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Settimanali diocesani: dopo un anno di governo Meloni non c’è nulla da festeggiare

Settimanali diocesani: dopo un anno di governo Meloni non c’è nulla da festeggiare

Tratto da: Adista Notizie n° 33 del 07/10/2023

41593 ROMA-ADISTA. Certo, la politica estera viene prevalentemente indirizzata da Washinghton; quella economica è fortemente condizionata dall’Europa. Il “peso” e la misura di tali indicazioni dipende però dalla forza e dall’autorevolezza del governo e dalla caratura politica di chi lo guida. E in ogni caso, viste le promesse, dopo un anno di governo Meloni in molti si attendevano di più. A partire dal fronte economico, con l’inflazione sempre molto alta, le prospettive di crescita del Pil riviste a ribasso, lo scenario recessivo, l’aumento dei prezzi (specie dei carburanti), i fondi per gli alluvionati dell’Emila Romagna non ancora stanziati e passando per il fronte del piano dell’emergenza migratoria, che il governo aveva assicurato di poter contenere e controllare; per quello della guerra in Ucraina, che pare lontana da ogni possibile soluzione e di cui paghiamo carissimo il prezzo in termini di aumento dei prezzi e di crisi energetica; giungendo al tema delle più che discutibili riforme promesse e finora non ancora realizzate (fisco; autonomia differenziata; giustizia) e alla questione del Pnrr, di cui fatichiamo a incassare le rate perché i progetti approvati dall’Ue non sono stati realizzati.

All’interno di questo scenario i settimanali diocesani, così come la Chiesa cattolica, mantengono nei confronti dell’esecutivo riserve e critiche. E allo scoccare del fatidico primo anniversario dalle elezioni politiche (25 settembre 2022) editoriali e commenti comparsi sulla stampa diocesana rilevano toni sempre più preoccupati, invitando alla moderazione. Ma, pare di capire, pensando alle prossime elezioni europee come ormai sempre più decisive per le sorti del governo e la tenuta della maggioranza.

Diseguito, una rassegna di commenti.

Vita trentina (Trento, 21/9), “Ma la vera emergenza è quella economica”, Paolo Pombeni:

«L’immigrazione clandestina non è il solo problema con cui si trova a fare i conti Giorgia Meloni, anche se è uno dei più pesanti. Da un certo punto di vista per quello può scaricare un po’ di colpe sull’Europa e un po’ può appellarsi alla contingenza storica ingovernabile. Per la difficilissima gestione dell’emergenza economica non ha a disposizione qualcosa di simile: certo può dare colpe ai governi precedenti, ma tutti sanno che ci sono sempre state complicità largamente trasversali nel contribuire al deterioramento del quadro di finanza pubblica nel nostro Paese. (...).

Il problema per il nostro Paese è che nel quadro europeo dobbiamo fare i conti non solo con questi scenari, ma con le preoccupazioni, per usare parole gentili, verso la nostra politica economica. L’inflazione non si abbassa più di tanto, la recessione investe anche un’economia trainante come era quella tedesca e di conseguenza la ritrosia italiana ad accettare le tradizionali politiche di contenimento del deficit piace molto poco ai nostri partner. Del resto ci troviamo in una strana situazione: obbligati a spendere per i finanziamenti, la maggior parte a debito, che abbiamo ottenuto per il nostro PNRR, ma di conseguenza quasi costretti a dare alle parti deboli del sistema economico quegli aiuti senza i quali la nostra situazione interna si deprimerebbe in modo insostenibile».

La Voce del Popolo “Non si governa dalle posizioni laterali”, Marco Follini:

«Per Meloni la destra è un destino, ma è anche un rischio. Da quel lato stanno la sua storia, la sua identità e la gran parte dei suoi consensi. Ma su quello stesso versante si nascondono le maggiori insidie e il più cospicuo rischio di perdere il filo della sua matassa di governo. È chiaro ormai che il suo principale avversario è il suo alleato Salvini. Il quale non perde occasione di evocare quegli argomenti e quelle parole d’ordine che il capo del governo ha dovuto dismettere. (...)

Il fatto è che la presidente del Consiglio avrebbe tutto l’interesse a trattare la destra più a destra di lei con mano assai più ferma e senza tutte le timidezze (e tutti i richiami della foresta) a cui invece sembra indulgere. Poiché l’Italia non si governa mai da posizioni troppo laterali. E quando si insiste a farlo, prima o poi le cose vanno a finir male».

