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Patriarcato e clericalismo. Del genere della vulnerabilità

Patriarcato e clericalismo. Del genere della vulnerabilità

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 21 del 11/06/2022

1. Ribaltamento

Si dice che le donne siano vulnerabili molto più degli uomini: una ragione per cui si nutre il convincimento che compito dell’uomo sia di proteggerci – e così viene salvaguardata la sua immagine di figura estranea a derive di assoggettamento/violenze; ovviamente lo stereotipo della debolezza della donna comporta e suscita, come contraltare, deprezzamenti, prevenzioni, barriere che impediscono il passaggio dal recinto del privato allo spazio pubblico.

Comprendere la vulnerabilità sotto questa prospettiva non può che danneggiare e offendere le donne e tutte le persone che non sono state incluse nel paradigma imperante del soggetto, l’essere che si è autocompreso nella sfera della Trascendenza, che ha governato polis e logos, che ha pattuito il Contratto sociale, godendo dello status di detentore di Razionalità, Autosufficienza e Volontà libera, nell’ambito di una democrazia esclusiva (1).

Dovremmo compiere un ribaltamento e operare un recupero della vulnerabilità: per entrarci dentro e abitarla come nostra attitudine naturale, adottando una prospettiva “dal margine”, cioè uno sguardo che sa decentrarci e disidentificarci dal pensiero egemone. Si tratta di ribaltare la rappresentazione di perdita, mancanza, di un deficit nel valore/salute/onorabilità della persona. E comprendere che tale ermeneutica si inscrive in una matrice patriarcale.

2. Cosa eclissa la Fratelli tutti?

Il sistema Chiesa ha la sua responsabilità nell’alimentare e potenziare tutto ciò?

Nelle esternazioni, il magistero e la struttura ecclesiologica – la cui leadership è di soli uomini – si schierano in difesa delle vittime, degli ultimi: inneggiano a essi come depositari del Vangelo e ne fanno un idolo. La leadership ecclesiale non vive infatti l’esperienza degli ultimi; e tanto meno delle ultime, che sono donne. Le fonti storiche (J. S.Mill, The Subjection of women, per esempio) ci dicono che anche il più reietto dei reietti aveva comunque “sotto” di sé una donna con cui poteva rivalersi delle frustrazioni subite e sfogare i malsani istinti aggressivi. Anche quando l’uomo era povero e miserabile, egli poteva esercitare il suo privilegio inerente alla maschilità nei confronti della propria donna.

Così è tutt’ora.

La dottrina della Chiesa ha avallato la prospettiva per cui il Soggetto, per il proprio Sè, rifugge la condizione – contingente o meno – di vulnerabile: lui è soggetto attivo, i deboli/ vulnerabili/passivi sono gli altri; attivo nella misericordia, certo, ma comunque attivo. Le categorie di attivo e passivo, come quelle di forte e debole, non sono neutre, ma strettamente correlate al maschile e femminile.

Anche le ultime encicliche si nutrono di questa prospettiva. In Fratelli tutti, il richiamo all’amicizia sociale è la linfa del testo. Domando: quale tipo di cultura, quali strutture di peccato destabilizzano l’amicizia sociale? Quale genere umano (ovvero: uomini o donne?) è di fatto l’artefice di una cultura dell’ingiustizia? Nell’enciclica la questione del genere rimane oscurata. E nemmeno si enuncia che il disgregarsi della fratellanza (di sorellanza non si parla) si radica in un’economia di valori simbolici sessuati e in una storia dove le soggettività femminili e maschili non hanno esercitato equamente i poteri, né sono loro attribuibili le medesime responsabilità. È la soggettività maschile, poi, che si è sostanziata di valori quali l’onore, la competizione, la supremazia, la virilità, l’orrore della vulnerabilità.

Rimane evanescente e grande assente una visione dell’umano che, sull’invito neotestamentario («Quando sono debole è allora che sono forte», 2 Cor 12,10) ospita la propria fragilità e vulnerabilità. È la propria debolezza ciò da cui ci si ritrae, perché quella che riguarda gli altri («saperci responsabili della fragilità degli altri», 115) domina. La mia vulnerabilità è difetto da rimuovere, crepa da cui difendermi: «è possibile dominarla con l’aiuto di Dio» 166, si dice.

Il samaritano, esemplare figura di colui che disinteressatamente si prende cura, assume, nei risvolti dottrinali successivi, una metamorfosi, un inquinamento: chi si prende cura resta impigliato, confuso con una figura d’autorità inscalfibile, che mai mostra fessure di imperfezione, di debolezze, di crepe. E la figura del sacerdote, divenuto alter Christus, è catturata nel feticismo del rappresentante santo, senza macchia, senza paura, senza deficit (2).

3. Un’altra vulnerabilità

Durante la IV Tavola rotonda interreligiosa “Fedi e femminismi in Italia: la profezia delle donne, trascendenza ed esperienza nell’orizzonte di una fede incarnata”, organizzata dall’Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne (O.I.V.D.) in collaborazione con il Fscire, a Bologna il 2 dicembre ‘21, inquadravo la vulnerabilità come premessa all’esercizio della profezia.

‹‹La vulnerabilità di cui parlo – osservavo – non è imparentata con alcuna vocazione oblativa, al “sacrificio”. Nei codici maschili si configura con un volto perturbante, che lambisce i sinistri fantasmi dell’impotenza. In tale cultura è cifra aborrita; nei casi rari in cui ne riconoscono il valore, quasi mai si assumono le responsabilità storiche, religiose e politiche per averla, nell’habitus maschile, denigrata o dileggiata... Il campo ermeneutico della vulnerabilità cui mi riferisco riguarda non già l’essere vittima di costrizioni, umiliazioni, vessazioni; o l’afflizione – morale, fisica e simbolica – che sommerge chi è accerchiata, schiacciata, manipolata... Mi sta a cuore, infatti, far lievitare ciò cui le donne hanno dato forma nella rivoluzione femminista: assunzione consapevole del corpo, dei sentimenti, del vissuto, della sessualità: luoghi costitutivi della politica sessuale.

