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PAROLE A MARGINE. Nostalgia

PAROLE A MARGINE. Nostalgia

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 38 del 05/11/2022

Non vorrei lasciare “nostalgia” ai nostalgici. Non vorrei che questa parola diventasse proprietà di quelli che si voltano solo indietro e sbarrano la strada al futuro. Non la parola dei generali che prendono dagli armadi le loro divise da guerra da indossare. Non la parola di chi non ha vissuto mai. Di chi si attacca al latino della Chiesa come all’ultimo treno verso un mondo già finito. Vorrei che nostalgia non fosse presa in ostaggio dalla mano destra del Paese, per chiudere la porta dei Diritti, accorciare il respiro della libertà, e cancellare le parole dissonanti con il potere. «Dove stiamo andando? Sempre a casa», dice Novalis. Nostalgia richiama la terra natale, la patria, la “matria”, sarebbe meglio dire. Heimat in tedesco, “terra madre”, non è solo luogo, ma relazioni, odori. È terra di nomi. Di voci. Perché se c’è una cosa struggente quanto la sua mancanza è la voce. La voce che ci manca. E che ci chiama. Una voce all’indietro, che ci chiama in avanti. Ma patria è terra spesso di sangue, di mura e recinti. Di bombe che buttano via la bellezza. Terra di retorica insopportabile. Il culto della patria ha nutrito le più pericolose “nostalgie” e ha inventato il nemico per vivere.

Vorrei che questa parola tornasse a cantare il suo epico canto. Il canto di Ulisse che ormai vecchio e struggente pensa al suo nostos, al suo viaggio verso casa. Il Paese natale, la matria è il punto di partenza o forse d’arrivo. Ma tutto sta nel viaggio verso quel ritorno. Non è verso l’identico, ma il nuovo, l’inedito. La finestra è la stessa da cui guardavo il mondo da bambino nella mia vecchia casa di pietra. Ma io non sono più lo stesso. I miei occhi vedono dalla finestra il mondo che ho attraversato, i muri crollati, i confini assoluti, imparentati invece, slabbrati, talvolta incredibilmente abbracciati. Quella terra di matria è il sovversivo movimento delle viscere e dell’anima, le mille contaminazioni che abbattono la bandiera identitaria issata sui corpi dei diversi. Nostalgia non è l’eterno ritorno: è il miracolo del bosco rosso e giallo d’autunno che ti fa impazzire di felicità. Nostalgia non è un albero secco, ma un albero che germoglia. 

La nostalgia che avvita il cuore dello straniero è carica di futuro, perché è fatta della stessa materia del sogno. È una nostalgia seminata sulla porta di casa, prima di partire, perché diventi prato per i bambini che correranno scalzi sull’erba, perché diventi albero su cui si arrampicheranno in cerca delle stelle. Nostalgia è desiderio, è fucina di immaginazione, è sale della politica che non rincorre l’indietro ma danza in avanti. Ho nostalgia della voce di Berlinguer, pacata, pensosa, roca di sigaretta. La voce in cui nostalgia e utopia stavano insieme e si prendevano per mano. Ho nostalgia della voce indignata, scattante di Pertini. Della voce di Alda Merini che mi graffia le pareti del cervello e canta come un grillo senza posa. Ho nostalgia degli alberi di domani, dei vecchi di domani specchiati nei loro occhi adolescenti di oggi. Volver, tornare. Canta la voce di Carlos Gardel, patrimonio dell’umanità.

Volver, gli risponde come una eco Almodóvar, in quell’intreccio di vita e di morte, nella nostalgia che esce dalla gola come un canto di flamenco. Nostalgia è parola che non va appesa a una parete. Non la si può mettere sottovuoto perché non senta il vento. Deve tornare parola libera, che tuteli l’immaginazione, che dia sbocco al dolore. Nostalgia è una lettera impiantata sul cuore, ma spedita verso il domani. È abbraccio che ci manca ma che già è in cammino nei mille che verranno. Il cortile di casa era triste ieri, ma domani sarà festoso per l’albero che gli è nato nel mezzo e porta il mio nome.

Chi pensa che nostalgia è la tristezza delle cose perdute, non ha capito che: Nostalgia è ballare un tango con la vita… 

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