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Gli abusi spirituali nella vita religiosa

Gli abusi spirituali nella vita religiosa

Tratto da: Adista Documenti n° 14 del 16/04/2022

I l tema degli abusi sessuali nella vita religiosa è, già da molti anni, tristemente salito “agli onori della cronaca” in diversi contesti e nazioni. Accanto al dramma degli abusi su minori, da parte di religiosi, si è assistito anche al disvelarsi di un lato oscuro della vita consacrata, presente in fondazioni antiche e recenti, di abusi sessuali le cui vittime sono religiose o giovani religiosi che hanno saputo rompere “il velo del silenzio” (è questo il titolo di un volume di testimonianze recentemente pubblicato dall’editrice San Paolo: S. Cernuzio, Il velo del silenzio. Abusi, violenze, frustrazioni nella vita religiosa femminile, Cinisello Balsamo 2021).

Se è certamente vero, come afferma validamente il gesuita Hans Zollner, che gli abusi sessuali generano delle ferite spirituali (H. Zollner, Le ferite spirituali causate dagli abusi sessuali, in La Civiltà Cattolica, Q. 4017, 2017/IV, 244-254), è anche vero che vi sono stati e vi sono, nella vita religiosa, alcuni altri abusi spirituali, forse meno evidenti e penalmente non perseguibili, ma in alcuni casi non meno gravi, che ne minacciano la credibilità e persino il futuro; tali abusi, infatti, si sono troppo spesso insinuati nel tessuto delle relazioni “ordinarie”, causando nelle loro vittime gravi conseguenze sul piano personale e psicologico, la perdita della libertà interiore, la sfiducia e, in molti casi, l’abbandono del proprio istituto o la perdita della fede.

È di questi abusi spirituali che intendiamo parlare in questo articolo.

Abuso spirituale: descrizione e definizione

Sono molte le definizioni che si possono reperire nei recenti studi sull’argomento. Ha scritto mons. Andrej Saje: «Parliamo di abuso spirituale quando in un contesto religioso si oltrepassano i confini della dignità della persona, che il Creatore ha delineato per l’uomo come persona, in modo che si restringa il suo spazio vitale fisico, spirituale e intimo. In questa situazione il superiore abusa del subalterno, che necessita di supporto, aiuto o unicamente di sostegno spirituale, in modo che la persona subalterna si indebolisca, sia umiliata e limitata nella libertà umana in quanto fondamentale dato naturale». Sullo stesso tema scrive Amedeo Cencini: «Abuso spirituale è ogni manipolazione relazionale di tipo emotivo, ma con argomenti di contenuto religioso-spirituale (“in nome di Dio”), che incide sulla sensibilità della persona nei confronti del divino. Tale manipolazione contamina e deforma […] il rapporto della persona con il proprio mondo interiore di valori e convinzioni. In quanto tale l’abuso spirituale è una forma di abuso di potere».

Sottolinea opportunamente Giovanni Cucci: «Il fatto che un comportamento non sia penalmente perseguibile non significa che non sia grave sotto il profilo umano e spirituale, anzi a volte si gioca proprio su questo equivoco per sottovalutare comportamenti devastanti nella vita di persone che ne sono state vittime» (G. Cucci, Introduzione, in S. Cernuzio, Il velo del silenzio, cit.).

Quello che accomuna questa e altre definizioni simili è il delinearsi di un cattivo esercizio della leadership, di veri e propri abusi di potere che possono essere descritti a partire dai loro più o meno distruttivi effetti sulla vita personale e spirituale delle vittime: dipendenza, sfiducia in se stessi, ira, ansia, depressione, smarrimento, perdita di passione pastorale, abbandono della vita religiosa…

Proviamo allora a tracciare, per renderli più riconoscibili, i contorni di almeno alcuni di questi spirituali, ma concretissimi abusi.

Formazione iniziale, governo e abuso di coscienza

Accade a volte, nella vita religiosa, che si ingeneri una confusione tra la relazione di accompagnamento, che vede come protagonista i formatori o il maestro, e la relazione di governo che dovrebbe essere svincolata da ogni possibile coinvolgimento in foro interno. Il can. 650 § 2 del CDC distingue chiaramente la figura del maestro dei novizi da quella del superiore. Scrive opportunamente Dysmas De Lassus: «Il Codice di Diritto Canonico cerca di evitare l’accumulo delle cariche per ragioni evidenti: l’accumulo delle cariche aumenterebbe il rischio del controllo universale» (D. De Lassus, Schiacciare l’anima. Gli abusi spirituali nella vita religiosa, Bologna 2021). «L’espressione “abuso spirituale” – scrive lo stesso autore – può sembrare forte a causa del parallelo con l’abuso sessuale, ma sono le vittime stesse che utilizzano termini simili, parlando di stupro della coscienza. Si tratta di un abuso di fiducia che approfitta della disponibilità della persona per forzare l’ingresso nella sua interiorità più profonda» (D. De Lassus, Schiacciare l’anima, cit.).

Quando accade poi che coloro che hanno avuto per molti anni delle responsabilità formative (a volte senza nessuna preparazione specifica) assumano una responsabilità di governo sugli stessi religiosi che hanno formato, si apre quasi naturalmente la strada da un lato a un rischiosissimo controllo delle coscienze, dall’altro a una pericolosa uniformità che rischia di diventare escludente rispetto ad altre forme o visioni della esperienza religiosa e carismatica. Può accadere anche che un’intera provincia religiosa diventi “proprietà privata” di un piccolo gruppo di superiori-formatori e dei loro giovani sostenitori. È quella che da alcuni autori è definita come deriva settaria.

