
Miti e pensiero mitico
Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 02/07/2022
Qui per l'introduzione a questo testo.
Nascita del pensiero mitico
Oggi, le scienze umanistiche sono unanimi nell’affermare che le religioni, intese nel significato ordinario di istituzioni che determinano, strutturano e organizzano ufficialmente le modalità con cui gli umani si relazionano con il divino, siano creazioni relativamente recenti.
Con questo intendo dire che l’esistenza di una religione, costituita da una struttura organizzativa, con una gerarchia, un potere, sacerdoti, credenze, norme e riti, è un fenomeno che risale all’altro ieri nella storia evolutiva dell’umanità. Gli esseri umani hanno infatti vissuto la maggior parte della esistenza senza “religione” e senza “dio”.
Per più di novantamila anni, le espressioni esteriori del pensiero simbolico e della spiritualità umana, legate al carattere “sacro” e “misterioso” della vita e della realtà cosmica (riti, sacrifici, culti funebri, ecc.), sono state praticate al di fuori di qualsiasi organizzazione religiosa formale e senza alcun riferimento a una o più divinità.
Le scienze antropologiche c’informano che gli uomini del paleolitico non avevano un’idea ben definita di “dio” come quella elaborata dalle culture successive. Possedevano, tuttavia, una profonda sensibilità spirituale e vedevano ovunque la manifestazione del “divino”. Per loro, la natura conteneva un mistero che la rendeva enigmatica e inquietante, ma allo stesso tempo meravigliosa e magica. Sentivano che il mondo era attraversato da un’inspiegabile “Energia” che produceva varietà, diversità, bellezza, movimento e una grande profusione di vita, davantalla quale non potevano che provare meraviglia, timore, venerazione e gratitudine. Tutto questo era accompagnato da una forte sensazione di essere immersi in una Realtà globale e di fare parte di un “Tutto” che li sostentava con benevolenza e amore.
Se il “divino” è ciò che affascina, ma che rimane incomprensibile e ineffabile; se il “sacro” è ciò che trattiamo con timore, rispetto e venerazione, allora bisogna dire che l’uomo del paleolitico sentiva il mondo come qualcosa di “sacro” e di “divino” e la Natura intorno a lui come una “divina maternità” che offre nutrimento.
In questo mondo e in questa Natura, gli uomini del paleolitico si sentivano come bambini nelle braccia di una Madre cosmica. Questa percezione è confermata da una grande varietà di statuette femminili risalenti a quell’epoca e ritrovate un po’ dovunque dagli archeologi, rappresentanti una Dea-madre dai seni generosi e traboccanti, ai quali gli umani rimangono continuamente sospesi per trarne cibo, forza e vita.
Durante tutto il paleolitico, i raccoglitori e i cacciatori umani vivevano in profonda simbiosi con il mondo naturale, considerato come una Realtà globale di cui erano parte, in cui erano inseriti come in un grembo che genera tutto ciò che esiste e vive e in cui tutti gli esseri viventi rientrano alla fine del loro viaggio terreno. Dalla “madre natura” prendevano solo ciò che era loro necessario per vivere, ma sempre con un senso di riconoscenza e di rispetto per il Mistero che si rivelava ovunque con profusione di potenza, di fecondità e di bellezza.
Per gli uomini primitivi di quel tempo, tutta la Realtà era manifestazione di una Forza “benevola” e “graziosa” che non potevano identificare né nominare, ma che era percepita come qualcosa in perfetta consonanza con gli impulsi e le aspirazioni più profonde del loro essere.
Così per millenni l’umanità ha vissuto in un mondo olistico, indiviso, dove tutto era interconnesso, unito, sacro, divino e umano insieme, dove il cielo toccava la terra e la terra il cielo. Il cielo era quella la parte della terra che non si poteva toccare, ma solo contemplare. La terra era quella parte del cielo che si era avvicinata a noi per essere accarezzata e perché noi potessimo meravigliarci della stupenda bellezza di cui era stata rivestita. Tutto era cielo senza terra e terra senza cielo; una terra celeste e un cielo terreno, perché tutto era uno, divino e umano, terreno e celeste, vicino e lontano, spirito materializzato e materia spiritualizzata.
