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Informazione "vergognosa" su Gaza e il giornalista lascia "Repubblica". La solidarietà di Tonio Dell'Olio

«La violenza non merita nessuna complicità. Neppure adombrata, neppure inconsapevole. Persino il silenzio ci fa correi e l’indifferenza ci chiama sul banco degli imputati tanto quanto gli aguzzini. È per questa ragione – scrive oggi Tonio Dell'Olio, sotto il titolo “L'ora di dire basta”, nella rubrica “Mosaico dei Giorni” del mensile Mosaico di pace – che anche nella nostra coscienza prende voce la parola di Raffaele Oriani che lascia la sua collaborazione al Venerdì di Repubblica ritenendo – a ragione – che la voce di quella testata faccia parte di un coro mesto che non è capace di esprimere alcun acuto di condanna verso la carneficina che si sta consumando sulla pelle della gente di Gaza. Nessuna presa di distanza netta e perentoria, nessuna attenzione a dar voce al dolore delle vittime. La stessa onestà di coscienza con cui si deve condannare senza eccezioni e giustificazioni, senza attenuanti o reticenze il massacro del 7 ottobre deve poter dire basta alla carneficina genocidaria che Israele continua a vomitare su una popolazione costretta in una striscia di terra. Ipocrisia, cattiva coscienza o interesse che sia, ora basta! 90 giorni sono già tanti. Sono troppi. E se non basta un Natale di stelle comete travestite da aerei da bombardamento con bombe da una tonnellata ciascuna a svegliarci da questo torpore, che almeno si oda, improvvisa come un'esplosione in noi, il sentimento dissolto della pietà di fronte alle lacrime di quei bambini».

Ripercorriamo la vicenda.

Raffaele Oriani interrompe la sua collaborazione a Repubblica dopo 12 anni, trovandosi in disaccordo con il modo in cui Repubblica e gran parte della stampa europea racconta cosa sta succedendo a Gaza. Motiva il suo gesto scrivendo alla redazione. Questa la lettera:

«Care colleghe e colleghi ci tengo a farvi sapere che a malincuore interrompo la mia collaborazione con il Venerdì. Collaboro con il newsmagazine di Repubblica ormai da dodici anni ed è sempre un grande onore vedere i propri articoli pubblicati su questo splendido settimanale. Eppure chiudo qua, perché la strage in corso a Gaza è accompagnata dall’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica (oggi due famiglie massacrate in ultima riga a pagina 15). Sono 90 giorni che non capisco. Muoiono e vengono mutilate migliaia di persone, travolte da una piena di violenza che ci vuole pigrizia a chiamare guerra. Penso che raramente si sia vista una cosa del genere, così, sotto gli occhi di tutti. E penso che tutto questo non abbia nulla a che fare con Israele, né con la  Palestina, né con la geopolitica, ma solo con i limiti della nostra tenuta etica. Magari fra decenni, ma in tanti si domanderanno dove eravamo, cosa facevamo, cosa pensavamo mentre decine di migliaia di persone finivano sotto le macerie. Quanto accaduto il 7 ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall’8 ottobre è la vergogna di noi tutti. Questo massacro ha una scorta mediatica che lo rende possibile. Questa scorta siamo noi. Non avendo alcuna possibilità di cambiare le cose, con colpevole ritardo mi chiamo fuori».

Il 7 gennaio interviene il Comitato di Redazione, chiarendo la situazione di difficoltà in cui operano i lavoratori dell'informazione nel teatro di guerra che sta sconvolgendo i popoli del Medio Oriente (e non solo).

Al comunicato, il CdR ha dato un titolo: “A fianco dei colleghi che seguono la guerra. No alle strumentalizzazioni”. Questo il testo:

«L’addio di Raffaele Oriani al Venerdì di Repubblica, su cui il Cdr ha già espresso la sua profonda amarezza e la necessità di continuare a confrontarsi con azienda e direzione su un tema delicato qual è il racconto del conflitto in corso e la necessità di dare piena ed eguale voce a tutte le vittime, ha dato l’occasione ad alcuni di rilanciare una bufala che infanga il lavoro dei colleghi inviati di guerra e di tutte e tutti noi.

Si tratta della firma da parte di Repubblica di un accordo di 12 pagine con l’esercito israeliano attraverso cui il giornale si sarebbe impegnato “a non parlare con alcun palestinese” e a sottoporre immagini e articoli all’approvazione dell’esercito israeliano. Una fake news che riemerge periodicamente sui social e che oggi è stata ripresa anche da una testata giornalistica che dovrebbe avere la cura della verifica dei fatti. Chi la scrive o è ignorante o è in malafede, o entrambe le cose. A dicembre Repubblica, unico giornale italiano, è entrata a Gaza per un reportage. È entrata nell’unico modo in cui si può entrare in questo momento da Israele: embedded con l’esercito israeliano. Ciò prevede delle regole di ingaggio, esplicitate in un protocollo dell’esercito, legate alla specificità di quel servizio e limitate solo a quello.

Il collega le ha correttamente riportate nel suo reportage, incentrato, per altro, sul dramma del popolo palestinese. Regole di ingaggio che sono riferite a una eventuale censura di tipo militare e non di tipo politico. Sono regole uguali per tutte le testate internazionali che hanno avuto la possibilità di accesso per raccontare in prima linea la guerra e i suoi orrori: il medesimo protocollo è stato successivamente sottoscritto anche dalle altre testate italiane entrate a Gaza.

Il Cdr è al fianco delle colleghe e dei colleghi, dai collaboratori locali agli inviati che mettono a rischio la propria vita, e ritiene che sia offensivo e pericoloso strumentalizzare le dimissioni di Oriani per provare a screditare il lavoro di tutte e tutti noi».

*Rovine a Gaza anche nel 2014. Foto ritagliata di United Nations Photo, tratta da Flickr, immagine originale e licenza

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