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Un anno di governo Meloni

Un anno di governo Meloni

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 34 del 14/10/2023

Quando si insedia un governo, si sia o no votato per i partiti che lo compongono, è cosa saggia prendere tempo per valutare cosa ne può uscire. Un anno può essere già un periodo adeguato a definire un giudizio di base, a partire non solo dagli intenti dichiarati, ma da quanto concretamente si sta operando. C’è sicuramente da annotare che da diverse stagioni non sembra ci sia da attendere chissà quali novità da un governo di un segno politico o di un altro. Da un lato, le politiche nazionali si inseriscono in contesti (per il nostro Paese, in dettaglio la Comunità Europea, in generale il grande sistema economico finanziario globale) che orientano le scelte locali in modo massivo. Dall’altro, lo scenario politico italiano sembra appiattito su differenze partitiche che su alcuni temi appaiono minime.

Lungi da me dichiarare il famoso “tanto sono tutti eguali”. Non è vero: l’essenza del populismo è suggerire che, in mancanza di differenze, una parte politica vale l’altra. Corrisponde all’altrettanto famoso “io non sono di destra né di sinistra”. All’opinione politica si possono dare connotazioni diverse, ma l’analfabetismo politico – come affermava Bertold Brecht – diviene la passività di fronte a ogni nefandezza sociale. Sappiamo da tempo che la neutralità diviene quasi sempre, di fatto, lo schierarsi con chi detiene gli strumenti del controllo sociale, ed è più forte. È vero però che quantomeno sul tema economico, su quello della giustizia (in primis il lavoro) e – in particolare – della guerra, si fatica sovente a trovare differenze rilevanti sull’orientamento etico, quantomeno nei partiti maggiori e quindi guardando alla polarizzazione del panorama politico italiano. Si pensi al tema del neoliberismo, di cui si parla davvero poco (ma ci si muove per lo più nel solco del suo pensiero, a destra come a sinistra). Sulla guerra, purtroppo, la concordanza tra le parti è lancinante. E inaccettabile.

Proprio a partire da queste considerazioni si può proporre una riflessione minima sul governo Meloni. Chi si aspettava un profilo liberal conservatore (forse difficilmente rianimabile) ha potuto constatare che il moderatismo non appartiene che solo in minima parte a questa compagine. Quella liberale non è la mia area politica di riferimento. Da tempo rifletto sul problema di non avere nel nostro paese un’area politica liberale significativa, visto che Silvio Berlusconi preferì, a suo tempo, di orientarne la prospettiva sulla destra postfascista e sovranista. Penso che mi riterrei comunque all’opposizione rispetto a un governo di stampo liberale, come ne abbiamo avuti: ma sarebbe possibile dialogare con altri risultati. Se, da mezzo teologo quale sono, guardo ai temi su cui può muovere l’attenzione più diretta l’ente a cui appartengo, la Chiesa cattolica, rifletto su come riguardo a immigrazione, contrasto alla povertà, equità sociale e politiche di pace, la linea di demarcazione tra dottrina sociale della Chiesa e decisioni governative si è nel frattempo (ulteriormente) definita con chiarezza. Le affermazioni sui flussi migratori come invasione (ma al contempo il ministro dell’agricoltura ammette che i settori produttivi chiedono con insistenza mano d’opera, anche pensando al sistema previdenziale), con decisioni conseguenti culminati nel decreto Cutro, ci fanno capire che siamo a visioni antitetiche.

Se poi si annota che un ministro (lo stesso di prima) parla di sostituzione etnica (ne tratta Hitler nel Mein Kampf), si arriva a stabilire un prezzo per affrancarsi da un centro di detenzione temporanea e si stabilisce una sanzione penale per un giovane che dichiari di essere minorenne se non lo è realmente e via registrando statuizioni analoghe di manifesta xenofobia, come lettrici e lettori di Adista sicuramente hanno fatto nei mesi, salta all’occhio che chi sta governando e si dichiara cattolico non conosce il pensiero autentico della Chiesa a cui dichiara di appartenere. O lo conosce e non ne tiene conto. La palese attestazione che i poveri non meritano attenzione (la fattiva cancellazione del reddito di cittadinanza e la risibilità di quanto stabilito a sostegno delle fasce sociali più sofferenti ne sono prova) si associa al consueto ricorso a sanatorie, stralci di cartelle esattoriali, condoni di vario genere. Un autoritarismo esibito nei confronti dei più fragili (l’educare attraverso l’umiliazione nella frase di un ministro) che si connota nella tutela del privilegio di classe. Il profilo mediatico dell’attuale gruppo dirigente parla chiaro: la meritocrazia definita secondo i parametri del censo è una forma di classismo.

