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Clima, risorse, conflitti, armi: la crisi climatica spiana la strada al riarmo. Un convegno

Clima, risorse, conflitti, armi: la crisi climatica spiana la strada al riarmo. Un convegno

Si è conclusa il 29 ottobre la tre giorni di Trento sul tema del “Disarmo Climatico”, promossa da Rete Italiana Pace e Disarmo, Associazione 46° Parallelo e Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani, in collaborazione con MUSE (Museo delle scienze di Trento), Agenzia provinciale per la protezione dell’Ambiente del Trentino e Trentino Agenda 2030 (v. Adista online, 20/10).

Al centro del dibattito, tre importanti temi, spiega un comunicato diffuso dai promotori in chiusura dei lavori: l'impatto delle politiche di militarizzazione su clima ed emergenza ambientale; la relazione tra cambiamento climatico e i conflitti; la transizione energetica.

Inquinamento, guerra e industria militare

«C'è – ha detto Pere Brunet del Centre Delas – una vasta rete di interessi e potere globali, guidata da una manciata di attori privati sovranazionali che detengono un controllo non democratico su aziende e governi». L’industria militare resta profondamente inquinante. «La guerra e la preparazione alla guerra – ha aggiunto Brunet – sono attività ad alta intensità di combustibili fossili. Dal 2001 Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha consumato il 77-80% dell’energia totale. Con le emissioni associate alle sue attività e quelle legate alla produzione di armi si arriva a 212milioni di tonnellate di emissioni nel 2017».

Si tratta, spiga inoltre la nota, di emissioni difficilmente valutabili perché «gli Stati non le comunicano». «Né le forze armate, né i responsabili politici, né la società civile – ha spiegato Ellie Kinney del CEOBS – sanno realmente quante siano grandi le emissioni militari. Questo è un enorme punto cieco nei nostri piani globali per affrontare la crisi climatica».

La difesa delle fonti fossili

Sofia Basso (giornalista di Greenpeace) ha denunciato che, «Nonostante gli effetti di gas e petrolio sulla crisi climatica e sulla pace il nostro Paese destina circa il 70% della sua spesa per le missioni militari in operazioni a tutela delle fonti fossili, ovvero 870milioni di euro nel 2022». è il caso eclatante, per esempio, di due missioni nazionali che «hanno come primo compito la protezione di asset Eni in acque internazionali». Anche in Europa le cose non vanno tanto meglio: «Circa due terzi delle missioni targate Ue sono collegate alle fonti fossili».

La reazione militare alla crisi climatica

Secondo Nick Buxton del Transnational Institute, «si sta agendo per preparare un futuro militarizzato, prevedendo che il cambiamento climatico creerà un mondo di scarsità che richiederà sicurezza». In tale direzione, aggiunge, «il cambiamento climatico viene usato per giustificare l'aumento delle spese militari, anziché il contrario. Questo atteggiamento si riflette anche sulle frontiere. È molto evidente che in molti piani nazionali ci si concentra sulla “minaccia” dei migranti», che saranno sempre di più e sempre più “climatici”. La crisi climatica potrebbe quindi innescare processi di insicurezza, di conflitto e di profonde ingiustizie.

In cerca di convergenze

Clima e pace saranno dunque due sfide che procederanno parallelamente: Agnese Casadei di Friday for future Italia ha spiegato che, tra movimenti, «ci stiamo interrogando da tempo su come poter inglobare la causa pacifista in quella per l'ambiente, perché rileviamo che sia necessario che i due mondi si parlino sempre di più. Il movimento, inoltre, è nato in Europa ma sta cercando di non avere un punto di vista occidentale, ma globale».

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