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Nigrizia

Nigrizia

Oggi compie 80 anni Renato "Kizito" Sesana, missionario comboniano già direttore di Nigrizia. Ordinato nel 1970, ha assunto il nome di Kizito, quello del più piccolo tra i Santi martiri dell'Uganda, proclamati beati da Paolo VI nell'anno in cui era entrato in noviziato.

Riproduciamo il lungo post che ha pubblicato oggi sula sua pagina facebook, a questo indirizzo  E aggiungiamo a Kizito gli auguri di tutto il collettivo redazionale di Adista.

 

Oggi compio ottant'anni. Com'è che ho ancora sogni per il futuro? Che ogni mattina quando mi alzo metto in fila le cose che vorrei fare quel giorno, e sono sempre troppe?

Grazie Signore "che rendi lieta le mia giovinezza" circondandomi di giovani e bambini che mi accolgono e mi fanno sempre pensare positivamente al futuro. Papa Francesco ama ricordare Gioele (3,1) quella che chiama la profezia dei nostri tempi: “I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni e profetizzeranno". A me sembra di viverla, e vedo nei giovani che mi circondano un futuro di Vita per tutti.

Sono grato a Dio, grato ai miei genitori, fratelli e sorelle, grato agli amici. Penso sia a chi mi accoglie e mi vuol bene da tanti, tantissimi anni, sia ai nuovi amici che ho conosciuto in questi ultimi giorni. Gli amici di Roma che già negli anni ‘70 ciclostilavano e facevano circolare per posta le mie lettere, gli amici di Amani che dal 1995 danno linfa vitale a tante mie iniziative in Kenya, Sudan e Zambia. I lettori di Nigrizia e del “Father Kizito's Notebook” sul Sunday Nation a Nairobi. Tutti. Tutti voi siete un dono.

In questi ottant'anni ho imparato, o meglio ho capito lentamente, che è vero quanto ci dice tutto l'insegnamento di Gesù: solo ciò che facciamo per amore resta, vive per sempre. Tutto il resto è sprecato. Fare per obbedire la legge ci fa schiavi, fare per amore ci libera.

Molto più prosaicamente, a livello di diritto canonico, <strong>vorrei anche informarvi che sono stato incardinato come prete nella Diocesi di Ngong, in Kenya. Sono, in termini molto semplici, un prete missionario di una diocesi africana, al servizio di un vescovo africano. Ngong è una diocesi a solo 25 km a sud di Nairobi, e a Ngong ci sono diverse iniziative di Koinonia: Anita's Home, Domus Mariae Secondary School, Malbes e Tone la Maji con annesso Shalom Garden.

Quella di lasciare l'Istituto Comboniano è stata decisione difficile. E' un'appartenenza che ha profondamente segnato la mia vita. Di questo devo ringraziare i “superiori” che hanno creduto nel mio impegno e nel 1972, giovanissimo, non hanno esitato a nominarmi direttore di Nigrizia, hanno sostenuto le mie ragioni quando sono entrato clandestinamente in Guibea Bissau a fianco dei ribelli contro la “madrepatria” portoghese, poi mandato ad aprire la prima missione comboniana in Zambia, poi a Nairobi per creare da zero la prima rivista missionaria comboniana africana, New People, poi hanno sostenuto i miei primi contatti coi ribelli del Sud Sudan, dandomi il mandato di negoziare il rientro dei missionari nelle zone da loro controllate, e così ho fatto un viaggio indimenticabile nel 1991 con padre Venanzio Milani, allora Vicario Generale, per fargli visitare il paese e organizzato il rientro di padre Cesare Mazzolari come amministratore apostolico di Rumbek. In seguito hanno accettato la richiesta delle conferenza episcopale keniana e mi hanno incaricato, ancora partendo da zero, di avviare la prima radio cattolica del Kenya. Sopratutto mi hanno incoraggiato e sostenuto durante i tempi in cui anche cinque o sei volte all'anno andavo sui Monti Nuba, clandestinamente ed avventurosamente, per ristabilire una presenza missionaria. Sempre coinvolgendo anche i laici e i primi ragazzi di Koinonia. Qualche superiore mi ha anche detto sottovoce che il mio impegno (sempre a titolo personale) con Koinonia “è un nuovo paradigma di missione, pochi sanno lavorare con i laici africani come sai fare tu”. E' proprio per “colpa” di questi superiori se l'Africa si è intrecciata con la mia vita, diventando la mia vita.

Come potrei adesso rientrare in Italia per andare in una RSA, pur bella e tenuta da personale competente e motivato come quella che l'istituto comboniano ha costruito per gli anziani missionari? Il mio desiderio più profondo è di rimanere qui fino in fondo, in questa terra che ho amato e che mi ha amato così tanto.

Naturalmente mantengo un rapporto di amicizia fraterna con molti confratelli comboniani e, nel mio piccolissimo, continuo a sentirmi erede della tradizione comboniana, cominciando dallo stesso Comboni che per rimanere fedele all'Africa lasciò l'Istituto di Don Mazza di Verona, e poi morì in Africa. Ancor di più mi sento vicino ai tanti sconosciuti comboniani che nessuno più ricorda e che hanno dato fino all'ultimo la loro vita per l'Africa. Nel 1993 a Tonga, in riva al Nilo in Sudan ho pregato sulla tomba di fratel Remigio Zappella, un laico bergamasco che vi era arrivato ventenne e vi era morto nel 1933, a 63 anni, dopo aver fatto una sola vacanza in Italia. Chiesi di poterlo imitare, almeno morendo in Africa. Senza contare che sento sempre vicini alcuni missionari straordinariamente umani come i padri Filiberto Giorgetti, Raffaele Tessitore, Stefano Santandrea, Ernesto Malugani, Celestino Celi, indimenticabili confratelli della comunità di San Pancrazio a Roma negli anni 1972-75. Il loro ricordo ha ispirato tante mie azioni.

Sia chiaro "Africa" non è per me geografia, sono le persone, i fratelli e le sorelle africane che in questi anni mi hanno accolto, amato, convertito, rigenerato. Quella che il Comboni chiamava "Nigrizia".

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