Il Mistero era ovunque. Incomprensibile e inafferrabile, ma attivo, reale, all’opera: impregnava e riempiva del suo Spirito e del suo fascino l’immensità del cielo stellato, lo splendore abbagliante del sole, la chiarezza e le fasi della luna, la freschezza umida del mattino, i rossori accesi e lontani delle sere, il mormorio dei ruscelli, la calma scintillante dei laghi, l’altezza misteriosa e sacra delle montagne, la profondità dei boschi, il brulichio delle savane, l’immensità degli oceani, l’armonia festosa del canto degli uccelli, la tavolozza fantastica e sgargiante dei loro colori, il rombo lontano del tuono e il lampo improvviso in un cielo d’estate...
Ogni cosa possedeva il suo proprio spirito, sicché l’infinità di questi spiriti colonizzava, per così dire, il mondo degli uomini in quel periodo remoto della nostra storia. Tutto era allora “spiritualizzato”, tutto era “sacro”, tutto era “divinizzato”, tutto era espressione di un Mistero che abbracciava ogni elemento, nel quale tutto era immerso e del quale ogni essere e ogni fenomeno erano una parte e una manifestazione.
La rivoluzione neolitica
Il passaggio dal paleolitico al neolitico costituisce un vero cambiamento di paradigma nella storia evolutiva dell’umanità. Nel periodo neolitico l’umanità passa da una cultura e una società di cacciatori-raccoglitori a una cultura e società di agricoltori-pastori. Questa transizione costituisce una enorme rivoluzione che implica un cambiamento fondamentale nelle abitudini e negli atteggiamenti umani. Mentre nel paleolitico gli uomini vivevano solo di ciò che la terra offriva loro, nel neolitico essi trasformano, modificano, strutturano e ristrutturano la natura e la geografia del territorio. Addomesticano animali, selezionano piante e frutti tramite innesti e incroci. Prendendo il controllo dei mezzi e delle condizioni della propria esistenza, l’uomo del neolitico diventa l’artefice del suo proprio sviluppo.
Il passaggio all’agricoltura porterà con sé la sedentarizzazione, l’allevamento e l’addomesticamento degli animali, la formazione di villaggi e di città, l’aumento della natalità e quindi della popolazione. Tutti questi fenomeni indurranno la diversificazione delle attività umane, l’accumulo della ricchezza, la formazione della proprietà e di strutture di sfruttamento, di dominio e di potere. Conseguentemente, a partire da questa epoca, appaiono le disuguaglianze, le classi sociali e la scrittura. La scrittura si rivelerà una invenzione geniale e diventerà uno strumento indispensabile per la gestione e l’amministrazione rapida ed efficiente delle risorse umane e della ricchezza.
Questi cambiamenti, avvenuti nel neolitico, saranno così radicali che daranno origine a un mondo fondamentalmente diverso e a nuovi paradigmi, cioè a un nuovo modo di comprendere, d’interpretare e di confrontarsi con la realtà di Dio, del mondo e dell’uomo. I paradigmi cognitivi e le immagini con cui gli umani concepiscono ed esprimono la loro cosmovisione sono ormai di un altro ordine.
Vediamo brevemente i punti salienti di questo cambiamento:
1. Il mondo naturale del paleolitico, unico luogo della presenza del «divino», è ormai svuotato del suo carattere sacro. Gli “spiriti” e le “divinità” che abitavano e animavano la natura sono espulsi ed esiliati in un altro mondo, situato al di fuori, al di sopra del mondo umano. Ora è il “cielo” ad essere considerato la dimora degli dei e degli spiriti celesti e non più la “terra”.
2. Priva della presenza del divino, la natura cessa d’essere una “Madre” sacra, riverita, meravigliosa e degna d’ammirazione e di rispetto. Diventa ormai una “cosa” profana, materia grezza, opaca, informe, caotica, senz’anima: un insieme di risorse materiali che l’uomo può usare e sfruttare a proprio vantaggio e a proprio piacimento.
3. Il Theós, o l’unico dio che col tempo ha sloggiato e sostituito la moltitudine di divinità che abitavano il cielo, è ora concepito come una individualità personale, maschile, immateriale, come puro spirito che possiede intelligenza e poteri infiniti da usare per mettere ordine nel caos femminile del mondo materiale.
4. Nascono i nuovi miti sulla “creazione” del mondo da parte della parola onnipotente di questa divinità maschile che dispone e regola il funzionamento dell’Universo. La terra e la natura sono definitivamente espropriate delle loro caratteristiche “materne”. Ora è un dio maschio, bellicoso, violento, con poteri illimitati, che tiene nelle sue mani i destini del mondo e dell’umanità. Il potere diventa un atteggiamento e un fenomeno esclusivamente “maschile”.