Ha scritto, a questo proposito, mons. Carballo segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata: «La deriva settaria è un fenomeno significativo nelle società contemporanee, al quale non è estranea né la Chiesa né la vita consacrata stessa. Nella vita consacrata la deriva settaria parte abitualmente da una convinzione: coloro che detengono l’autorità prendono, a poco a poco, il posto di Dio […]. Questi non sono capi perché abitati dallo Spirito, ma sono abitati, o credono di esserlo, dallo Spirito Santo perché sono capi» (J. R. Carballo, Messaggio per la giornata mondiale della Vita Consacrata, in Osservatore Romano, 2 febbraio 2019).

Le relazioni poco evangeliche all’origine di molti abbandoni

Il recente documento della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, dal titolo Per vino nuovo otri nuovi, segnala tra le sfide ancora aperte, il cattivo esercizio dell’autorità. «Il servizio dell’autorità – si afferma al n. 19 – non rimane estraneo alla crisi in atto nella Vita Consacrata». «È impressione diffusa – si dice più chiaramente al n. 24 – che, non di rado, nel rapporto superiore-suddito, manchi la base evangelica della fraternità. Si dà maggiore importanza alla istituzione che alle persone che la compongono». In definitiva, lo afferma chiaramente il documento al n. 21, «ogni richiesta di abbandono dovrebbe essere n’occasione per interrogarsi seriamente sulle responsabilità dell’insieme della comunità e, in particolare, dei superiori».

Rassegnazione, sfiducia, tristezza, isolamento, senso di estraneità: sono queste le conseguenze di una sofferta mancanza di corresponsabilità che prelude a molti abbandoni. Questo può anche aprire la strada a quelle derive sentimentali che vengono poi indicate dal superiore, impropriamente e ambiguamente, come cause dell’abbandono, ma che sono soltanto l’effetto a lungo termine di una graduale, dolorosa perdita del senso di appartenenza che viene a volte vissuto con un senso di drammatica espropriazione dell’ideale di vita religiosa perseguito onestamente e integralmente dal/la religioso/a al tempo del suo ingresso nell’istituto.

Alla perdita del senso di appartenenza contribuiscono certamente la solitudine in cui può trovarsi un/a religioso/a nella stagione della malattia fisica o spirituale, quando non percepisce di essere parte di una famiglia che si prende amorevolmente cura di lui/lei, o la escludente abitudine poco evangelica di considerare la verità come un optional, che va condivisa soltanto tra coloro che detengono l’autorità.

Mobbing e vita religiosa

In una sentenza del 2012 della Cassazione si legge: «Per mobbing si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità» (Cass. n. 22393/2012).

Alle origini di questo abuso da parte del “superiore gerarchico”, che si può manifestare in diversi modi anche nella vita religiosa, ci sono, probabilmente, spiegazioni di natura psicologica. Scrive il benedettino Anselm Grün nel suo Leadership con valori: «Chi ha interiorizzato scarsa autostima sminuirà in seguito i propri collaboratori. Per poter credere nel proprio valore è costretto a sminuire altri… Se invece io mi sono riconciliato con il sentimento della mia insufficienza, allora tratterò con delicatezza i miei collaboratori. Saprò accorgermi di che cosa hanno bisogno, non li umilierò se sono insicuri, bensì li incoraggerò ad essere se stessi. Non mi comporterò in modo autoritario, ma realizzerò l’essenza della autorità. Autorità deriva dal latino augere, che significa aumentare, far crescere» (A. Grün, Leadership con valori, Brescia 2007, 47).

Può accadere anche, osservando adesso il fenomeno dalla parte del “dipendente”, che certe istanze e valori della vita religiosa onestamente interiorizzati e il continuo confronto tra l’ideale e la quotidiana scoperta del proprio limite aumenti, nel/la religioso/a la sfiducia in se stesso/a. Scrive De Lassus: «L’umiltà, che dovrebbe portarci alla verità su noi stessi, può deviare verso la distruzione della legittima stima di sé, necessaria alla vita. Il dono di sé, molla fondamentale di una vocazione religiosa, può essere spinto fino al punto di diventare negazione di sé; e per questo si parla di assassinio psichico […]. Tendere l’arco fino a spezzarlo è un danno che si può fare in molti modi nella vita religiosa» (D. De Lassus, Schiacciare l’anima, cit.).

La Vita Consacrata, come vita di uomini e di donne, non è al riparo dall’inquietudine, dalla solitudine e, in certi casi, nemmeno dalla disperazione.

Questo non toglie nulla all’attrattiva di un sogno: quello di ritornare a vivere il vino nuovo del Vangelo anche dentro questi otri vecchi. Accettando persino il rischio di spaccarli… (Cfr. G. Buccellato, La sfida: vino nuovo in otri vecchi, in Testimoni n.10, 2019).

Giuseppe Buccellato è salesiano, 68 anni. Docente ordinario di Teologia Spirituale presso lo Studio Teologico San Paolo di Catania; assistente spirituale per l'Italia, il Medio Oriente e Malta dell’Associazione Salesiani Cooperatori.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza

 

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