Il sacramento della riconciliazione non soddisfa i canoni dell’umanità del tempo
Jorge Costadoat, gesuita, direttore del Centro Teológico Manuel Larraín (Cile), ha insegnato per oltre un ventennio presso la Pontificia Universidad Católica di Santiago del Cile (nell’aprile 2015, non è gli è stata però riconfermata dalle autorità ecclesiastiche la missio canonica per l’insegnamento nella Facoltà di teologia), ha scritto questo articolo per il sito di informazione religiosa Religión Digital (www.religiondigital.com).L'articolo è stato pubblicato il 3 marzo 2023 con il titolo "El sacramento de la reconciliación no cumple con los estándares de humanidad de la época" e nella sua versione originale è consultabile a questo link.
La traduzione in italiano è a cura di Lorenzo Tommaselli
La catastrofe relativa alla fiducia dei fedeli nei ministri consacrati a causa dei loro abusi sessuali, di potere e di coscienza, e del loro successivo insabbiamento, richiede attualmente una revisione degli ambiti di esercizio dell’ufficio del ministero presbiterale. I cattolici e le cattoliche sono giustamente arrabbiati. Sono necessarie conversioni dello sguardo e del cuore. Ma servono soprattutto riforme istituzionali e procedurali.
Questo vale per il sacramento della riconciliazione. La confessione è uno strumento pericoloso. Lo è sempre stato, solo che in altri tempi non richiamava l’attenzione di nessuno il fatto che lo fosse. Attualmente, soprattutto quando la Chiesa vuole fare passi avanti nella sinodalità, è necessario valutare l’esercizio di questo sacramento; ma soprattutto occorre rivedere questo strumento in se stesso.
È un fatto largamente noto a preti e fedeli che attraverso la confessione si commettono abusi di varia gravità. I laici e le laiche lo sanno. Più di uno, in più di un’occasione, ha avuto una pessima esperienza. Non mi riferisco ai casi più preoccupanti come quello dell’adescamento (richiesta sessuale). Hanno potuto passare da un prete all’altro, a seconda dei peccati che questi è abituato ad assolvere o della misericordia che ha, fino a trovare la persona con la quale si sentono a loro agio. È quello che molte donne hanno dovuto fare a causa della pillola. Noi preti, da parte nostra, abbiamo dovuto tirare su persone che qualche prete dieci, venti o trent’anni fa ha maltrattato con la sua asprezza o con qualche rimprovero. Oppure “dare permessi” alle persone di ricevere la comunione durante la messa.
Come si può evitare che questi fatti continuino a verificarsi? Si dirà che non ci si dovrebbe preoccupare così tanto. La gente non si confessa quasi più. Ma si dovrà permettere che il sacramento sia semplicemente considerato inutile? Prima che accada una cosa del genere, bisogna evitare che ci siano persone che attualmente si sentano obbligate a confessarsi. Occorre indagare come una modalità di relazione tra i ministri ed i fedeli impedisca il loro incontro con Dio, anzi lo danneggi, invece di facilitarlo.
Il perdono è un aspetto chiave nel cristianesimo. Ma la Chiesa non ha un modo unico di offrirlo. Ad esempio, nella stessa Eucaristia ci sono almeno due momenti di perdono, all’inizio della Messa e quando i partecipanti si donano reciprocamente la pace. Le autorità ecclesiastiche fanno bene il loro lavoro quando esortano i cattolici a chiedere reciprocamente perdono; o quando fanno un appello per la riconciliazione nella società. Ma può ancora essere considerato normale il fatto che una persona debba rivelare la propria intimità ad un’altra? Non è davvero un’assurdità aspettarsi che una cristiana o un cristiano aprano il loro cuore a qualcuno?
È stato normale anni fa. Non lo è più oggi. Nella cultura odierna l’intimità delle persone è un aspetto della loro dignità umana. L’intimità deve essere condivisa solo in piena libertà. Si potrà dire che in quest’epoca ci si reca volontariamente da psicologi ai quali le persone raccontano tutto. Ma la natura dell’obbligatorietà in ambo i casi è molto diversa.
E se la confessione fosse assolutamente volontaria? In questo caso la Chiesa dovrebbe giustificare come autorizzi l’esistenza di uno strumento religioso, come il sacramento della riconciliazione, nella consapevolezza dei rischi citati. Nel migliore dei casi, dovrebbe formare i ministri con conoscenze psicologiche e teologiche, oltre a stabilire controlli su questa attività, come avviene con l’esercizio di altre professioni.
Il processo sinodale in corso richiede il superamento delle asimmetrie ecclesiastiche che impediscono l’ecclesialità, come quella che si verifica nella confessione, originata a sua volta dal sacramento dell’ordine che colloca i ministri in un grado gerarchico superiore. La triade dei sacramenti dell’eucaristia, della riconciliazione e dell’ordine costituisce solitamente un ambito all’interno del quale si comprometteva la libertà dei figli e delle figlie di Dio. La loro libertà e la loro dignità. Va ricordato, invece, che nell’intimità Dio ha chiesto a Maria di essere la madre di Gesù. Lo ha fatto sapendo che la sua risposta avrebbe potuto essere negativa. La libertà è uno dei nomi del cristianesimo (Gal 5,1).
Quanto sta accadendo nella Chiesa riguardo al sacramento della riconciliazione è preoccupante. Questo è un aspetto, una questione o una dimensione di un divario molto profondo tra le pratiche sacramentali e l’urgenza culturale di nuovi valori. Molte persone oggi si aspettano dalla loro Chiesa strumenti che li aiutino a sviluppare un cristianesimo vivo. Non sono disposti a far passare necessariamente la loro fede in Cristo attraverso un “uomo sacro”, che si chiami prete o vescovo. La “sacerdotalizzazione” della Chiesa, in molti aspetti, è arrivata alla fine. Il sacramento della riconciliazione non corrisponde ai canoni dell’umanità del tempo.
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