5. Questa nuova visione degrada la condizione della donna, che perde definitivamente il suo status di icona e di simbolo del carattere “materno”, prodigo, benevolo e sacro della Natura. La donna diventa ora il simbolo di un mondo materiale, pericoloso, disordinato e decaduto. La donna è trasformata in una creatura che deve essere soggiogata e che deve rimanere sottomessa al potere “divino” del maschio. Infatti, “se adesso Dio è maschio, il maschio diventa Dio”. Di conseguenza, il maschio è ora visto come l’essere che detiene il potere, come l’essere che è superiore, come colui al quale la femmina deve obbedire e che egli può trattare e usare come un oggetto o come una proprietà di cui può disporre a piacimento. È la nascita del patriarcato e della sua peggiore espressione: il machismo.
6. L’apparizione in quest’epoca del mito della creazione e la sua diffusa credenza introduce una rottura definitiva nell’unità della visione paleolitica della Realtà, dove il divino, il naturale e l’umano (dio-cosmo-uomo) erano elementi perfettamente integrati di un Tutto universale.
7. A causa del mito della creazione, il dualismo colpisce ora la comprensione umana della Realtà, che viene automaticamente scissa in due poli opposti: cielo e terra, Dio lassù, l’uomo quaggiù. Lassù, il mondo perfetto delle realtà e delle essenze divine e spirituali; quaggiù il mondo imperfetto della materia bruta, pesante, opaca, finita, cattiva, che trattiene e impedisce il volo dell’anima umana verso il cielo di Dio, unico vero luogo di salvezza per l’uomo. Lassù, il mondo della luce, della bellezza, della grazia, della perfezione e della felicità; quaggiù il mondo della bruttezza, del male, dell’imperfezione, della tentazione, della lotta, della sofferenza e di una possibile perdizione.
8. Ora gli uomini non si sentono più parte integrante della natura, che ha perso il suo splendore divino. Non si percepiscono più come provenienti dalla terra, ma come provenienti dal cielo, creati direttamente da Dio. Pensano di essere di origine divina, di possedere i geni di Dio e quindi di essere diversi da tutte le altre creature che vivono sulla faccia della terra. Si considerano gli eredi del cielo, la loro vera casa. Il mondo della materia, in cui gli uomini sono caduti, è visto ora come un mondo inferiore, malvagio, pericoloso, dal quale devono liberarsi e staccarsi per poter spiccare il volo verso la loro vera celeste dimora.
9. A causa della nascita del mito della creazione diretta dell’uomo da parte di Dio, a partire dal neolitico, l’uomo vive con la certezza d’essere una creatura superiore a tutte le altre creature terrestri. Si è convinto di essere il padrone e il signore assoluto del mondo; di avere quindi il diritto – e il potere – di disporne a suo piacimento e di sfruttare senza riguardi e senza ritegni le risorse naturali del pianeta (considerate illimitate) per soddisfare i suoi bisogni e la sua altrettanto illimitata avidità.
Dal neolitico in poi, questo insieme di affermazioni ha costituito il bagaglio cognitivo di base della società umana, funzionando come un insieme di evidenze, di verità assolute, di assiomi indiscutibili, di a priori necessari e indispensabili agli uomini per capirsi, dialogare e comunicare tra loro. In una parola, le affermazioni sopra menzionate hanno costituito i paradigmi di comprensione della Realtà che hanno governato la storia dell’umanità, almeno in Occidente e nel Medio Oriente durante gli ultimi quindicimila anni.
È soprattutto attraverso la religione giudeo-cristiana (che ha adottato integralmente questi paradigmi) che la visione neolitica della Realtà è giunta fino a noi. Il giudeo-cristianesimo ha introdotto questa concezione tanto nella composizione e nel contenuto dei suoi libri sacri, quanto nella formulazione delle sue credenze, delle sue dottrine e dei suoi dogmi, diventando, in Occidente, il principale catalizzatore della cosmovisione mitica antica. E ciò non solo mantenendola in vita fino all’epoca moderna, ma continuando oggi ancora a imporla all’adesione obbligatoria dei suoi fedeli.