Il movimento delle donne ha scompaginato l’ordine categoriale e le sue polarità: il Corpo, la Passività, i Sentimenti, la Materia sono stati svincolati dai lacci del disvalore e non più rappresentati come l’opposto – e subordinato – di Anima, Ragione, Attività, Spirito››(3).

Sempre più, nel mio inoltrarmi nell’universo delle violenze, mi imbatto nella resistenza, o forse meglio dire rimozione, alla comprensione della vulnerabilità in quanto costitutiva della condizione umana, parte integrante dell’ontologia dell’esistere. Si misconosce la stretta parentela che abbraccia vulnerabilità e apertura al divenire, al movimento della vita, al saper esporsi, all’avvento della grazia dell’Incontro.

Ho ritrovato con soddisfazione il mio taglio discorsivo negli interessanti articoli del teologo cileno Samuel Fernández, “Abusi di potere spirituale e colpevolizzazione delle vittime” (4) e della teologa tedesca Ute Leimgruber, “Vulneranza della cura pastorale” (5). Molteplici i risvolti tematici dei due testi, cui non posso che rimandare (6).

Anche secondo questi autori, la teologia prevalente ha avallato la concezione per cui nella cura pastorale si è adottata la prospettiva della vulnerabilità in un orizzonte di passività mancante, dipendenza di una persona a disposizione, che può essere spinta a scenografie sadomasochistiche. Ciò ha contribuito [e non ne è l’unica causa] al fatto che operatori pastorali vari potessero poi tradurre indebitamente – e sfruttare – la relazione di cura come occasione di godimento narcisistico per sé (non necessariamente sessuale) e manipolazione per l’altro/a.

4. Potere kyriarcale

Il sistema ecclesiale (l’ampia e indefinita ameba cui appartengono istituzione Chiesa, le congregazioni e i movimenti ecclesiali vari) si fonda su un impianto simbolico strutturale: la commistione di patriarcato e sacralizzazione dei ministeri ordinati, una miscela esplosiva che rientra in ciò che E. Schüssler Fiorenza ha definito potere kyriarcale.

La sacralizzazione del ministero ordinato conferisce una differenza ontologica ai soggetti (non a caso maschi e non a caso celibi) che vi appartengono. Non va poi sottovalutato che il regime sacerdotale è imparentato col regime sacrificale, sulla cui natura non posso qui addentrarmi. I vari responsabili o leader dei movimenti ecclesiali sono duplicati dello stesso modello, per cui anche loro agiscono in nome di un principio sacro assoluto, in un’aura di soprannaturale. La domanda di accompagnamento di chi si rivolge loro si presta a essere letta come via maestra all’esercizio dell’assoggettamento. Vulneranza è il termine con cui Ute Leimgruber definisce la propensione – strutturale e non contingente – all’abuso spirituale che si manifesta in tali rapporti di cura pastorale, rapporti asimmetrici e di potere, sottolineando come sia lo stesso impianto del sistema a fornire su un piatto d’argento l’occasione di un abuso spirituale e di coscienza in primis).

5. Sintesi

A. Nella cultura dominante e in quella ecclesiale, la rappresentazione della vulnerabilità elude la dimensione di quell’umano che noi siamo, dell’apertura all’altro che essa dischiude; viene invece incapsulata nelle categorie attivo/passivo – soggetto/oggetto, – forte/debole (dove attivo/soggetto/forte è attributo del maschio); si consolida così e si perpetua l’impianto della cultura patriarcale.

B. L’abuso in contesti clericali eclissa per lo più un elemento determinante; l’ambiente in cui si consuma è contrassegnato non solo da un impianto gerarchico, ma anche dall’aura sacrale di cui gode la guida spirituale. «Di fronte al potere sacro, la resistenza istintiva cede», osserva Ute Leimgruber. Va da sé che qui il sacro ha cifra e volto di un dio sovrano assoluto, autoritario e punitivo, un dio che le teologie femministe hanno decifrato come dio dell’immaginario patriarcale.

Due nodi (A e B) che si intersecano e si saldano in un'unica radice e campo gravitazionale: il dominio maschile.

Note

(1) L’espressione democrazia esclusiva è della filosofa Geneviève Fraisse.

(2) J. S. Mill. Di fatti, gli impedimenti ad esercitare il ministero ordinato nella chiesa cattolica hanno ricalcato per secoli la normativa ebraica [chi, pur facendo parte della tribù di Levi, avesse un difetto fisico, non poteva accostarsi per offrire sacrifici, cfr. Lv 21,16-23. Ora nel cattolicesimo non è più così, ma quanti preti disabili, in Italia, conosciamo?

(3) Da Per una coscienza della forza debole della profezia, atti del convegno “Fedi e femminismi in Italia: la profezia delle donne, trascendenza ed esperienza nell’orizzonte di una fede incarnata”, di prossima pubblicazione.

(4) https://www.adista.it/articolo/68050.

(5) https://www.adista.it/articolo/67792.

(6) La rivista Adista, e la direttora Ludovica Eugenio in particolare, ha offerto una documentazione preziosissima su questo tema; oltre ai due articoli qui citati, ricordo quello straordinario di Doris Reisinger, “Abusi sessuali del clero e gravidanze”: il primo studio accademico https://www.adista.it/articolo/67633).

Paola Cavallari è filosofa e teologa femminista, presidente dell’Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne (OIVD)

*Foto presa dalla pagina facebook dell'autrice, immagine originale 

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