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La natura psicosociale dell’abuso spirituale

La natura psicosociale dell’abuso spirituale

Tratto da: Adista Documenti n° 31 del 23/09/2023

Qui l'introduzione a questo testo. 

Sebbene si parli sempre più di abusi, in vari contesti e da vari punti di vista, ci sono aspetti che, a mio parere, rimangono o trascurati o sottovalutati. Per questa ragione mi sembra importante chiarire alcuni concetti per far luce su alcune dinamiche psico-relazionali di questa realtà e riflettere su alcune questioni aperte.

Sembra strano, ma un aspetto non del tutto chiaro è la stessa definizione di abuso e, ovviamente, il riconoscimento delle sue cause. Dal mio punto di vista, rimane sempre più esclusa una corretta lettura delle dinamiche relazionali dell’abuso, non solo nella sua attuazione nel qui e ora della relazione violenta, ma soprattutto in una visione più complessa di tipo sistemico e relazionale. Mi sembra perciò importante partire da una constatazione fondamentale, e cioè che, come esseri umani, abbiamo profondamente bisogno gli uni degli altri; l’essere umano ha una necessità innata di relazione, per preservare non solo la sua integrità fisica ma soprattutto la sua integrità emotiva. Ormai sono innegabili i risultati di innumerevoli studi e teorie che confermano questa premessa; una fra le tante è la teoria dell’attaccamento di Bowlby1, che dimostra che questa relazione privilegiata si struttura fin dal concepimento e che permette che il neonato e gli adulti di riferimento si sintonizzino fra loro. Questa sintonia, quando funziona, è importante e sostiene lo sviluppo di tutti, adulti e bambini. Quando purtroppo, per privazione precoce, grave negligenza o per altre difficoltà nello sviluppo, questa sintonia non si realizza, si possono generare col tempo risposte violente e aggressive2, conseguenze appunto di una relazione fallita, non sana e traumatica. Il fallimento relazionale precoce è, a tutti gli effetti, un’esperienza traumatica che porta a complesse conseguenze lungo lo sviluppo. Una forma di compensazione a un trauma relazionale può essere la ricerca di una relazione di appartenenza e di protezione, con il rischio, tuttavia, di sviluppare relazioni di forte dipendenza, fino all’abuso, soprattutto nelle relazioni intime.

Il fatto, perciò, che oggi ci confrontiamo sempre più spesso con drammi relativi a relazioni abusive e di dipendenza affettiva, dovrebbe farci riflettere non solo sui “modelli relazionali” e sociali che trasmettiamo (come spesso si afferma), ma soprattutto sulla qualità delle relazioni che viviamo e che stabiliamo a livello intergenerazionale.

Allo stesso modo, tra le varie necessità e domande che possono spingere a aderire a forme di aggregazione settarie e potenzialmente abusanti, ci possono essere, fra l’altro, appunto desideri compensatori di protezione/appartenenza/identità; che si manifestano sia nella dipendenza di tipo dominante (abusatore), sia di tipo sottomesso (abusato). E questo è un meccanismo che già si è avuto modo di osservare in varie forme di aggregazioni religioso/spirituali a deriva settaria. Negli ultimi anni si sta prendendo coscienza che molti movimenti e comunità “nuove”, a sfondo carismatico (focolarini, legionari di Cristo, Comunione e Liberazione, Comunità Loyola, ecc) hanno vissuto processi relazionali e spirituali analoghi.

In questi ultimi anni stiamo osservando l’escalation di fenomeni simili, e a volte ancora più perversi, nelle trame relazionali e organizzative di movimenti, gruppi ecclesiali, o semplicemente intorno a leader carismatici. L’orrore in questi casi è ancor più evidente, in quanto contraddice profondamente il messaggio spirituale che anima la realtà apparente di queste strutture/movimenti e di queste nuove proposte spirituali. In non pochi casi di abusi si osserva una deriva teologica dei contenuti e delle prospettive spirituali che sono al cuore dell’esperienza di tali aggregazioni. Comprendere dunque, che la violenza spirituale e di potere esercitata nei movimenti carismatici, nelle nuove comunità post-conciliari, ha una matrice comune con le varie forme di abuso psicologico vissuto nelle relazioni di intimità, è, a mio parere, un passo importante. Questa lettura aiuta a non sminuirne la portata, ma anzi a comprendere il fenomeno qual è: una deriva settaria che violenta anche la fede e i suoi contenuti. Pertanto, ogni atto di abuso non è appena “una debolezza passeggera”, uno scivolone morale, di un singolo individuo, che possa essere corretto con un pentimento formale, o ricomposto in una “riconciliazione” superficiale. Al contrario, è necessario che la cura sia un atto di verità e di giustizia, che permetta di ricomprendere quanto vissuto, sia nell’esperienza della vittima che in quella dell’abusatore. E deve essere analizzato alla luce delle matrici relazionali personali e di contesto, che soggiacciono alla relazione e a tali strutture. Al contrario, c’è stata fin’ora la tendenza a considerare non dimostrabile l’abuso psicologico, perché basato su una percezione appena soggettiva della coercizione e dell’invasione della struttura di personalità e psicofisica della vittima da parte dell’abusatore. Allo stesso modo, c’è scetticismo nel riconoscere l’abuso spirituale come una forma più sottile ma devastante di spersonalizzazione e di violenza. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che è solo a partire da qui che tutte le altre forme di violenza possono accadere, soprattutto nelle relazioni fra adulti, e particolarmente nel contesto delle comunità religiose, dei movimenti spirituali, del’accompagnamento spirituale.