Come se ciò non bastasse, la religione cristiana, nel corso della sua evoluzione storica, ha contribuito enormemente alla creazione di un gran numero di variazioni sui contenuti e sui temi di fondo delle antiche credenze mitiche, creando nuovi miti e nuove credenze, ampliando così ulteriormente la gamma di “verità” mitiche cui credere. (...).
La nascita delle religioni
Oggi sappiamo che le religioni non sono sempre esistite. Dalle scienze umane sappiamo che gli esseri umani hanno fatto a meno delle religioni per la maggior parte della loro presenza su questo pianeta. Oggi, gli antropologi sono inclini ad affermare che questa epoca senza religione fu il tempo più felice e più “spirituale” dell’umanità. Nella storia evolutiva dell’umanità, le religioni sono quindi un fenomeno culturale e sociale recentissimo.
Siamo anche ben informati sull’origine delle religioni nella storia dell’umanità. Queste nuove conoscenze e informazioni sulle religioni come fenomeno spirituale, ma soprattutto come fenomeno sociale e culturale che ha strutturato e scritto la storia delle civiltà fino ai giorni nostri, stanno ora producendo profondi cambiamenti nella percezione moderna delle religioni e negli atteggiamenti degli individui nei loro confronti.
Le conclusioni delle scienze antropologiche sulle religioni possono essere riassunte in quattro affermazioni fondamentali:
- Le religioni non sono sempre esistite, ma sono invenzioni e prodotti umani, con origini che, a grandi linee, possono essere collocate storicamente e datate.
- Le religioni si sono formate nel periodo neolitico.
- Dal neolitico ai tempi moderni, le società sono state fondamentalmente società “religiose”.
- Le religioni possono essere utili, ma non sono indispensabili.
Se ci basiamo su queste conclusioni, possiamo affermare che le religioni, con la loro tipica configurazione ideologica, etica e cultuale, sono sorte durante l’era neolitica, con la sedentarizzazione delle popolazioni, l’agricoltura, l’addomesticamento e l’allevamento degli animali, l’introduzione della proprietà privata, l’accumulo di beni, la nascita della ricchezza e del potere che essa conferisce, la formazione dei grandi agglomerati urbani e delle strutture necessarie per organizzare e ordinare la convivenza umana (città, nazioni, imperi). Tutte queste trasformazioni, con gli innumerevoli problemi che hanno creato (disuguaglianza, ingiustizia, sfruttamento, crimine, violenza, ecc.), hanno portato con sé la necessità d’introdurre regole di comportamento per rendere possibile la vita sociale.
Si potrebbe quasi affermare che all’inizio le religioni fornivano più norme sociali e politiche che regole religiose. In quei tempi di profondi e spesso radicali cambiamenti, le religioni furono capaci di creare e di elaborare i principi e le norme che dovevano regolare il comportamento etico e civile degli individui, rendendo possibile una convivenza umana ordinata e relativamente pacifica. Esse furono soprattutto in grado d’imporre e assicurare l’osservanza di queste norme e leggi, conferendo loro il carattere di “comandamenti divini”, la cui trasgressione avrebbe comportato esclusione e castighi da parte degli dei (Codice di Hammurabi; le tavole della Legge o Dieci Comandamenti dati da Dio a Mosè sul monte Sinai).
Fin dall’antichità, quindi, le religioni si sono presentate e si sono imposte come strutture autoritarie, create principalmente per soddisfare le esigenze di ordine, di coesione, di sicurezza e di pace all’interno dei grandi agglomerati umani e urbani in formazione.
All’epoca delle grandi civiltà, cioè intorno al 5000 a.C., le religioni avevano già acquisito la loro tipica configurazione d’istituzioni sacre, che si presentano non solo come intermediarie tra l’uomo e la divinità, ma soprattutto come portavoce delle richieste e della volontà degli dei. Esse fornivano dunque non solo le norme di un buon comportamento sociale e individuale, ma anche tutta la conoscenza e le risposte (sul mondo, la natura e gli dèi) di cui gli uomini avevano bisogno per vivere e dare un senso alla loro esistenza.