L’ambito in cui ci aspettavamo poi uno scontro di altra intensità, quello dei diritti civili, sembra per adesso covare sotto la cenere (ma il fuoco del furore contro le diversità non è certo spento). La sponda cattolica ha cambiato atteggiamento: i valori fondanti sono quelli, ma la mediazione pastorale su cui la Chiesa stessa si sta ridefinendo fa sì che sia facilmente comprensibile che la difesa di Dio, della patria e della famiglia di cui si arroga il sovranismo, non sia propriamente quello che intende il Vangelo. Le politiche borghesi e neoliberiste rimangono molto aggressive nei confronti di ciò che continua a essere additato come fattore perturbante di un’armonia sociale che sarebbe garantita solo dal conservatorismo, quelle anomalie legate a minoranze, femminismo, pensiero critico. A memoria mia non ho mai visto un contrasto più netto tra destra politica e una parte consistente della conferenza episcopale e soprattutto della Chiesa di base (a parte quella, non minima, che si colloca appunto a destra). I motivi di dissidio ci sono eccome: se la CEI intende rimanere fedele alla linea del pontificato attuale si moltiplicheranno. Per adesso il profilo scelto è conciliante, tendente a non disturbare più di tanto il manovratore (il cambio di direzione al quotidiano Avvenire, con la giubilazione di Marco Tarquinio potrebbe esserne una prova tangibile. A proposito: chi si sarebbe aspettato che tale testata potesse divenire così indigesta, fino al punto di essere cacciata da certe biblioteche comunali insieme a Il Manifesto?). Può darsi che su alcune tematiche (aborto, disposizioni sul fine vita, diritti delle comunità LGBT+) si cerchi di mettere in atto una distrazione di massa sui crescenti problemi in area economica di questo governo, risollevando le solite controversie. Non è detto che la Chiesa italiana sia rimasta sulle stesse dinamiche di discussione. Mi auspico che si cerchi la via del dialogo, piuttosto che la linea della contrapposizione a tutti i costi. Per chiarirsi: il diritto di un minore a avere tutela giuridica è più o meno importante del sesso della persona che nella realtà deve sovrintenderla? I figli delle famiglie omogenitoriali sono figli di serie inferiore o la questione rimane solo quella di contestare Genitore A e B? in questa sede non mi interessa discutere di dottrina sul tema. Mi limito a dire che in una ottica pastorale l’attenzione alle persone non può passare in secondo piano rispetto a quello dei principi. Che restano tali: ma non sono più quelli che pensano taluni personaggi omofobi del panorama nostrano. La Chiesa sta cambiando linea nei confronti di alcune tematiche, perché ha deciso – bene o male – di ascoltare e non giudicare. E questo, come insegna il Vangelo, non sminuisce il principio etico, lo rafforza. Il disprezzo e il pregiudizio non generano mai verità.

A tempo debito ho studiato a ecclesiologia che di fronte al mondo la Chiesa deve scegliere tra mediazione e scontro profetico, sapendo ben discernere quando è il momento di esercitare la prima e mettere in atto il secondo (ma anche la profezia è una forma di mediazione: però mai al ribasso). Su vari passaggi che ho ricordato, e in forma sommaria, una voce più forte e limpida dei vescovi italiani mi sarebbe parsa importante e doverosa. Da parte mia, riguardo anche soltanto alla questione dell’uso di un concetto come quello di sostituzione etnica, posso dichiarare che questo governo esercita un potere che devo riconoscere perché espresso democraticamente, ma che per me non ha autorità etica. Per motivi di pura e semplice coscienza mi dichiaro all’opposizione e dissidente. Del resto, come devo constatare da un bel po’, io sono all’opposizione persino a me stesso. Su questo, penso davvero che ce lo chieda il Vangelo.

Andrea Bigalli è parroco a Sant’Andrea in Percussina (Fi) e referente regionale di Libera Toscana, docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana, scrive di cinema sul periodico dell’ANPI “Patria Indipendente”

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