
Crisi alimentare nel Corno d'Africa: chi muore di fame e chi si arricchisce
Nel Corno d’Africa – in particolare Etiopia, Somalia, Sud Sudan e Kenya – la situazione è drammatica: una persona ogni 48 minuti muore di fame e intanto i prezzi dei generi alimentari e dei beni di prima necessità continuano a lievitare senza sosta. La guerra in Ucraina, infatti, ha innescato un’inflazione alimentare «fino a 5 a volte superiore rispetto alla media globale. L’Etiopia è il paese più colpito con una crescita del 44% dei prezzi», denuncia Oxfam in un allarmante comunicato diramato ieri. L’aumento dei prezzi è letteralmente fuori controllo, aggiunge, e si somma alla peggiore siccità degli ultimi decenni che getta le popolazioni locali in una situazione di grave carestia. Tutto questo mentre, denuncia ancora l’organizzazione umanitaria, «i miliardari dell’industria alimentare dal 2020 hanno aumentato la loro ricchezza di 382 miliardi di dollari».
Questo il commento di Francesco Petrelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia: «Chi è al vertice e controlla le catene globali di approvvigionamento alimentare accumula fortune enormi, mentre milioni di persone muoiono di fame. Basti pensare che l’aumento dei patrimoni dei miliardari del settore alimentare, in sole 2 settimane, è equivalente alla cifra necessaria a finanziare interamente l’appello delle Nazioni Unite per la risposta alla fame in Africa orientale, Appello che al momento è coperto per appena il 16% di quanto necessario. I leader mondiali rimangono indifferenti di fronte a questa catastrofe, facendo pagare alla parte più povera della popolazione mondiale il prezzo di un sistema alimentare globale insostenibile, per le persone e il pianeta, privo di regole, concentrato e controllato da poche multinazionali. Al contrario servirebbe aumentare il prelievo fiscale sui soggetti più facoltosi a partire da chi sta realizzando enormi profitti dalla congiuntura come i colossi del settore alimentare, per consentire ai paesi più poveri di salvare vite».
Leggi l'approfondimento integrale sul sito di Oxfam
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