La funzione normativa e regolatrice che le religioni hanno svolto nel periodo neolitico ha contribuito in maniera decisiva a consolidare la loro autorità e il loro potere. In quelle epoche primitive, le persone ignoranti, ingenue, insicure, smarrite, indifese, continuamente esposte ai pericoli e alle minacce provenienti dal mondo naturale e dal mondo umano, si affidavano e si sottomettevano volentieri a una istituzione “sacra” che offriva loro guida, protezione e sicurezza, che creava speranza e prometteva salvezza. A questa povera gente la religione proponeva innumerevoli e incantevoli storie sulle straordinarie imprese di eroi divini, che vivevano lassù, nelle misteriose e inaccessibili profondità dei cieli ma che potevano “volare” in soccorso dei miseri mortali.
La religione si presenta così come una struttura organizzativa inventata dall’uomo alla quale si riconosce un’autorità e un potere. La religione non viene da Dio, non è eterna e non può imporsi come fosse l’autorità ultima e assoluta. È sempre ed essenzialmente un sistema direttivo e orientativo, di sostegno creato dall’uomo, che esiste in funzione dell’uomo e per l’uomo allo scopo di aiutarlo ad attraversare più facilmente e più serenamente le prove e le difficoltà della vita.
Possiamo affermare che, nelle regioni del Medio Oriente e del bacino del Mediterraneo, il patrimonio mitico di base delle religioni, con la sua rappresentazione simbolica e la sua formulazione teorica stabile e quasi universale, era praticamente già formato quattromila anni prima della nostra era.
Gli antichi scribi ebrei (VII secolo a.C.) non dovettero fare altro che inserire questo patrimonio religioso esistente nella composizione dei loro scritti “sacri” (la Bibbia), adattandolo alle esigenze dei tempi, della loro cultura, delle loro credenze e dei loro propositi. Attraverso la Bibbia ebraica, gli antichi miti, insieme alla cosmologia che sottintendevano, entrarono nella religione giudeocristiana e, attraverso di essa, giunsero fino a noi e ai pulpiti delle nostre chiese.
In sostanza, i contenuti di base delle religioni delle antiche civiltà della “mezzaluna fertile” del Medio Oriente e del bacino del Mediterraneo (Sumeri, Egitto, Israele, Grecia) erano ormai basate sull’adorazione di divinità prevalentemente maschili, le quali sostituirono definitivamente le divinità femminili, la grande Dea madre, delle epoche precedenti (paleolitico). In questo stesso periodo nascevano nel lontano Oriente le grandi religioni classiche dell’Induismo, del Confucianesimo e del Buddismo.
Per usare un paragone ed un termine del linguaggio informatico moderno che prendo in prestito da José María Vigil, possiamo dire che la religione è stata il motore del “sistema operativo” delle società antiche; con la sua influenza, il suo prestigio quasi divino, il suo potere, la sua autorità indiscutibile, le sue credenze, i suoi miti, i suoi dogmi, le sue leggi, la sua morale, e persino i suoi metodi inquisitoriali di sorveglianza, di controllo, d’imposizione e di sanzione, la religione ha esercitato per secoli la funzione di “software” che programmava ogni società.
Si può quindi dire che, dall’antichità fino al XIV secolo d.C. (la fine del Medioevo), religione e cultura coincisero. La cultura era solo religiosa e la religione era l’unica forma possibile di cultura. Questo è ancora ciò che succede oggi in molti Paesi islamici. Ciò significa che la religione ha permeato e modellato tutti gli aspetti, le attività e le strutture della società: la cultura, le conoscenze, la fede, la politica, il diritto, le arti, la coesione sociale, i sentimenti di identità e di appartenenza dei suoi membri, le loro cosmovisioni... Paul Tillich ha detto che nelle società antiche «la cultura è stata la forma della religione e la religione è stata l’anima della cultura».
Le religioni, nate per organizzare e guidare la società umana, hanno però accompagnato l’umanità solo durante un breve periodo della sua storia evolutiva: potremmo dire durante quella fase particolarmente critica e pericolosa della sua fanciullezza, della sua crescita e del suo passaggio dall’ingenuità e dalla credulità dell’infanzia al raziocinio, alla consapevolezza e allo sguardo critico dell’età adulta.
Oggi, le scienze umane sembrano concordare sul fatto che le religioni “neolitiche” hanno definitivamente completato il loro compito sia di “genitori”, sia di fantasiosi narratori, sia di educatori severi e autoritari. I bambini di un tempo, divenuti adulti colti, intrepidi e indipendenti, non hanno più bisogno di essere guidati dalla presenza dei loro genitori, né di essere rassicurati dalle favole della mamma. Ecco perché ai nostri giorni queste religioni sono diventate totalmente obsolete.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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