E qui si impone un secondo obiettivo ineludibile, vale a dire la chiara definizione del concetto e della condizione di “adulto vulnerabile”3. Invero, fino agli ultimi documenti pubblicati dagli organi vaticani preposti alla tutela e prevenzione degli abusi, questo tema appare sommariamente affrontato e sbrigativamente definito. La vulnerabilità dell’adulto consisterebbe nella sua incapacità sostanzialmente cognitiva di comprendere le situazioni in cui si possa trovare in una condizione di manipolazione (psicologica e spirituale); pertanto non è in grado di difendersi. In realtà il concetto di vulnerabilità, prima che un concetto giuridico, deve essere considerato, quale esso è, un costrutto antropologico. A questo proposito ci vengono in aiuto gli atti di un seminario promosso da giuristi della Facoltà di Diritto di Oporto (Portogallo)4. Nei documenti che questo seminario ha prodotto, incontriamo una preziosa riflessione su questo costrutto tanto complesso, che si impone sempre più nella cultura contemporanea. Per intendere correttamente la vulnerabilità dell’adulto dobbiamo rinunciare alla premessa antropologico-razionalista, che tende a ridurre la persona umana alla sua sola condizione di essere razionale. Al contrario, i partecipanti al suddetto seminario fanno appello alla filosofia etica e alle scienze umane e sociali perché si adoperino per un contributo interdisciplinare che permetta, sul piano giuridico, di ripensare i diritti dei più fragili. A tal proposito, il documento propone una lettura molto più ampia della vulnerabilità; considera infatti, la vulnerabilità un aspetto inerente alla condizione umana, che dipende in buona misura dal contesto sociale, economico e politico in cui si situano le persone. Le disuguaglianze, la discriminazione e la violenza, di fatto generano e sfociano in uno stato, transitorio o permanente, di vulnerabilità, che affetta determinati gruppi e le persone che ne fanno parte. Al contempo, ne limitano l’esercizio e la fruizione dei propri diritti fondamentali: libertà e autodeterminazione, diritto alla vita, al lavoro, alla salvaguardia della propria privacy e intimità, diritto all’inviolabilità del proprio corpo, ecc. È evidente, perciò, che considerare la vulnerabilità come un fenomeno trasversale e universale, che può toccare qualunque persona in modo transitorio o permanente, soprattutto se situata in una condizione di dipendenza affettiva e relazionale, ne cambia completamente la prospettiva. Richiama certo, la responsabilità del singolo a definire e proteggere la sua sfera di diritto all’autonomia e alla difesa dei propri diritti. Ma, altresì, esige che la società civile e lo Stato contribuiscano attivamente a creare condizioni di prevenzione. Prevenire le condizioni che possano favorire la vulnerabilità; e soprattutto, mettere a punto strumenti idonei (leggi e sanzioni applicabili) nell’affrontare e sancire gli effetti negativi e le violazioni della persona a motivo di detta vulnerabilità, è un obiettivo che non si può più rimandare.

Auspichiamo, perciò che anche la Chiesa modifichi la sua visione antropologica, e sia più coerente con il suo messaggio. È necessario che il Diritto Canonico, alla luce di una autentica e rinnovata antropologia cristiana, si faccia attivamente promotore e garante della dignità di tutte le persone e promotore della difesa di ciascuna di esse da ogni forma di abuso e prevaricazione.

Note

1. Bowlby, J. (1982) Costruzione e rottura dei legami affettivi. Milano. Raffaello Cortina; Idem, (1988) Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccmento. Milano. Raffaello Cortina; Holme, J. (1996) Teoria dell’attaccamento. John Bowly e la sua scuola. Milano. Raffaello Cortina.

2. Zulueta, (1996), “Theories of aggression and violence” in C. Cordess & M. Cox (ed.), Forencic psychotherapy. Crime psychodynamics’s andthe offender patient (Vol.1). London. Jessica Kingsley Publishers.

3. Cfr. https://www.printfriendly.com/p/g/AdFFg

4. Neto, Leão, Ibañez, “Introduccción: Vulneabilidade y cuidado. Una proximación desde los derechos humanos” in OSLS Oñati Socio-legal Series Vol. 12 n. 1 (2022); pp. 1-5.

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