La voce e il tempo (Milano/Torino, 24/9), “Meloni ostaggio di Salvini”, Mario Berardi:

«Complessivamente emerge una situazione di stallo che preoccupa gli opinion leader: il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana ha espresso il timore di nove mesi di campagna elettorale per le Europee, chiedendo ai partiti di fermarsi; l'ex direttore de La Stampa, Marcello Sorgi, ha avanzato l'ipotesi di elezioni politiche anticipate, insieme alle Europee, mentre i fogli finanziari londinesi scrivono di «luna di miele» finita con il Governo Meloni. Esattamente un anno fa, per ragioni diverse, Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi decretarono la fine dell'esperienza di solidarietà nazionale varata dal Quirinale con il Governo Draghi, e rilanciarono il modello classico di scontro destra-sinistra. Ma i risultati non sono esaltanti, con un astensionismo che i sondaggi valutano al 44%. Permane valida l'idea di Sergio Mattarella sull'unità del Paese, con il prevalere del bene comune sulle esigenze di parte. E anche sui migranti il Quirinale esorta oggi a non cavalcare le paure e a non dimenticare il dovere dell'accoglienza, perché sono in gioco vite umane. Una sostanziale sintonia con i continui appelli di Papa Francesco, che proprio in questi giorni partecipa a Marsiglia ad un incontro profetico sul Mediterraneo, che non può essere un nuovo Mar Morto».

La voce del popolo (Brescia, 21/9), “In Europa, l'equilibrio è difficile”, Stefano de Martis:

«I rapporti con l’Europa non sono un settore tra tanti dell’attività politica e di governo. Ne costituiscono una dimensione essenziale, caratterizzante e decisiva. E il loro andamento è sintomatico della direzione di marcia che si sta per intraprendere. Da questo punto di vista le difficoltà che si sono acuite – tra Roma e Bruxelles, tra Roma e le altre capitali “storiche” della Ue – segnalano che si è giunti a un bivio. Finora l’esecutivo era riuscito a conservare un equilibrio di fondo che gli era stato riconosciuto anche a livello internazionale. Merito soprattutto di Palazzo Chigi, oltre che della componente centrista.

Mentre le mosse più direttamente riconducibili ai profili identitari dell’elettorato si erano dispiegate sul piano interno, in politica estera e nelle decisioni fondamentali di politica economica: il governo aveva cercato di praticare una strada di non aperta contraddizione e per certi versi addirittura di sostanziale continuità con il governo precedente, almeno per le scelte immediatamente operative. Quando nel 2018 si formò un altro governo ad alto tasso di sovranismo, quello giallo-verde, i contraccolpi furono di ben altra portata. Adesso però l’equilibrio del primo anno risulta molto arduo da conservare. I motivi di conflitto si sono moltiplicati e in alcuni casi inaspriti. Stanno venendo al pettine alcuni nodi che erano stati accantonati».

La voce dell’Jonio (Acireale, 20/9), “Un anno di governo Meloni, in attesa del promesso cambiamento”, senza firma:

«Il primo governo Berlusconi cadde, dopo soli otto mesi, per mano del leader della Lega di allora, Bossi. Oggi il governo Meloni sembra insidiato, particolarmente, dalla arroganza dell'attuale leader della Lega, Salvini. Per il resto una gestione senza sussulti particolari, con tanti annunci, tanti rinvii, molti provvedimenti presi affrettatamente e successivamente riveduti e corretti. Niente più che una ordinaria amministrazione, favorita, peraltro, dalla inconsistenza dell'opposizione. A distanza di un anno, dall'avvento della Meloni, non solo non si sono avvertiti sostanziali cambiamenti nella conduzione della cosa pubblica – un anno è troppo poco, comunque, per formulare un giudizio compiuto – ma si nota una straordinaria continuità rispetto al precedente governo Draghi.

Fortunatamente, pensando ai precorsi bellicosi della Meloni, si direbbe le sia bastato entrare nel nuovo ruolo per modificare atteggiamento! Accantonando i suoi convincimenti critici nei confronti dell'Unione europea, si è mossa in questo primo anno da europeista convinta. Ugualmente sul fronte internazionale, dove ha rinnovato la storica fedeltà dell'Italia all'Alleanza atlantica, schierandosi, decisamente, a difesa dell'Ucraina. Perfino sul fronte dell'immigrazione è stata capace di modificare atteggiamento. Messe da parte le idee bellicose, condivise con Salvini – respingimenti e blocchi navali – si è mossa ricercando il dialogo e misure condivise sia con l'Unione europea che con i Paesi di provenienza degli immigrati».

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