
La Chiesa povera, umile e sorridente dell’ultimo Papa italiano
La Chiesa povera, umile e sorridente dell’ultimo Papa italiano
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Una chiesa povera per i poveri
Basta scorrere i nove volumi dell’Opera omnia di Albino Luciani per rendersi conto della sua spiccata capacità di comprensione della contemporaneità e ciò è dimostrato anche dalla vasta tastiera tematica dei suoi interessi. Un uomo e un pastore “ sempre sul pezzo”, anche sui temi grandi e delicati, di ordine sia dottrinale che pastorale o etico. Un gigante del pensiero, un maestro di ascesi cristiana, un teorico di una Chiesa umile e gioiosa che annuncia un Dio che, a partire dagli ultimi e dai poveri, ama teneramente l’umanità e la terra, come un papà e, più ancora, come una mamma. Il primo atto a Venezia fu la visita ai carcerati. Da patriarca, come già da seminarista allorché era stato particolarmente attento ai compagni figli di emigranti, programmò alcune visite pastorali agli emigranti. Partecipò attivamente al dibattito per la nascita di Caritas italiana, convinto che non bastassero la buona assistenza pubblica, la buona beneficenza filantropica, e giungendo ad affermare che il povero è come un nascondiglio di Cristo.
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“Il Signore tanto ama l’umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi”.
Humilitas fu il suo motto episcopale, desunto da san Carlo Borromeo. Mai si inorgoglì, mai peccò di vanagloria o superbia, mai ostentò le sue capacità ed il suo ruolo. L’umiltà può ben essere considerata il suo testamento spirituale. La riteneva la virtù inaugurata da Gesù, e quindi la virtù tipica del cristianesimo, mentre per le altre si potevano trovare apostoli anche prima di Cristo.
Da sacerdote ebbe modo di testimoniare la sua umiltà nel rapporto con il suo arcidiacono, che a volte lo umiliava davanti ai chierichetti in sacrestia, rimproverandolo per cose da niente; il servo di Dio mostrava la sua umiltà nell’abbassare la testa senza reagire, anzi parlava con rispetto del suo arcidiacono.
Nell’udienza del 6 settembre 1978, dedicata appunto alla grande virtù dell’umiltà, papa Giovanni Paolo I esclamerà:
«Mi limito a raccomandare una virtù, tanto cara al Signore: ha detto: imparate da me che sono mite e umile di cuore. Io rischio di dire uno sproposito, ma lo dico: il Signore tanto ama l’umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi. Perché? perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo, pentiti, restino umili».
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Una Chiesa umile e sorridente.
La eutrapelìa (alla lettera: comportamento piacevole) del filosofo Aristotele (che ne trattava nella sua Etica a Nicomaco, tra le cosiddette virtù etiche) viene esplicitamente ricordata dall’opinionista e pastore Albino Luciani; diventando, prosegue Luciani, la hilaritas di sant’Agostino e la iucunditas di Tommaso d’Aquino, la eutrapelìa cristiana si qualifica con la sorridente fermezza della mamma di Giovanni Bosco… e può segnare in ogni epoca il genuino atteggiamento dei cristiani e della Chiesa.
Quando si ha la possibilità di allontanarsi da certe atrocità del presente, anche i più grandi mali provocano un sorriso. È quanto accadrà alla fine della vita presente per coloro che avranno la gioia di approdare al “banchetto” del paradiso: «Se esiste il paradiso (ed esiste), se vi andremo (e abbiamo il dovere di sperare che ci andremo), ci verrà da sorridere sui mali di questo mondo che parevano enormi e che ormai saranno infinitamente lontani!».
Ecco l’esempio del bicchiere di vino che viene servito dal cameriere con una mosca dentro. Ebbene, l’unico che sorride è l’italiano: «Viene l’italiano, guarda la mosca, la caccia, sorridendo, fuori dall’orlo a piccoli colpi di dito medio e scherza col cameriere: “Per esempio, ho chiesto da bere e tu mi porti da mangiare”. Però, beve lo stesso e se ne va, dimenticando di pagare il conto!». E poiché molti immaginano la situazione paradisiaca come un banchetto eterno, ecco che la tavola del paradiso si differenzia rispetto alla ben diversa tavola infernale: non per i tavoli o le portate, bensì per la soluzione di condivisione gioiosa che i beati escogitano per utilizzare i lunghi bastoncini di cui sono dotati sia i dannati che i beati nelle due diverse sale da pranzo.
Tutto è chiaro: Albino Luciani, come è stato detto, “era non come la vetrata di una cattedrale, ma come il vetro comune di finestra: era trasparente”.
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