrice religiosa, cristiani radicali di tendenza gnostica giunsero a elaborare immagini opposte. Strumento di un Dio demiurgo ignorante o malvagio, Giovanni il Battezzatore diviene un’entità quasi demoniaca che organizza nell’acqua tenebrosa e femminea del chaos primordiale una specie di trappola, per catturare la Spirito che alberga, Cristo divino, nel corpo fisico del Gesù della carne. Ma uno sfolgorìo di luce al battesimo testimonia al cosmo la risalita vittoriosa di Cristo-Gesù dall’acqua mortifera del Giordano terreno alla luce celeste della divinità gnostica.
Era dunque il battesimo un problema? Sì, un problema insieme storico e teologico che andava in qualche modo risolto. Marco, che dovrebbe essere il più antico dei vangeli, dice chiaro e tondo che il battesimo di Giovanni serviva per la remissione dei peccati (in presenza di pentimento) e che Gesù andò a farsi battezzare da lui nel Giordano. Uscendo dall’acqua Gesù avrebbe poi visto lo Spirito di Dio scendere su di lui e ci sarebbe stata una voce dal cielo (udita quindi da tutti?) che lo avrebbe proclamato figlio e amato. E quello sarebbe stato l’inizio dell’avventura di Gesù, quella che si chiama una “visione fondante” di un nuovo movimento religioso. Ma che bisogno aveva Gesù di muoversi dalla Galilea per scendere fino al Giordano a farsi battezzare? Aveva forse dei peccati da farsi perdonare? E come faceva il battesimo di Giovanni a essere efficace per la remissione dei peccati, se, in termini paolini, è la morte di Gesù che dà validità al battesimo (e ai sacramenti in generale)? E se Gesù era il Figlio di Dio, che bisogno c’era di un essere umano che venisse prima di lui? Chi viene prima, non è più importante di chi viene dopo?
Così, sin dalle prime generazioni dei seguaci di Gesù, ci furono aggiustamenti di vario tipo. Luca, con il suo Vangelo dell’infanzia, crea un dittico tra annunciazione, concepimento, nascita e adolescenza di Giovanni e di Gesù, grazie al quale raggiunge alcuni scopi importanti. Rendendo parenti fra loro le due madri, Eliasbetta e Maria, i due figli costituiscono una “coppia biblica” di cugini, se non proprio di fratelli, in cui il più giovane (di sei mesi esatti, secondo lui) è quello scelto da Dio (come Ismale e Isacco o Esaù e Giacobbe, per esempio). Grazie alla cuginanza, poi, la madre di Gesù diventa di famiglia sacerdotale, il che serve pur sempre come punto d’onore, anche se l’appartenenza legale alla tribù è data dal padre. Soprattutto, però, con la scena della Visitazione, lo Spirito, disceso in Maria e già presente nel Cristo nascituro, raggiunge nell’utero di Elisabetta il nascituro Giovanni, che così riconosce il Signore. Già Tertulliano usava la scena per spiegare che in quel momento Giovanni era stato battezzato e investito dello Siprito, così da essere un vero cristiano ancorché ante litteram. E quindi il suo battesimo poteva “funzionare”.
Matteo, tutto diverso, non dice che il battesimo di Giovanni serva «per la remissione dei peccati», ma sposta la frasetta (unico evangelista a farlo) nell’ultima cena: il sangue di Gesù rimette i peccati, non l’acqua del battesimo di Giovanni. E poi il Giovanni di Matteo non ha veramente capito nemmeno la sua propria funzione, tanto che vorrebbe rifiutarsi di battezzare Gesù: dev’essere Gesù a spiegargli il senso di quello che fa. E nel Quarto Vangelo nemmeno si capisce se Gesù sia mai stato battezzato: il Battista è un testimone privilegiato, mandato prima, sì, nella storia, ma il Cristo Logos preesisteva e viene dopo perché era prima. Il Prologo di Giovanni “sistema teologicamente” il rapporto fra i due, come il Vangelo dell’Infanzia lo aveva sistemato in Luca.
I problemi rimangono. In una lettura concordistica dei vangeli, può disturbare il fatto che Giovanni (dal carcere, secondo Matteo, mentre è libero e battezza, secondo Luca) mandi dei discepoli a domandare a Gesù se è lui quello che deve venire o se devono aspettare un altro. Ma come? Non erano cugini? Non si conoscevano sin da prima di nascere? Non aveva Giovanni visto lo Spirito scendere come una colomba e non aveva sentito la Voce dal cielo? Alcuni dissero allora che davvero era come un filo d’erba sbattuto dal vento, cioè dallo Spirito, che a volte lo istruiva e a volte lo lasciava nell’ignoranza. Tanto che ancora in tempi recenti Sun Myung Moon ha potuto ritenere il mancato riconoscimento da parte di Giovanni una causa del parziale fallimento di Gesù, così che si è resa necessaria la venuta dello stesso Moon, salvatore del ventesimo secolo. Come Giovanni è divenuto il precursore di Gesù, così spesso nuovi movimenti religiosi hanno precursorizzato i profeti precedenti il proprio fondatore.
E valanghe di apocrifi cristiani hanno colmato i vuoti lasciati dalle narrazioni più antiche, giungendo fino a proporre un Gesù bambino che battezza tutti i personaggi che lo precedettero, compreso il cadavere di Zaccaria, il padre di Giovanni (identificato con lo Zaccaria biblico ucciso nel tempio, che sarebbe appunto stato ammazzato dagli scherani di Erode che, con la strage degli innocenti, cercavano anche Giovannino e non solo Gesù bambino).
Nell’immaginario religioso di mezzo mondo, i due sono diventati una specie di coppia di personaggi il cui valore cambia a seconda del contesto religioso. Entrambi criminali giustamente eliminati nelle poche testimonianze polemiche medievali ebraiche, oppure personaggi entrambi positivi, ingiustamente uccisi, secondo quanto probabilmente scriveva Giuseppe Flavio alla fine del primo secolo, diventano santi e profeti entrambi – anche se più ascetico è Giovanni – nelle tradizioni islamiche, che li considerano entrambi precursori di Muhammad. Nel cristianesimo di solito una distanza incolmabile separa Giovanni, santo e privilegiato sì, ma uomo, da Gesù, Dio incarnato. Sino a giungere all’estremo gnostico della demonizzazione di Giovanni. Di segno opposto, la critica negativa di Gesù nel mandeismo classico, trasformata poi nei secoli di contatti con i missionari cristiani e a fronte delle persecuzioni islamiche, sino all’irenismo mandaico contemporaneo che sottolinea la “cuginanza” dei due.
Nel corso del tempo, quindi, abbiamo fatto di loro quello che abbiamo voluto. Nulla di strano che qull’Indio Chamula, il cui villaggio era stato intitolato a Giovanni dai primi missionari spagnoli, considerasse il “suo” Giovanni la divinità principale del peublo. Era lui Tlaloc Chac, il dio tremendo e benevolo dell’acqua e delle tempeste, che può salvare o distruggere il giovane dio del mais, come mostra chiaramente proprio l’iconografia del battesimo di Gesù, immerso nell’acqua e asperso da Giovanni.
Edmondo Lupieri è docente di Nuovo Testamento e Cristianesimo delle origini presso la Loyola University di Chicago. Per Adista ha curato la rubrica “Cronache dal Trumpistan” e, attualmente, la rubrica “Hey Joe”, sulla presidenza di Biden.
*Immagine presa da Rawpixel, immagine originale e licenza
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